giovedì 27 ottobre 2011

Cara Kate...


"Tutti mi dicono sei giovane, hai tutta la vita davanti. E invece io preferirei essere vecchia perchè lo raggiungerei presto. Così invece, se tutto va bene, ho davanti 70 anni prima di rivederlo"
(Kate Fretti, fidanzata dello scomparso Marco Simoncelli)

mercoledì 26 ottobre 2011

Il NON-SHOPPING all' ombra del Duomo di Milano.


Quando non puoi comprare vestiti...
...COMPRI STRONZATE! 

Sono stata a Milano meno di ventiquattrore. Meno di un giorno intero. Meno del tempo di andare e tornare da Los Angeles. E, complice il fatto che non posso comprare vestiti, ho speso i miei soldi in cose che rasentano l' inutilità o -perlomeno- non sono di primaria importanza.

domenica 23 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 8




Enrico si appoggia allo stipite della porta e inspira. "Scusami" sussurra. I muscoli tesi delle braccia, il volto contro la parete. "Ho perso la testa. Succede ogni volta che torna a Milano". Lo fisso e riesco a scorgere una parte di lui fragile in netto contrasto con la forza che dimostra. E' così alto, muscoloso e impostato che potrebbe sollevare il mondo eppure qualcosa del suo passato l' ha fatto scattare come una molla rendendolo di cristallo. Lascio cadere la borsa che stringo incollerita in mano e mi avvicino a lui. Gli accarezzo la schiena, il mio tocco sembra distenderlo magicamente. 
"Andiamo a letto" gli dico prendendolo per mano. 
Enrico si siede sul bordo del mio letto e si toglie le scarpe. "Filippa è tutto ok tra di noi?" chiede dandomi le spalle. Mi piace il suono delle parole 'tra di noi'. Lo fa sembrare reale.
"Enrico è la seconda volta che scappi" mormoro. Mi sfilo i jeans e sbottono la camicetta azzurra che indosso. Lui mi viene alle spalle e mi cinge poggiando la bocca sul mio collo. 
Il suo respiro caldo mi attraversa la pelle. Sto cercando di rimanere lucida e focalizzata sul fatto che lui prende e scappa ogni volta che... Oh... Così non vale!
La sua bocca disegna sul mio corpo, le sue mani corrono veloci. In men che non si dica lui è sopra di me. 
Per tre volte, questa notte, ho cercato di intavolare il discorso e per tre volte è finita sempre allo stesso modo. Alla terza volta, sfinita, mi arrendo. Mi accocolo sul suo petto e mi addormento. Enrico mi regala un ghigno divertito che grida vittoria.
"Hai vinto una battaglia ma la guerra è lunga!" 
"E' piacevole questa guerra!" dice stringendomi ancora di più a se.
Si è rilassato e il suo respiro è tornato quello di sempre, il suo cuore è rientrato nei binari ma io non ho ancora avuto una risposta. 

sabato 22 ottobre 2011

Se la pioggia litiga con le scarpe.




La pioggia, si sa, è quell' attimo di violenta acqua che ti becca proprio quando sei appena uscita dal parrucchiere e indossi le tue nuove, nuovissime, scarpe di camoscio verde chiaro. E succede quel giorno in cui decidi di mettere la borsa di Burberry verde che ti ha regalato il tuo fidanzato perché si abbina perfettamente alle scarpe di camoscio verde prima citate. Ma, in certe situazioni, è anche peggio. E' un fiume in piena in quella che ricordavi fosse una strada di città ed invece adesso sembra uno di quei giochi acquatici in cui un tronco scorre un un letto d' acqua scrosciante.
Ma, come si dice, quando il sole ti splende dentro quello che succede fuori è solo... acqua, appunto.
Questa settimana Claudia di Piccolo Spazio Vitale ha fatto a me e Filippa un regalo graditissimo citandoci sul suo blog e voglio ringraziarla pubblicamente per questo:


che, inutile dirlo, mi ha fatto un gran piacere e che è tratto da questo post!
Grazie Claudia! Io e Filippa te ne siamo molto grate!
Pioggiamente vostra, R.

:P

mercoledì 19 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 7



Il settimo capitolo è stato ispirato da questa stupenda canzone. Enjoy it.



Enrico mi prende la mano e la stringe con forza. I castoni che tengono fermi gli zaffiri dell' anello che porto al dito mi si conficcano nella pelle.
"Filippa andiamo via?" ruggisce. Lo fisso sconvolta.
"Che dici?" chiedo cercando di mantenere un tono disinvolto. Il suo volto è paonazzo, la sua espressione truce. Sembra che stia per esplodere da un secondo all' altro.
Mia sorella ci fissa allibita.
"Filippa andiamo via" ripete. Questa volta non è una domanda.
Mi tira con forza. Attraversiamo il salone quasi correndo. La sua mano tiene salda la mia: quel dannato anello mi sta bucando letteralmente la pelle. Cerco di oppormi ma non voglio dare spettacolo. Quando siamo fuori l' impatto con l' aria gelida è doloroso come un pugno in faccia. "Ma che diavolo ti prende?" gli grido. Lui continua a camminare fino a che non arriviamo al vialetto ricoperto di ghiaia che porta al posteggio. A quel punto mi lascia la mano. "Io torno a Milano. Vieni con me?" chiede.
"Non posso andarmene nel bel mezzo della festa di laurea di mia sorella"
"Non volevi nemmeno venirci e adesso fremi per restare?" la sua voce è cattiva. "Te lo chiedo per l' ultima volta, Filippa, torni a Milano con me? Ora?"

martedì 18 ottobre 2011

Grazie Florence per avermi smosso l' anima.


...e poi ci sono giorni come questi. Giorni in cui non succede nulla di particolarmente brutto, per fortuna, ma che sembrano non andare comunque nella giusta direzione. A volte è colpa anche di una canzone. Tu sei fresca come un quarto di pollo (cit.) poi senti una canzone e puff ti si smuove l' anima. Allora il tuo cervello inizia a girare. Li puoi sentire scricchiolare tutti gli ingranaggi tra un neurone e l' altro, quei pochi che ti sono rimasti sani ai quali ti affidi. Cerchi di inseguire i pensieri ma corrono troppo veloce. Ed è assurdo perché sono i tuoi pensieri. Come fanno i miei pensieri ad essere più veloci di me? E come fanno ad essere così tanti? Non si può star dietro a tutti e così esci di casa e solo a metà strada ti rendi conto di esserti dimenticata di mettere le scarpe. E forse il fatto che hai speso parte dei tuoi risparmi impulsivamente per un paio di occhiali da sole Tom Ford rotondi ai quali facevi la corte da un po' è un segno del destino. Perché stamattina i tuoi occhiali da sole sono spariti nel nulla. A volte non avere un piano è un' ottima cosa. Io un piano non ce l' ho. Una volta ne avevo tanti poi ho capito che avere un piano significa solo che ad un certo punto qualcuno te lo manda a puttane. Ah... qualora non lo sapeste, nella maggior parte dei casi se tu stessa che li mandi a puttane. E poi succede che pensi di stare vivendo un momento spensierato ed invece vuoi solo una cipria di Chanel da quaranta euro perché ti piace la confezione, e stai parlando con una vecchia amica ma in realtà sei distratta da qualcosa. Io sono distratta in questo momento. Forse dovevo solo scriverlo per rendermene conto. Adesso che è nero su bianco è più vero. E' da cosa sono distratta il problema. Punto. E' da cosa vorrei essere distratta che è peggio. Punto e a capo.
Uno di quei giorni in cui sembra che tu stia guardando il tuo corpo che si atteggia a te. Tu sei li, che mangi pop corn mentre guardi il film della tua vita.

