martedì 13 dicembre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 18



Quando la sveglia inizia a suonare, dalle finestre dietro il letto, non traspare nemmeno uno spiraglio di luce: sono le quattro e mezzo del mattino e io ho dormito meno di cinque ore. Dalle vetrate che vibrano si avvertono folate di vento forte, novembre è agli sgoccioli e non avevo mai visto un inverno freddo e piovoso come quello di quest' anno a Milano. Mi metto a sedere sul letto e cerco a tastoni l' interruttore della piccola lampadina sul comodino. Questa è soltanto la seconda notte che mi fermo a dormire da Enrico e l' ambiente non è ancora così familiare da potermi orientare al buio. 
"Che stai facendo?" biascica Enrico con la voce impastata dal sonno. 
"Grindad arriverà in redazione alle sei questa mattina, dice che deve sentire la luce prima di decidere se può fare le foto o no" gli spiego ma non sono certa che mi stia ascoltando. 
In realtà mi stava ascoltando. Non so perché ne sia così stupita. 
"Che diavolo vuol dire che deve sentire la luce?" dice alzando la testa dal cuscino, quel tanto che basta per liberare la bocca. 
"E io che ne so. Sei tu il fotografo" gli rispondo mentre mi tolgo il sopra del suo pigiama e lo lancio sulla poltrona dall' altra parte della stanza. 
"Non andare a sentire la luce anche tu, resta a sentire me" piagnucola. Si allunga fino ad afferrare i pantaloni del pigiama e mi tira indietro sul letto cingendomi la vita. Mi bacia il collo, sotto la nuca e un brivido caldo mi attraversa la schiena nuda.
"Enrico sono in ritardo" protesto ma i suoi baci sono sempre più convincenti. Mi sfila piano i pantaloni del pigiama slacciando, il nastrino di cotone con un solo dito, che scivola sulla mia pancia piatta. 
La sua lingua è insistente. Le sue intenzioni sono chiare. Molto probabilmente arriverò in ritardo. Ce la sto mettendo proprio tutta per mandare all' aria questa opportunità di lavoro, mi sa! Dopo un minuto scarso di resistenza mi concedo ad Enrico. Non c'è nulla di più piacevole del sesso mattutino, chi l' ha detto aveva proprio ragione. 