Vostra, R.

lunedì 17 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 6



Mia sorella è ufficialmente un dottore in giurisprudenza. Alle undici di questa mattina la mia speranza che lei si trasferisse in Polinesia perché si é innamorata di un isolano e desidera shakerare deliziosi intrugli nelle noci di cocco è svanita per sempre. Lei si è laureata in giurisprudenza e io no. Non importa quanti sacrifici abbia fatto io per la mia laurea. Non importa che io sia ad un passo dall' ottenere un contratto di un anno nel giornale di moda per eccellenza. Non importa che io abbia inseguito i miei sogni. Lei è una stramaledetta laureata in giurisprudenza ed io no. Mia madre gongola, mio padre rosola in una pentola di leggi e decreti. Finalmente hanno coronato il loro sogno di avere una figlia avvocato.
Bravi, congratulazioni vivissime!

domenica 16 ottobre 2011

Beauty Fast Review: Kiko Salviettine Scrub&Peel.


Sembro o non sembro una blogger seria con questo titolo a metà tra l' internescional e il profescional? Lo so, lo so... Anche io, vedendo la mia immagine riflessa nello specchio, vedo una una Robi cuul and profescional! Comunque, siamo seri, per carità...
Non potendo comprare vestiti (vedi QUI) mi sono data al make-up così ieri mentre ero al centro commerciale con la mia allegra famigliuola sono entrata da Kiko per deliziarmi un po'. Necessitavo di una matita nera e ci sono pure i mascara in offerta e -dato che l' occasione fa l' uomo ladro e la donna spendacciona- sono rimasta li dentro quasi un' ora! In questa simpatica ora la deliziosa commessa dalle labbra rosso fuoco mi ha aperto gli occhi sull' ultimo ritrovato della scienza in casa Kiko: le salviettine double face Scrub & Peel. Sono delle salviettine umide che, da un lato, sono rugose e servono a scartavetrare per benino la pelle del viso e per rimuovere le impurità accumulate dopo sacchi e sacchi di patatine davanti l' ultima puntata di The Vampire Diaries (non mi ci fate pensare che ho ancora davanti gli occhioni di Damon che promette a Helena di non andare più via) e, dall' altro lato, lisce, rilasciano una lozione che reidrata la pelle. Secondo i consigli della commessa sopracitata (non riuscivo a smettere di fissare le sue labbra) vanno usate non più di due volte a settimana su una pelle ben detersa precedentemente. Io ne ho usata una dopo la doccia, questa mattina, e devo ammettere che l' effetto è gradevole. La pelle del mio viso risulta sensibilmente più levigata (come dopo uno scrub) ma non secca e screpolata (come dopo uno scrub, appunto). Ho completato il tutto con un velo di crema idratante et voilà, il gioco è fatto. La confezione da venti salviettine costa 5,90 euro ma la donna dalle labbra rosse mi ha consigliato di tagliare in due ogni salvietta perché sono abbastanza grandi. Così ho fatto: quelle labbra erano ipnotiche!

Salviettinamente vostra, R.

mercoledì 12 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 5


"Patti chiari e amicizia lunga" gli dico mentre ascolto il suono del suo cuore come un bambino che si assopisce sul seno materno. Il mio respiro asseconda il battito mentre mi godo le ultime ore a Parigi appoggiata sul suo petto.
Enrico giocherella con una delle mie ciocche di capelli scuri mentre fissa il soffitto.
"Non mi va di non poter far vedere a tutti che ho conquistato la ragazza più bella di Vogue!"
"Ma smettila!"
"Ti fai condizionare troppo da quello che pensano gli altri. Anzi, peggio ancora, da quello che potrebbero pensare"
Mi alzo e mi metto sul fianco appoggiata sul gomito. Lo fisso. "Ti ho già spiegato quanto è importante per me" dico seria. "La massima segretezza è l' unica cosa che ti chiedo. O questo o niente!"
Enrico mi attira a se e mi bacia. Non mi stancherei mai di baciarlo.
"Vorrà dire che saremo dei novelli Romeo e Giulietta" sospira teatralmente.
"Speriamo di non dover fare la loro stessa fine" osservo divertita.
Enrico mi regala uno dei suoi sorrisi e riprendiamo da dove avevamo smesso. Di Parigi, questa volta, non ho davvero visto nulla.


Arianna ci aspetta agli arrivi dei voli internazioni a Malpensa. Il nostro volo da Parigi ha portato più di due ore di ritardo e lei ha pazientemente atteso leggendo un mucchio di riviste. Il cielo a Milano è minaccioso. Saette luminose rigano il nero della notte. Il silenzio è rotto dalla pioggia battente, dalle goccie troppo grosse per pensarle romantiche.
"Ce l' avete fatta finalmente" ci saluta Arianna.
"C'è un tempaccio qui a Milano. A Parigi sembrava primavera!" commento.
"Hai visto spesso il cielo a Parigi?" ammicca Enrico. Gli do una gomitata sullo stomaco ma sono io a farmi male. La sensazione di milioni di piccoli spilli mi attraversa il braccio.
Arianna ci guarda divertiti. "Immagino abbiate passato un buon fine settimana"
"Splendido" dice Enrico sfiorandomi la mano con le labbra.
"Alla faccia della discezione!" commento seccata. Arianna mi sorride complice.
Arriviamo alla macchina completamente zuppi. Da Malpensa al centro di Milano c' è quasi un' ora di macchina ma in tarda serata e con la pioggia battente sono poche le auto che incrociamo ed il viaggio non sembra poi così lungo. Enrico abita a poche centinaia di metri dalla redazione di Vogue, in piazza Cadorna, in un palazzo di fine ottocento. Quando arriviamo di fronte il portone del palazzo indicato da Enrico la pioggia si calma quasi volesse darci la possibilità di salutarci per bene.
"Allora ci vediamo domani mattina" mi sussurra lui mentre le sue labbra sono poggiate sulla mia fronte.
"Discrezione" gli dico seria.
"Si capo!"
"Non sembri dargli il giusto peso" commento.
"A me sembra che tu gliene dia troppo, invece"
"Dobbiamo ricominciare a discuterne?"
"Voglio discutere con te come abbiamo fatto negli ultimi due giorni. Peccato che la redazione abbia speso dei soldi per una camera in più che non serviva"
"Buona notte" dico.
"Sicura che vuoi andare?"
"Devo". Il suo abbraccio è caldo. La tranquillità che emana la riesco a sentire sulla pelle.
Enrico mi regala uno dei suoi baci. Quelli che mi fanno tremare le gambe.
Lo vedo allontanarsi e sparire dietro le pesanti porte dello stabile in cui abita. Le maniglie d' ottone sbattono leggermente quando il portone si chiude. Enrico è fuori dal mio campo visivo. D' improvviso mi manca il respiro. In che diavolo di situazione mi sto andando a cacciare?
Rientro in macchina, dove Arianna aspettava paziente, leggermente stordita.
"Inizia dal principio. Non tralasciare niente. Voglio i particolari. Quelli piccanti ovviamente!" dice mentre girà la chiave e il quadro si accende. Ingrana la prima e parte alla volte di Viale Monterosa.

E' lunedì mattina e piove a dirotto. E' lunedì mattina ma sembra notte. Il cielo è talmente scuro e carico di nuvole nere che me ne resterei a volentieri a letto. Mi sveglio con il buongiorno di Enrico: un semplice sms di poche parole per augurarmi buon lavoro che mi fa sorridere. Se devo essere onesta, non sono certa che lui abbia preso seriamente la mia imposizione di segretezza. Ha continuato a ripetere che non abbiamo nulla di cui vergognarci e, anzi, dobbiamo mostrarci fieri in pubblico.
"Se sei davvero brava come dici nel tuo lavoro mia madre se ne accorgerà a prescindere da chi frequenti" ha detto. Ho pensato che fosse matto. E ne sono sempre più convinta. Eppure sempre più attratta. Quando, a Parigi, l' ho visto andare via incollerito una stretta allo stomaco mi ha tolto il respiro. Per un istante il mio cuore ha smesso di battere. Razionalmente, se mi venisse chiesto di scegliere, sacrificherei quello che sta nascendo con Enrico ad occhi chiusi se fosse compromettente per il lavoro ma sono stata talmente bene con lui a Parigi che -a questo punto- mi chiedo se potrei rinunciare a lui veramente. Non mi era mai capitato di lasciarmi andare completamente con un uomo come è successo con Enrico. In pochissimo è riuscito ad insinuarsi nei miei pensieri come un tarlo, un piacevole tarlo, e ad occupare la mia mente.
"Filly vuoi un passaggio in redazione? Rischi di bagnarti tutta prima di arrivare alla metro" Arianna infila la testa nella mia stanza, una cascata di boccoli rame le pendono da un lato.
"Ma tu oggi non sei di riposo?"
"Si ma devo uscire comunque. Vado con mia madre a comprare il vestito per la laurea di tua sorella Claudia"
"Cristo, Claudia. L' ho totalmente scordato. La laurea è dopodomani e io non ho ancora un vestito e non le ho comprato nulla!"
"In realtà per il regalo ci ho già pensato io: le ho preso uno di questi aggeggi elettronici touch screen con le applicazioni da parte di tutte e due e ti ho messo in conto la spesa"
"Le hai preso un I-pad?" domando interdetta.
"Un commesso tanto carino mi ha detto che lo desiderano tutti i laureati in giurisprudenza" si giustifica seria.
"Chissà su quale base avrà fondato questa affermazione. Ma, qualsiasi cosa sia, è un pensiero in meno quindi per me va bene. Se stasera riesco ad uscire ad un orario umano dall' ufficio vedrò di fare un giro in centro. Ma tu lo sai che mia madre mi ha accreditato tre mila euro sul conto per comprarmi il vestito? Sono veramente fuori di testa!"
"Mercoledì ci sarà da divertirsi!" esclama euforica.
"L' unica cosa che mi consola è l' open bar". In realtà non mi consola affatto.