Esco dall' appartamento di Enrico alle sei meno cinque. Devo solo attraversare la piazza per arrivare in redazione: posso ancora arrivare puntuale. Entro in ascensore e finisco di sistemarmi il trucco di fronte lo specchio. L' aria è talmente fredda fuori dall' appartamento che piccoli aloni di vapore acqueo di formano sul vetro mentre mi metto il mascara a bocca aperta. Avete notato che tutte le donne tengono la bocca aperta quando si mettono il mascara? Chissà se esiste una spiegazione scientifica a questo fenomeno. Non che sia fondamentale saperla... 
Le porte scorrevoli si aprono e intravedo il portiere già seduto nel suo gabbiotto. Ma questo tipo lavora ventiquattro ore su ventiquattro?
"Buongiorno" saluto.
"Sgattaiola via?" chiede abbassando un lembo del giornale che sta leggendo. 
"Vado a lavoro" comunico. Non capisco se ce l' ha con me per qualche oscuro motivo oppure si diverte ad indispettire la gente. 
"E cosa fa? Il panettiere? Quei tacchi non sono mica adatti ad impastare la farina" commenta. 
Il panettiere? Ma l' ha mai visto un panettiere lui? Non ho nulla contro i panettieri ma, accidenti, indosso un vestito nero con i dei fiorellini verde scuro di Prada e un giubbotto di pelle. Gli stivali di Jimmy Choo che ho preso ai saldi di redazione la settimana scorsa e una borsa vintage di Chanel che era di mia nonna e -cosa fondamentale- la redazione di Vogue è dall' altra parte della strada. Da cosa ha evinto che facessi il pane? 
Sbuffo e me ne vado senza rispondergli. Sento, in lontananza, una risatina e il fruscio della carta di giornale. Prima di uscire in strada esco dalla borsa la lunga sciarpa di lana verde, in tinta con i fiorellini sul vestito, e l' avvolgo intorno al collo dove sono ancora presenti le impronte di Enrico. Sorrido da sola come una scema ripensando a lui. L' ho lasciato addormentato in un groviglio di lenzuola e pelle. Il suo ventre scolpito era scoperto, una mano era poggiata sul cuore. Sembrava un calciatore pronto a cantare l' inno nazionale prima del fischio d' inizio. 
Entro nel palazzo che ospita la redazione. I caloriferi sono accesi e sembra di essere ai Caraibi. Anita detesta il freddo e il palazzo dev' essere ben riscaldato quando lei arriva, alle dieci in punto tutte le mattine tranne la domenica. 
Prendo il mio badge sul quale compare a grandi lettere la scritta "TEMPORANEO" in rosso. Ha una validità di quarantacinque giorni e ormai siamo agli sgoccioli: meno di una settimana e non sarò più una dipendente di Vogue Italia. Che amarezza. 
"Potresti presto essere alle dipendenze di Vogue America, Filippa!" dice una voce dentro di me. Non riesco ancora a decidere se questo mi renderebbe felice o no. Mi trovo esattamente a metà tra la felicità e la paura. Entrambe le emozioni ti prendono allo stomaco e ti fanno contorcere le budella ma, mentre la paura non ti permette di respirare, la felicità ti fa scoppiare il cuore. Io, in questo momento, provo tutto e l' opposto di tutto. 
Salgo in ascensore. Il silenzio del palazzo vuoto è quasi surreale. Negli ultimi quaranta giorni, ogni volta che sono salita in questo ascensore, ho sempre sentito un sottofondo di musica misto a chiacchiericcio. Fotografi, truccatori, giornalisti, editor, modelle... Milioni di persone sono passate per questo ascensore. Valentino, Karl Lagerfeld, Miuccia Prada; tutti i più grandi nomi della moda mondiale sono venuti ad inchinarsi alla regina Anita. Mi piace pensare a lei come l' Ape Regina a capo di un grande alveare. Il suo miele, Vogue, è uno dei migliori del mondo: se un abito compare su Vogue Italia vuol dire che quello stilista ha veramente colpito nel segno. Se un paio di scarpe viene scelto per un servizio fotografico state pur certi che milioni di donne desidereranno possederle. 
“Filippa, finalmente sei arrivata!” dice Caterina. Sono le sei del mattino e lei sembra già distrutta. 
“Non sono in ritardo” mi giustifico. 
“No, ma purtroppo Grindad è arrivata in anticipo” mi comunica Caterina come se mi stesse annunciando una catastrofe. 
“Ottimo. Dov’è?” chiedo. E’ meglio chiarire subito il tipo di foto che desidero realizzi e metterci d’ accordo sugli orari per gli scatti. Ho un milione di cose da fare prima di partire per gli Stati Uniti. 
“Io, se fossi in te, aspetterei ad esultare!”.
Caterina mi fa strada fino agli ascensori. “Dove stiamo andando?” chiedo. 
“Grindad è sul tetto!” dice sconsolata. Vorrei chiederle che diavolo ci faccia la fotografa sul tetto ma ho come la sensazione che la risposta non mi sarebbe piaciuta. 
Attraversiamo il piano dove sono accatastati scatoloni pieni di abiti smessi e vecchie copie del giornale fino alla porta che si apre sulla terrazza sul tetto. L’ ultima volta che sono stata qui Enrico mi ha mostrato una mia foto a grandezza naturale in mutande che troneggiava sulla piazza sotto di noi. Speriamo che stavolta la sorpresa sia meno shoccante. 
Intravedo una sagoma minuta con i capelli nero corvino arruffati sulle spalle. Un lungo giaccone marrone scuro che poggia in terra avvolge Grindad. E’ di spalle e sembra stia fissando un punto nel panorama di fronte a lei. 
“Grindad, è arrivata Filippa. Il servizio è suo!” annuncia Caterina. La chiama piano, quasi avesse paura di disturbarla. Le lancio un’ occhiata interrogativa, lei alza gli occhi al cielo e fa roteare piano le pupille come se volesse dirmi che questo è solo l’ inizio. 
“Buongiorno Grindad” saluto. 
Lo strano personaggio di fronte a noi non si sposta di una virgola. 
“Grindad? Sono Filippa Torre. Anita ha affidato a me questo servizio. Vogliamo scendere sotto per allestire il set?” chiedo. Grindad rimane immobile. Forse si è congelata dato che siamo su un tetto di Milano alle sei di mattina del trenta novembre. 
Lancio un’ occhiataccia a Caterina che mi bisbiglia che non sa che fare. Mi avvicino alla sagoma immobile e le do una spintarella sulla spalla. La fotografa inspira profondamente e lascia uscire l’ aria dalla bocca. Piccole nuvole si formano davanti a noi. Si volta verso di me ad occhi chiusi e, come nei peggiori film dell’ orrore, li apre all’ improvviso. Sussulto e faccio un passo indietro barcollando sulle nuove Jimmy Choo. 
“Mi stai disturbando!” dice. Richiude gli occhi e gira nuovamente il capo. 
“Ok. Allora ti aspettiamo di sotto. Quando sarai pronta” le dico piano. Indietreggio e torno da Caterina. Non ci giurerei ma credo che se la stia ridendo di gusto segretamente. 
Sono solo le sei del mattino e io sono già stressata e incazzata nera. 