Arrivo in redazione con un paio di minuti di ritardo. Ferdinanda è già nel suo ufficio e, attraverso le vetrate, la vedo agitarsi al telefono. Sicuramente mi chiederà del servizio fotografico.
Le faccio un cenno di saluto attraverso la porta e lei mi fa segno di entrare e sedermi. Saluta in modo frettoloso il suo interlocutore e poi si accascia sulla sedia come se fosse distrutta. E non sono nemmeno le dieci del mattino.
"Cristo santo che branco di incompetenti. E' così difficle distinguere uno Chanel vintage da uno della collezione attuale?" chiede. Non sono sicura che si riferisca a me così, nel dubbio, le sorrido e basta. "Come è andata a Parigi?" chiede cambiando discorso.
"Molto bene. Credo che la signora Lozzani non avrà nulla da ridire" rispondo vaga.
"Non ha mai nulla da ridire su Enrico. Comunque, per te, è meglio così. Lei è contenta, io sono contenta, tu sei contenta. Se Anita è contenta lo siamo tutti. A proposito di questo, ti va di partecipare alla riunione di mezzogiorno?"
"Davvero?" chiedo incredula. Nessuno stagista ha mai partecipato alle riunioni di redazione con Anita Lozzani. Vengono discussi i segreti più segreti del numero del mese successivo e chi non ha un contratto di lavoro con la società che produce Vogue non ha firmato nessun vincolo di segretezza quindi potrebbe far trapelare delle informazioni.
"Mi fido di te. E poi eri presente quando hanno scattato il servizio di punta del mese di dicembre. So bene che non andrai a spifferare niente a nessuno"
"Ferdinanda, è un' occasione unica. Non so davvero come ringraziarti per la fiducia"
"Continuando a lavorare bene. Ci vediamo a mezzogiorno in punto. Questa cosa ti procurerà non pochi sguardi di invidia. Spero tu saprai gestire la pressione al meglio"
Mi alzo e mi avvicino alla porta quando mi richiama.
"Filippa, voglio che tu tenga a mente una cosa"
"Si, certo. Dimmi"
"Io punto solo sui cavalli vincenti" dice seria. Poi mi sorride allegramente e mi fa cenno di andare. La ringrazio ancora una volta ed esco dal suo ufficio. Sono su di giri e quasi non mi rendo conto che una delle segretarie della fotografia mi sta dicendo qualcosa.
"Signorina Torre, Enrico le manda questa busta. Ha detto di dirle che vengono direttamente da Parigi e mi ha pregato di consegnargliele personalmente. A lei e a nessun altro"
"Ok, grazie" deve aver pensato che Ferdinanda mi avrebbe chiesto del servizio e mi ha mandato i provini. Che caro ragazzo. Le farfalle che ho nello stomaco svolazzano allegre.
Apro lentamente la busta e afferro il malloppo di carta fotografica al suo interno. Sfilo le fotografie dall' involucro e per poco non mi viene un infarto. Accidenti a lui, accidenti! Le farfalle nello stomaco sono volate via lasciando il posto a delle tarantole velenose. Scorro gli scatti ad uno ad uno e non riesco a credere a quello che vedo. Ci sono mie foto mentre dormo, mentre mangio. Ci sono delle foto in cui siamo insieme ed altre nelle quali io non sono esattamente quello che si definirebbe... vestita. Alcune splendide in bianco e nero dove sorrido ed altre in cui le nostre mani sono intrecciate. Si distingue chiaramente il piccolo quadrifoglio che ho tatuato sul polso sinistro. Dento la busta ci sono quasi un centinaio di fotografie che ci ritraggono in atteggiamenti molto intimi. Molto molto intimi. Nonostante la rabbia non riesco a smettere di guardarle. Emanano pace e luce. Sembra che parlino: raccontano la storia di quei momenti meglio di come avrei potuto fare io con le parole. Stento quasi a riconoscermi fissando i miei occhi. Sono diversi da quelli che ho visto riflessi negli ultimi ventisette anni. Sono sereni.
Afferro la busta, infilo le foto dentro e mi precipito agli acensori. L' ascensore sembra metterci un' eternità e quando si apre, proprio nel momento in cui sto per fiondarmi dentro, esce Anita Lozzani. Mi blocco di colpo. Dannazione! Con tutto il tempo che aveva per arrivare... La busta con le foto mi brucia tra le mani. Mi sposto di un passo verso destra e la lascio passare.
"Buongiorno Filippa" mi saluta Anita.
"Buongiorno Signora Lozzani"
"Anita, per carità. Tutti quelli che lavorano con me mi chiamano per nome" mi sorride cordiale.
Se solo vedesse le foto che ho nella busta. Altro che "chiamami Anita"! Dovrei darle del voi e, magari, accennare anche un piccolo inchino. Sempre se non vengo lincenziata a calci nel sedere.
"Mi sono arrivate voci che parteciperai alla riunione del mattino" accenna.
"Spero non sia un problema" dico con un filo di voce.
"Nessun problema. Mi fa piacere un parere giovane e poi sei stata a Parigi con mio figlio"
"Ehm... si... sono stata con suo figlio." balbetto. Mi fissa stranista. "A Parigi. Al Louvre." mi affretto a specificare.
"Bene, allora ci rivedremo a mezzogiorno"
Sorrido forzatamente ed entro in ascensore. Tengo la busta con le fotografie stretta al petto. Ho le dita indolensite dalla stretta e credo di essermi anche tagliata con la carta. Spingo il bottone con il numero cinque, il piano dove allestiscono i servizi fotografici e dove c' è la post-produzione. Quando esco dall' ascensore trovo una gran confusione. Ci sono ragazze svestite che corrono da un lato all' altro seguite da truccatrici. Il chiacchiericcio copre quasi completamente il sottofondo musicale. Fermo una ragazza in jeans e t-shirt che grida qualcosa in inglese a non-si-capisce-bene-chi e le chiedo se ha visto Enrico.
"In saletta" mi dice come se la risposta fosse tanto ovvia quanto io stupida nel farla.
"Dove?" chiedo di nuovo. Che diavolo è la saletta?
"Nella saletta della post produzione. Prendi quel corridoio, la seconda porta a sinistra" dice seccata. Mi oltrepassa senza degnarmi di uno sguardo.
"Grazie" dico ma quella ragazza è già sparita. Mi incammino verso il corridoio. Sto per bussare alla porta indicatami quando si apre.
"Filippa" dice Enrico sorpreso. "Cosa ti porta qui, ai piani bassi?". Strizza l' occhio e mi invita ad entrare nella saletta. "Dio come mi sei mancata stanotte" sussurra quando siamo lontani da orecchie indiscrete.
Non ho il tempo di rispondere. Le sue labbra sono già sulle mie.
"Ero imbufalita quando sono venuta quaggiù" gli dico quando riesco ad impossessarmi nuovamente della mia bocca.
"E perché mai?"
"Queste foto ti dicono niente?" gli dico sventolandogli la busta sotto il naso.
"Un soggetto davvero interessante. Non trovi?"
"Enrico avrebbe potuto vederle qualcuno. Tra l' altro, mentre venivo qui, ho incontrato tua madre in ascensore. Ho iniziato a sudare freddo e le ho detto, testualmente, che ero stata con te. Una scena da brivido!". Ride.
"Devi rilassarti. Focalizzati sul tuo lavoro e non pensare a noi mentre siamo in redazione" mi dice comprensivo. Con una mano mi accarezza, con movimenti regolari, il braccio.
"Come faccio se fai girare certe cose in redazione?"
"Ha ragione. Prometto di non farlo più. Vieni a cena da me?"
"Appena esco di qui andrò a fare un giro in centro. Devo trovare qualcosa per la laurea di mia sorella, non so a che ora finirò"
"Benissimo, vengo con te e poi ti riaccompagno a casa. Non vorrai prendere la metro, da sola, di sera. E, comunque, devo prendere la cravatta abbinata al tuo vestito"
"La cravatta?" chiedo confusa.
"Per la laurea di Claudia. Pensi davvero che ti ci faccia andare sola?"
"Credi sia il caso?"
"Si"
Non mi va tanto di controbattere. Non vorrei nessun altro che lui accanto a me in quella fossa di leoni. Quando mia madre scoprirà che non solo è un fotografo (e quindi non è un avvocato) ma è anche il figlio del mio capo le verranno i capelli verdi.

Quando lo vedo capisco che è lui. Il vestito perfetto. Succede sempre così. Non hai bisogno di cercarlo dovunque. Sarà lui a venire da te.
"Ti piace?" chiedo ad Enrico uscendo dal camerino. Siamo da Valentino in via Montenapoleone.
"Con quel vestito nessuno si accorgerà di tua sorella Claudia" risponde.
Un intreccio di stoffa si lega fino a formare una rosa che si posa sul mio fianco sinistro. Il blu intenso del tessuto stride con i bianchi cristalli che adornano il corpetto e che salgono fino alla spalla creando una sottile bretella. Un intreccio di morbida seta e due pietre che lascia senza fiato. La seta cade fiù fino al pavimento, non c' è bisogno di nessuna modifica.
Costa un po' di più di quello che avevo preventivato ma per la laurea di mia sorella questo ed altro. Senz' altro mia madre sarà d' accordo.
"Lo metta pure sul conto di mia madre" dice Enrico ad una commessa.
"Non è necessario" rispondo ferma.
La commessa ci fissa confusa per un istante. Non è proprio il caso di fare scenate da Valentino. Enrico le fa un cenno con la mano e lei se ne va.
"Non è un regalo. Voglio comprarlo io perché, dato che sarà mio, potrò sfilartelo subito dopo la festa" ammicca Enrico.
Da Romeo e Giulietta siamo passati a Cenerentola?

Continua...


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lunedì 10 ottobre 2011

Ho messo ordine nel mio armadio: decisioni di vita che possono cambiarti la giornata!