“Quella donna mi manderà al manicomio. Sono in redazione da un’ ora e mezza. Le modelle sono truccate e vestite e quella pazza di una fotografa è ancora a meditare su non si sa cosa sul tetto!” blatero al telefono.
“Mmmmm” arriva dall’ altro lato della cornetta. 
“Enrico mi stai ascoltando?” chiedo. Mi accorgo di aver detto il suo nome troppo forte. Controllo in giro se qualcuno se ne è accorto. Sembra tutto tranquillo. 
“Anche io ti amo. A dopo!”. Enrico riattacca. Evidentemente non mi stava ascoltando e molto probabilmente non era nemmeno sveglio e non si ricorderà di avermi parlato. 
“Quella pazza è appesa ad un cornicione in terrazza e si lascia dondolare avanti e indietro come una scimmia su un albero. Io non sono venuta in redazione quattro ore prima per nulla Filippa. Cerca di risolvere la situazione. C’è un intero staff di la che sta per perdere la pazienza!” mi urla contro Caterina. 
“Cosa diavolo vuoi che faccia? La prendo di peso e la porto giù? Anita vuole che faccia lei le foto!” 
“A me non interessa in che modo la porti giù e le metti in mano quella dannata macchina fotografica. Fallo e basta!”. Caterina si allontana da me sbattendo ferocemente i tacchi sul marmo nero che ricopre il pavimento.
Prendo il cappotto e mi dirigo nuovamente agli ascensori. Pigio il pulsante luminoso per la chiamata. Quando le porte scorrevoli dell’ ascensore si aprono vedo Grindad. Grazie al cielo si è decisa a scendere dal tetto. 
“Oh, Grindad” sospiro. “Sei scesa. Bene, vogliamo cominciare?” le chiedo speranzosa. 
Lei mi guarda inespressiva per un paio di secondi e poi mi oltrepassa senza degnarmi di una parola. Ottimo: la giornata è cominciata male e continua malissimo. 
Grindad si avvicina alla sua attrezzatura ben sistemata sul tavolo e la fissa. Diavolo, se s’ incanta di nuovo siamo rovinati. Anita arriverà in redazione tra meno di due ore e vorrà vedere sicuramente i primi scatti.
Una delle modelle mi passa davanti correndo. Indossa semplicemente un paio di jeans. Nel senso che non indossa nient’ altro che un paio di jeans. E basta. Ok, è chiaro.
La vedo entrare di corsa in bagno. La seguo per vedere se è tutto ok. Entro in bagno e sento strani gorgogli provenire da una delle toilette. “E’ tutto ok?” chiedo. Non arriva nessuna risposta verbale, solo altri vagiti. “Stai bene?” chiedo ancora una volta. Dopo qualche minuto la ragazza in bagno tira lo sciacquone ed esce. Ha la faccia stravolta e il trucco appena fatto per le foto completamente scolato per via del pianto. Dio ti prego fa che non sia anoressica, bulimica o incinta. Ah, Dio, scusa, non dev’ essere nemmeno influenzata.
“Qual è il tuo problema?” le chiedo. Sono spaventata a morte dalla sua risposta. 
Ieri io andata a festa. Forse troppo bere” si giustifica nel suo italiano stentato. 
“E ora come stai?” 
Io bene, tu no preoccupa. Io ora mettere vestito e fare foto. No preoccupa tu. Ok?”. Mi sorride, mi da un colpetto sulla spalla ed esce dal bagno. Questo è davvero il colmo. 
Torno in sala e cerco Caterina. Non vedo ne lei ne Grindad. Fermo un assistente alla fotografia e chiedo dove sono andati tutti. 
“Grindad se n’è andata. Dice che oggi, in questa sala, non c’è lo spirito giusto per fare delle foto. Le vibrazioni che ha sentito sono negative e lei non ha nessuna intenzione di farsi contaminare da noi maledetti bastardi dall’ anima nera. Credo di averla citata alla lettera”. 
“Stai scherzando vero?” chiedo con gli occhi fuori dalle orbite. Non può essersene andata davvero. 
“No, non scherza. Quella squilibrata se n’è andata. Filippa Anita arriverà da un momento all’ altro e spero che tu abbia trovato una soluzione a questo disastro prima di quel momento!” mi urla contro Caterina. Ha il fiatone, è scesa di corsa di sotto tentando invano di fermare Grindad. 
Sono rovinata. Verrò licenziata tre giorni prima della fine del mio stage a Vogue.