Il piccolo divanetto nella mia stanza era stato sommerso. Non se ne si vedevano più i piedi. Il colore non lo riuscivi a distinguere correttamente. Una massa informe di vestiti, jeans, t-shirt e camicie se n' era impossessata. Un variopinto mucchio di cotone e jeans, di seta e viscosa che doveva essere sistemato. Una morbida montagna che doveva essere scalata. Dato che oggi, causa sforzi universitari in tregua, non avevo granché da fare ho esclamato "ordino camera e metto a posto l' armadio!" quando Madre mi ha chiesto che programmi avessi per il pomeriggio. Era davvero necessario. Si erano ammassati vestiti stirati e vestiti smessi in un abbraccio amoroso; tutte le borse che possiedo (Ok, non credevo che fossero così tante!) erano prive delle loro custodie protettive e piene di scontrini e fazzoletti memori di sedute di shopping terapeutico.
Un piccolo pensiero si è insinuato nella mia mente, come un tarlaccio maledetto, mentre venivo a capo di tanto disordine: forse (e sottolineo FORSE) ho troppi vestiti.
Mi sono resa conto di possedere trentasei camicie. TRENTASEI camicie. Ma come diavolo ho fatto ad accumularne tante? Dev' essere stato l' anno scorso quando ci volevano tutti boscaioli del Canada del Nord. Ho scovato quattro paia di pantaloni e una decina di magliette con l' etichetta ancora attaccata. Possiedo una quantità di canottiere che nemmeno un camionista nel suo periodo migliore e -udite udite- mi sono resa conto di avere L' INTERO stock di colori dei maglioncini ZARA. Di quelli nero, marrone e verde ne ho addirittura due e persino la variante che arriva al ginocchio. Nemmeno la figlia del signor Zara ha tutti i maglioncini di Zara a 14.95 euro che ho io (quella è milionaria mica li compra da Zara come la povera sottoscritta, Babbioni!). Ho dei vestiti nell' armadio che ho indossato una sola volta (ad esempio quello comprato in occasione dell' anniversario dei miei che ho deciso indosserò a Capodanno qualunque cosa farò). Una quantità di jeans immonda TUTTI UGUALI e una serie di sciarpe di ogni tonalità, forma e dimensione. Di scarpe e borse non dico nulla. E' meglio così. Ho una dignità.
Ed è per questo che ho preso una decisione. NON comprerò più nulla per un mese. Trenta lunghissimi giorni senza acquistare nemmeno un cardigan. Utilizzerò le cose ancora con l' etichetta e indosserò quello che ho già. Nemmeno una misera t-shirt basic. Oggi è il primo giorno del mio mese di astinenza dallo shopping. Sarà dura ma la decisione è presa. Ho troppe cose. Mi sento male al solo pensiero.

Ordinatamente vostra, R.

venerdì 7 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 4


"Se solo avessi ascoltato il consiglio di Arianna sulla biancheria" penso mentre la mano di Enrico accompagna la cerniera dorata che percorre il vestito dal collo fino all' orlo della gonna. Meno male che non porto i collant. Mia nonna Eleonora, la madre di mio padre, l' unica che ha sempre creduto in me e che ha pianto alla mia laurea, mi ha rivelato la grande verità sui collant quando avevo diciotto anni.
"C' è una cosa che non ti insegneranno mai all' università della moda, cara Filippa, ed è che le donne vere non indossano i collant. Mai. Nemmeno quando fuori nevica. Non si può sapere mai quale sia il motivo per il quale ti devi sfilare il vestito e, tesoro mio, i collant sono la cosa meno piacevole da vedere che esista. Vela le tue gambe si calze autoreggenti e impara a sfilarle. I collant li trovi solo indosso a quelle come tua madre e tua sorella Claudia. Addosso a quelle senza sale. Tu sei diversa, tu sei speciale bambina mia."
All' inizio non ero certa di quello che volesse dirmi. L' ho capito quando ho indossato delle calze autoreggenti per la prima volta. Beh... è tutta un' altra storia!
Il braccio di Enrico mi tiene salda per la vita mentre gli sbottono, lentamente, i bottoni della camicia blu. Il suo torace si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro. I suoi baci sono carichi di eros. Come se un desiderio espresso da tempo fosse stato finalmente esaudito. Il mio vestito è già a terra e presto viene raggiunto dai suoi. Poi si ferma.
"Filippa non voglio fare nulla che anche tu non voglia" mi sussurra mentre il mio corpo è fermo tra il muro dell' ingresso della sua stanza e i suoi pettorali definiti. Il suo braccio non si è mosso di un millimetro, saldo sulla mia vita. I suoi occhi verdi sono carichi di aspettative e, al tempo stesso, pazienti. La decisione è mia.
Per tutte le scarpe di Louboutin! E' anche educato... Vorrei aprire una piccola parentesi e metterci dentro che non sono una abituata alle scelte impulsive. Io sono una di quella che fa le liste di pro e contro. Che soppesa i rischi e valuta le conseguenze ma, dovete credermi, con una statua di marmo come Enrico che in confronto il David di Michelangelo è un racchio di prima categoria è difficile ricordarmi pure come mi chiamo se ci aggiungiamo il fatto che ho bevuto più di quanto avrei dovuto... Ohh fanculo le conseguenze, ci penserò domani. (Decisione saggia e ponderata? Col caz... Ehm... Scelta ponderata un corno!)
Gli prendo la mano e lo conduco verso la camera da letto. Il resto lo potete immagginare. Immaginatelo per tre volte, ok?


"Buongiorno dormigliona" mi sussurra una voce calda destando il mio sonno.
C'è odore di caffé nell' aria. Un rivolo di sole attraversa le tende bianche e infastidisce le mie retine non ancora abituatesi alla luce. Ci metto un po' a focalizzare dove mi trovo. Tento di mettermi a sedere ma la testa mi pulsa.
"Cristo santo ma quanto abbiamo bevuto?"
"In realtà non così tanto, sei tu che non reggi bene"
Enrico è già vestito e rasato. "Che ore sono?" chiedo.
"Quasi mezzogiorno" risponde lui.
"Mezzogiorno?" grido isterica. La mia voce è un tantino gutturale. "Diavolo, il servizio fotografico" esclamo. Mi alzo dal letto e barcollo per un attimo prima di appoggiarmi allo stipite della finestra. Io non devo bere, questo è chiaro.
"E' andato abbastanza bene. Domani mattina scatteremo ancora per qualche ora e poi possiamo tornarcene a Milano" risponde lui come se fosse ovvio.
"La mia presenza, quindi, non era necessaria?"
"Dipende dai punti di vista" dice allegro. Mi viene vicino e mi accarezza la schiena nuda. "Rimanere con me stanotte è stato un regalo eccezionale" mi sussurra. Il suo respiro umido è piacevole ma mi riporta alla realtà.
"Enrico stanotte ci siamo divertiti ma questa non è la realtà. Qui non siamo a Milano" gli dico fissandolo negli occhi. Devo usufruire di tutta la forza di volontà che possiedo per rimanere concentrata.
Enrico indietreggia di un passo e mi guarda confuso. "Filippa non capisco cosa vuoi dire" afferma.
"Enrico qui non ci conosce nessuno. Ci siamo lasciati andare perché lontani dalle nostre responsabilità. Ho faticato come un mulo per arrivare a Vogue. Sono andata contro la mia famiglia e ho ricevuto paghe da fame in giornali che non mi interessavano prima di ottenere questa possibilità. Qui possiamo essere semplicemente Enrico e Filippa ma domani, quando saremo di nuovo a Milano, tu tornerai ad essere Enrico il figlio di Anita Lozzani, quella che fra un mese deciderà le mie sorti. Non posso mandare a puttane tutto proprio ora che sono così vicina ad ottenere ciò che ho sempre sognato" gli spiego onestamente.
Era incollerito. "Ho creduto fin dal primo istante che tu fossi diversa da tutte le altre. Ed invece, proprio come a tutte le altre, ti interessa solo di chi cazzo sono figlio"
"Non è questo che intendo..."
"Fanculo" urla. Prende il cappotto dalla sedia e se ne va sbattendo la porta.
Rimango sola, nella sua stanza, avvolta nel lenzuolo che è stato testimone della nostra notte insieme. Non so dirvi perché, ma vederlo andare via pieno di collera e, sopratutto, di delusione mi ha fatto male all' anima. Avrei voluto corrergli dietro e dirgli che quello che aveva capito era sbagliato. Volevo corrergli dietro e dirgli che era stato meraviglioso con lui questa notte ma ero pietrificata esattamente li dove mi aveva lasciato.
Mi trascino fino all' ingresso della stanza in cerca della mia borsa. La trovo rovesciata a terra di fianco alle mie divine scarpe di Ferragamo. Cerco il Blackberry e chiamo Arianna.
"Filippa è quasi ora di pranzo! Dev' essere stata una nottata di fuoco" risponde alla telefonata la mia coinquilina.
"E' stato terribile" le rispondo in lacrime.
"Filippa perché piangi?" mi chiede Arianna. Sento nella sua voce che é preoccupata. Le racconto di stanotte, di come siamo stati bene a cena e poi le faccio un resoconto dettagliato di quello che è appena successo. Quando finisco di parlare sento Arianna che sospira profondamente, quasi in maniera teatrale.
"Filly da quanto tempo viviamo insieme?" mi chiede.
"Otto anni" singhiozzo.
"Brava. In otto anni ti ho sempre visto concentrata e focalizzata sul tuo obbiettivo: Vogue. Ti sei laureata prima di tutti gli altri; hai conseguito specializzazioni e ottenuto master come se ne andasse della tua vita stessa. Quando ti hanno accettato per i quarantacinque giorni a Vogue hai toccato il cielo con un dito e, anche se pensi che io non me ne sia accorta, so bene quanto ci sei rimasta male quando tua madre l' ha reputato una cosa da niente. Quindi posso ben capire come, ad un passo dal raggiungimento della meta, dopo tutti questi anni di sacrifici, tu possa pensare che una tresca con il figlio del capo non sia l' ideale ma -se vuoi sapere la mia opinione- non glielo devi di certo andare a dire subito. Hai ventisei anni e ne hai già persi troppi a pensare al domani senza goderti il presente. Se lui ti piace e tu piaci a lui potrebbe essere pure figlio del papa! Non precluderti questa possibilità a prescindere"
"Cosa potrebbe pensare la gente se lo venisse a sapere?"
"Che hai un gran culo. Non solo otterrai il lavoro perché te lo meriti ma anche, e aggiungerei sopratutto, perché hai accalappiato un figo pazzesco che è pure un signore. Vallo a trovare un altro che lavora nella moda che non porta la borsetta come una donna!" Arianna ha una visione un po' distorta degli uomini che lavorano nel mondo della moda: li immagina effeminati fino ai limiti del ridicolo e rigorosamente con una grande borsa da donna al braccio. Non che non ce ne siano così ma...
Le parole di Arianna mi rincuorano. La saluto e la ringrazio. Raccolgo le mie cose e me ne vado nella mia stanza. Ho bisogno di riflettere sotto il getto bollente della doccia.

Sono passate da poco le sei del pomeriggio ed Enrico non è ancora tornato in albergo. ho provato a chiamarlo una decina di volte e gli avrò mandato più di venti messaggi dall' ora di pranzo. Non sono certa di cosa dirgli ma è giusto parlare di quello che è successo affrontando la discussione come due adulti senza che uno dei due scappi via come un pazzo.
Sono seduta al bar della hall dalle quattro. Sul tavolino di vetro con la base di plexiglas trasparente (la maggior parte dei mobili nella lobby dell' hotel sono trasparenti per questo ho due lividi sul ginocchio e uno sul braccio destro) c' è la Coca Cola Zero che ho ordinato. Ormai è calda e sgasata e non ne ho bevuto nemmeno un sorso.
Alle sette finalmente lo intravedo dalla finestra vicino alla quale mi ero strategicamente posizionata tre ore fa (si, sono a Parigi e passo un intero pomeriggio nella hall dell' albergo a fissare la strada di fronte). Enrico paga il taxi e fa un cenno di saluto con la mano all' autista prima di entrare e recarsi alla reception per chiedere la chiave della sua stanza. Io prendo la mia borsa e, senza farmi vedere, salgo al suo piano e lo aspetto davanti la porta della camera.
"Sei tornato finalmente" gli dico non appena i nostri sguardi si incrociano.
"Che ci fai qui?" chiede aspro. Non c'è segno della dolcezza della sera prima nella sua voce.
"Ti va di parlare?" faccio paziente.
"Ti do il numero di cellulare di mia madre magari chiedi a lei di fare quattro chiacchiere, ok?"
Sospiro alla sua battuta e accenno un mezzo sorriso (di quelli che dicono "abbiamo capito che sei offeso ma smettila di fare la primadonna" che si concedono ai maschi che si fanno tenere). Lui mi fissa per qualche istante poi infila la chiave magnetica nella fessura apposita sulla porta e la apre.
"Entra" dice.

Continua...

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giovedì 6 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 3


Svogliatamente infilo roba nella valigia senza guardare. Ma che cavolo ha in mente Enrico? E' necessario che io vada fino a Parigi? La risposta è facile: si! Come ha ben detto Ferdinanda "non si dice no al figlio del capo!".
La porta dell' ingresso si apre e sento Arianna che farfuglia qualcosa.
"Ari sono a casa" le grido prima che pensi che ci sia un ladro e mi venga incontro con un bastone (si, purtroppo, è accaduto).
"Che ci fai qui all' ora di pranzo?" chiede stranita entrando nella mia stanza da letto. Si butta sul divanetto accanto l' armadio e sbuffa "sono distrutta. Non avevo mai visto tanti bambini che vomitano tutti insieme". Arianna è specializzanda in pediatria al San Raffaele di Milano.
"Che schifo!" commento.
"Puoi dirlo forte sorella. Perché fai le valigie?"
"Vado a Parigi nel pomeriggio" faccio rassegnata.
"A Parigi?" le schizzano gli occhi fuori dalle orbite "a fare cosa? Portami con te!"
"Vado a Parigi a farmi licenziare!"
"Questi di Vogue ci tengono davvero tanto ai sentimenti dei loro dipendenti se per licenziarli li portano addirittura a Parigi". La fisso shockata. Lei ricambia sorridendomi.
"Enrico ha fatto si che io dovessi andare a Parigi con lui per seguire il servizio fotografico al museo del Louvre. Ecco perché vado a Parigi. Non credo proprio che a quelli di Vogue importi dei sentimenti di chi licenziano" le spiego paziente.
"Quel ragazzo ne sa una più del diavolo!"
"Non riesco a capire perché si comporti in questo modo"
"La risposta è più semplice di quanto tu possa immaginare: gli piaci. Devi capire che è uno abituato ad avere tutto ciò che vuole ed evidentemente in questo momento vuole te" mi spiega Arianna.
"Ma perché proprio io?"
"Perché sei bella? Intelligente? Adorabile? Perché non te la tiri come tutte quelle sgallettate che lavorano con te? Di motivi ce ne sono a iosa!". Arianna è un miracolo per l' autostima. 
"E' meglio che vada prima di sentire altre fandonie"
"Spero tu abbia messo in valigia della biancheria intima adeguata" ammicca.
La guardo in cagnesco, afferro il manico del trolley e lo tiro via oltrepassandola. "Ci vediamo lunedì" saluto chiudendomi la porta alle spalle.