Il portone del mio appartamento si apre e sento Arianna rientrare in casa. 

“Filippa sei tu?” chiede. 
“Sono in soggiorno”. Non la vedo da giorni se non di sfuggita. 
Entra in soggiorno e si lascia cadere pesantemente sul divano. I capelli rame si adagiano morbidamente tutt’ intorno a lei come fiocchi di neve rossa. “Sono distrutta” rantola. 
La fisso per qualche istante. C’è qualcosa di strano nel suo abbigliamento. “Perché hai un plaid sulle spalle? Sei uscita con una coperta addosso?” le chiedo. 
“Non è una coperta, sciocchina! E’ uno scialle” precisa. 
“No, quella è una coperta” 
“No. Questo è uno scialle. Certo che ti vanti tanto di lavorare nella moda e poi non riesci a leggere tra le righe” 
“Ok, è una sciarpa. Dove l’ hai presa?” le chiedo. 
“All’ Ikea, dove se no!” ridacchia e si alza per andare a nella sua stanza ad infilarsi il pigiama. 
“Ho prenotato il volo per New York” le urlo. 
Arianna torna immediatamente in soggiorno e si contorce per infilarsi il sopra del pigiama. I lunghi capelli rossi rimangono sotto la maglia e Arianna li tira fuori con un gesto teatrale. “Hai fatto cosa?” chiede. 
“Sto guardando i prezzi degli alberghi in centro ma tra l’ imminente Natale, il Thanksgiving, il ponte dell’ Immacolata e il Black Friday i prezzi sono alle stelle!” 
“Hai deciso di fare il colloquio? L’ hai detto ad Enrico?” chiede sedendosi sul divano accanto a me.
“Diciamo che non ci siamo fasciati la testa prima che piovesse” 
“Che vuoi dire?” chiede Arianna.
“Gli ho chiesto che cosa farebbe lui se io mi dovessi trasferire e mi ha detto che mi seguirebbe ma non so fino a che punto ne sia convinto”
“Filippa queste decisioni non si prendono su due piedi. Non stai parlando di spostarvi da Milano a Como! Comunque ancora non hai fatto nemmeno il colloquio. Forse non pensarci prima del tempo è la soluzione migliore per una coppia appena nata come la vostra!” 
“Comunque c’è dell’ altro” tentenno. Arianna mi fa cenno di continuare. “Davide mi ha proposto di andare a stare da loro mentre sono a New York!” confesso. 
“Da loro chi? Credevo che Davide vivesse a Gibilterra e che ci fosse tornato! Perché diavolo lo senti ancora?” 
“Il padre di Enrico e Davide ha un’ appartamento in centro dato che hanno vissuto a New York per oltre un decennio quando Davide era adolescente. La casa è vuota e Davide mi ha proposto di andare li per risparmiare!” 
“Tu non ti fai problemi a spendere mille euro per un paio di scarpe e poi ti preoccupi di risparmiare sull’ albergo? Filippa, prendi in giro a qualcun altro!” mi dice severa Arianna. 
“Non ho detto che ci andrò” mi giustifico.
“Non c’è bisogno. Filippa tu stai giocando con il fuoco. Io non oso nemmeno immaginare cosa ne penserebbe Enrico!” 
“Enrico non può venire perché ha un mucchio di cose da fare qui!” 
“E questa ti pare una giustificazione sufficiente? Filippa dimmi la verità: viene anche Davide?” 
“Cavolo, no!” esclamo. “Come fai a pensare una cosa del genere Arianna!” 
“Filippa tu hai sempre avuto questa masochistica tendenza ad essere il peggior nemico di stessa ma, credimi, se Enrico venisse a sapere che sei stata a casa del padre o che senti Davide non credo che la vostra storia reggerebbe all’ urto!” 
Arianna si alza e se ne torna nella sua stanza. Metto di lato il portatile che tenevo sulle gambe con la pagina degli hotel ancora aperta e stiro i muscoli delle cosce. Respiro. Inspiro. Prima Grindad che scappa senza scattare nemmeno una fotografia. Poi Anita che da di matto perché Grindad è scappata e adesso si ci mette pure Arianna. Che c’è di male se accetto la proposta di Davide? In fondo sarei sola in una casa chiusa da anni. Riprendo in mano il computer ed apro la posta elettronica. 


Mail
From: Filippina@vivamail.com
To: Dcarrisi@vivamail.com
Oggetto: Ho deciso di accettare la tua proposta. Magari ci sentiamo domani così mi dai qualche informazione in più. Grazie di tutto, Filippa.


Fisso quelle parole per qualche secondo prima di premere il tasto ‘Invia’. Un formicolio mi prende allo stomaco. E’ il senso di colpa. Che diavolo credo di dimostrare facendo così? Cancello tutto e riapro la pagina degli alberghi. Meglio rimanere con i piedi per terra. Io amo Enrico e non farò nulla per mettere a repentaglio la nostra storia. 



Continua... 



Licenza Creative Commons
45 giorni a Vogue by Robi Landia is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia License.
Permissions beyond the scope of this license may be available at robilandia11@gmail.com.

6 commenti:

  1. Robi ti prego, tu che puoi, falla rinsavire!
    Scrivi eh eh eh ?

    Lo scialle coperta! :D

    RispondiElimina
  2. Ma nooo! Si sta comportando bene!!! Nonostante sia tentata non ha fatto (ancora) nulla di male!!! :D

    RispondiElimina
  3. Ma perchè Filippa non ha chiamato Enrico per il servizio fotografico?? Ma perchè questo Davide CI piace tanto??? Ahah.. Tu mi stai facendo saltare i nervi.. Filippa è tentata MA NON HA ANCORA CEDUTO????? Oddioooo, a quando la prossima puntata???? Scrivi scrivi scrivi..

    RispondiElimina
  4. Ahah la citazione della coperta dell'Ikea :D

    Io concordo sempre con Claudia, ormai lo sai.
    NIENTE DAVIDE, please!!

    RispondiElimina
  5. ahahahahah la famosa coperta ikea!! :D
    Ok che Davide mi piace ma forse accettare l'invito non è il massimo, è il primo passo verso il delirio!!!
    Ma le foto non le poteva fare Enrico?? mannaggia!!

    RispondiElimina
  6. OOOOOOOhhhh... Facciamo un fanclub per Enrico per piacere dai! Qualcuno pensi allo slogan!

    RispondiElimina

Dimmi la tua!