Arrivo a Malpensa con due ore di anticipo sull' ora del volo. La redazione mi ha messo a disposizione una macchina per andare in aeroporto ma ho preferito prendere un autobus: non avrei potuto affrontare più di un' ora di viaggio se ci fosse stato anche Enrico.
"Filippa, sei già qui?". La voce di Enrico si insinua nei miei pensieri.
Dannazione quanto è figo. Mi gira la testa. I capelli castani leggermente ondulati gli incorniciano un viso definito e forte. Ha gli stessi occhi della madre, di un verde marino cristallino, che sembrano quasi trasparenti. Oh Gesù io mi ci trufferei in quel mare... Filippa! Oh, si, scusate. Io voglio il lavoro, io voglio il lavoro, io voglio...
Gli sorrido ma non spiccico una parola. Non sono sicura che la mia bocca sia totalmente collegata al cervello in sua presenza e, di conseguenza, è meglio evitare di darle fiato.
La hostess al banco dell' Alitalia ci sorride cordiale e ci consegna le carte di imbarco.
"Per qualsiasi cosa non esiti a chiedere" dice la hostess rivolta ad Enrico. Accenna un occhiolino e sorride ammiccante. Lui si gira verso di me e mi poggia una mano sulla schiena.
"Non mancheremo" risponde usando il plurale e mi fa strada verso i controlli di dogana lasciandola interdetta. Non posso non gongolare. Ma solo un pochino...
"Sono tutte ai tuoi piedi" commento sarcastica.
"Non tutte" dice serio "non ancora almeno" mi supera e poggia la borsa a tracolla sul rullo per i controlli, in un cestino a parte mette il computer portatile, l' I-pad e una piccola digitale Canon.

Il cielo a Parigi è limpido come in una mattina di maggio nonostante sia novembre inoltrato. L' aria è frizzante ma il freddo non è così penetrante come mi aspettavo. E' la terza volta che torno a Parigi. La prima volta sono venuta con i miei genitori e mia sorella minore quando avevo dodici anni ma passammo un' intera settimana a Disneland senza mai uscire. La seconda volta sono venuta con Arianna quando avevo vent' anni: eravamo al secondo anno di università e i suoi genitori avevano deciso che il nostro appartamento fosse da ristrutturare così ci mandarono tre settimane in Francia completamente a spese loro. Dopo otto anni di convivenza con Arianna non ho ancora capito cosa facciano i suoi genitori per essere così dannatamente ricchi.
"Sei mai stata a Parigi?" mi chiede Enrico mentre un taxi ci porta in albergo.
"Ho vissuto qui per quasi un mese" spiego e gli racconto della ristrutturazione " ma sono passati sei anni da quella volta"
"Io ci vengo spessissimo per lavoro. Parigi offre un' infinità di luoghi magici da usare come locations. Mi piace l' aria sofisticata e un po' snob di questa città: è come se avesse bandito la volgarità dalle sue strade!" dice affascinato mentre i suoi occhi accarezzano il panorama che scorre dal finestrino.
E' perso nei suoi pensieri e mi fermo ad osservarlo. Ha una piccola ruga d' espressione che parte dall' occhio destro e gli circonda lo zigomo. Il suo naso è importante ma in perfetta armonia con il resto del viso. Le sue labbra carnose sembrano pompate con il botox e sono di un color fragola spento e sensuale.
Il mio cellulare inizia a gracchiare riportandomi alla realtà. Leggo "mamma" sullo schermino ed improvvisamente mi viene in mente che non le ho detto nemmeno che partivo.
"Filippa, tesoro, hai avuto il cellulare spento per un sacco di tempo. Dove sei finita?"
"Mamma sono a Parigi. Un impegno di lavoro improvviso. Me l' hanno detto stamattina che dovevo andare" le spiego.
"Oh tesoro e quando hai intenzione di tornare? Ti chiamo per dirti che hanno appena pubblicato le date delle lauree e tua sorella discute la tesi mercoledì".
Dannazione, già si laurea? Speravo che questo giorno non arrivasse mai. Mia sorella minore Claudia è l' orgoglio dei miei genitori. Mia madre, avvocato matrimonialista conosciuta in tribunale come "Terminetor: la donna che termina con il marito in mutande"; e mio padre, avvocato penalista affermato, volevano che entrambe le loro figlie studiassero legge. Quando comunicai loro che non avevo nessuna intenzione di lambiccarmi il cervello tra il diritto penale e il diritto di famiglia in casa mia si sfiorò la tragedia. Io scelsi lettere con indirizzo moda con sommo sdegno di mia madre. Claudia, due anni più piccola di me, ha studiato giurisprudenza e frequenta lo studio legale dei miei genitori da quando era al secondo anno. Potete ben immaginare quanto piacere ho ad andare ad una festa in cui mia madre vanterà mia sorella come la degna erede dello studio legale Torre fondato da lei e mio padre trent' anni prima dopo che io ho deliberatamente scelto altro (non lo specifica mai cosa faccio. Come se nella mia carta di identità, alla voce professione, ci fosse scritto "rapine e furti con scasso"). Sarà una serata piacevole come una ceretta all' inguine in due soli strappi.
"Mamma spero di poter venire in serata. Devo parlare con il mio capo e chiedere se posso allontanarmi dall' ufficio"
"Oh, schiocchezze signorina. Claudia rappresenta la nuova generazione di giuristi della nostra famiglia non puoi certo perdertela per correre dietro a qualche modella che sgambetta e fa le smorfie". Per lei, più o meno, è questo che faccio tutto il giorno.
"Farò il possibile" taglio corto "fatemi sapere l' ora. Adesso devo andare mamma, saluta papà e Claudia. Un bacio". Chiudo la conversazione prima che lei possa dire altro.
Butto il Blackberry nella borsa quasi scottasse. Enrico mi lancia un' occhiata interrogativa che si scioglie subito in un sorriso divertito.
"Mia sorella si laurea mercoledì e i miei genitori sono su di giri perché finalmente c'è un nuovo avvocato in casa" spiego.
"Volevano che anche tu diventassi avvocato?".
Annuisco.
"E come mai hai scelto lettere?" chiede ancora.
"Tu perché non hai studiato ingegneria?". La mia domanda spiega tutto.

Dopo aver sbrigato le formalità di check-in in albergo Enrico mi propone un giro nei pressi di Montparnasse per cena.
"Ci vediamo nella hall alle otto?" chiede lui di fronte le porte dell' ascensone.
"Domani mattina dobbiamo essere sul set molto presto". Ci hanno concesso di scattare in alcune sale del Louvre a patto che tutto fosse smontato e finito prima di mezzogiorno.
"Se non c' è il fotografo, che sarei io, non si comincia quindi non vedo il problema" sorride.
"Ok, facciamo otto e trenta. Ho bisogno di una doccia". Ci salutiamo e ci avviamo alle nostre camere da letto.
Dalla finestra della mia stanza si gode una splendida vista dell' Operà di Parigi. Sembra una cartolina che immortala il crepuscolo sulla città. I due angeli dorati che troneggiano sulla struttura sembrano volermi dare il benevenuto. Le loro ali spiegate sembrano volere abbracciare l' infinito.
Appendo i vestiti che ho portato con me nell' armadio e mi concedo una lunga doccia bollente. Se solo me lo avessero detto stamattina quando mi sono alzata non ci avrei mai creduto che avrei passato la notte a Paris!
La doccia mi rimette al mondo. Non faccio in tempo ad asciugarmi che il mio cellulare squilla. Prego il cielo che non sia di nuovo mia madre o -peggio ancora- mio padre. Non potrei sopportare un' altra sviolinata per la laurea di Claudia.
"Filly" la voce allegra di Arianna irrompe nel silenzio della stanza "ti sei già sollazzata con quel figo? Ahhh prima che mi dimentichi. Ha chiamato tua sorella Claudia..."
"Lo so!" la interrompo brusca "mia madre ha già chiamato per la bella notizia". Ovviamente sono sarcastica. Bella notizia un corno!
"Ha invitato me e i miei genitori per mercoledì sera. La festa sarà in un piccolo borgo fuori Genova" mi spiega Arianna.
"Niente a che vedere con la cena in famiglia per la mia laurea!"
"Credo che la tua festa di laurea, in confronto a quella di Claudia, sembrerà il pranzo della domenica a casa dello zio a Trastevere!"
Ora ditemi voi che diavolo di paragone è? Io non ho uno zio a Trastevere: che cavolo ne so come passa le domeniche? Sbuffo. "Ti conviene comprare qualcosa di adeguato" aggiunge Arianna.
"Farò senz' altro un giro da Dior" commento sarcastica. Per la mia laurea avevo un tailleur di Armani. Nero. Anonimo. Triste. Come la faccia dei miei.
"Filly so quanto ti pesa che i tuoi non accettino che il tuo lavoro sia serio quanto il loro ma non puoi fartene una malattia. E comunque sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato!"
"Magari Claudia si innamorava di un congolese e scappava in Congo senza finire gli studi. O decideva che la sua strada era con Medici senza Frontiere... che ne so!" farfuglio sconsolata.
"Ormai la tesi è consegnata. Vedrai che sarà a lovely night"
"A proposito di lovely night. Mi vesto che ho appuntamento con Enrico per la cena tra mezz' ora" dico guardando l' orologio digitale sulla tv.
"Chiamami appena torni. Sono di turno tutta la notte e non resisto fino a domani" dice entusiasta "beh, ovviamente, se le luci della serata si tingono di rosso ti do il permesso di chiamarmi domani mattina. Ma presto!"
"Ma che diavolo... Buona serata Arianna!"
"Anche a voi" canticchia e riattacca.

Quando le porte dell' ascensore si aprono intravedo Enrico. E' seduto al bar e sorseggia un liquido marrone scuro, un whisky forse. Indossa un paio di jeans e una camicia blu, sulla sedia di fianco la sua vi è poggiato un cappotto, blu anche quello.
"Ehy" gli dico arrivandogli alle spalle "è molto che aspetti?"
Lui si gira e mi sorride "il tempo di un buon whisky". Il suo alito caldo misto all' odore agre dell' alcol mi travolge e per un attimo mi trema la terra sotto i piedi. Enrico si alza, afferra il cappotto e mi prende per mano trascinandomi, oltre la hall, in strada.
Lo sbalzo di temperatura tra l' interno e l' esterno è doloroso come un pungo sullo stomaco. Non che abbia mai provato cosa vuol dire ricevere un pungo sullo stomaco ma, stando a quello che fanno vedere nei film, non dev' essere piacevole!
"Dove andiamo?" chiedo mentre un taxi si ferma di fronte a noi ed Enrico apre la portiera per farmi salire.
"Vedrai, ti piacerà" dice e sorride sedendosi accanto a me sul sedile posteriore.
Da quando siamo a Parigi mi sento stranamente più rilassata. Sarà l' aria romantica del posto o il fatto che li nessuno ci conosce. Potremmo tranquillamente passare per una normale coppia di amici (è bene che si specifici. AMICI!) che va a cena fuori. Insomma non siete mai andati a cena con un amico? Ecco, appunto.
Il taxi ci lascia davanti davanti ad un locale con le finestre basse dall' aria tipicamente francese. I tavolini posti davanti l' entrata sono vuoti dato il freddo ma apparecchiati come se aspettassero di essere riempiti da un momento all' altro. Entriamo nel piccolo locale e un buon profumo di pane fresco misto a spezie provenzali mi inonda le narici. L' ambiente è rustico e la stanza è interamente di legno. Le tovaglie rosse mi fanno pensare al Natale anche se manca più di un mese.
"Enricò bienvenue à nouveau" un omino tarchiato completamente vestito di bianco saluta Enrico aggiungendo un simpatico accento all' ultima lettera del suo nome.
"Gastone che piacere rivederti" ricambia lui "hai un posticino tranquillo per noi?" dice facendo l' occhiolino a Gastone.
"Certainement, chi è cette bon fille?" chiede lui complice.
"Une ami, Gastone, une ami spécial"
Gastone mi porge il braccio e ci invita a seguirlo verso un tavolo in un angolo del locale seminascosto da una fioriera.
"Qui potrete stare in pace" dice Gastone in un italiano stentato condito da un romantico accento parigino. "Vi porto il solito?".
"Nous sommes dans tes mains" risponde Enrico.
"Non sapevo che parlassi francese" commento quando Gastone si è allontanato sorridente.
"Solo qualche parola. Ti piace il posto? Io vengo qui ogni volta che passo da Parigi e devi ritenerti molto fortunata signorina: prima di te, qui, ero venuto solo con mia madre! Questo posto è una perla di tranquillità che preferisco non condividere"
Bravo, nominala! Avevo quasi dimenticato chi è tua madre...
Le portate si susseguono in un mix di gusti forti, il vino scorre piacevole come un fiume in un periodo di piena.
"Non avevo mai mangiato così tanto" commento all' arrivo della crème brûlée. L' odore paradisiaco di panna e zucchero bruciato mi invita a divorarla.
"Ancora un goccio" Enrico mi versa un altro bicchiere di un ottimo vino rosé.
Mi sento vagamente alticcia. Purtroppo io non reggo bene nemmeno la Coca Cola quindi, molto probabilmente, quando verrà il momento di andare, avrò dei problemi a reggermi sulle gambe!
Enrico mi raccontata di avere tre fratelli più piccoli nati dal secondo matrimonio del padre con i quali però non ha un gran rapporto dato che vivono negli Stati Uniti.
"Anche io vorrei che mia sorella fosse negli Stati Uniti in questo momento" gli rispondo sconsolata. Nemmeno la crème brûlée riesce a togliermi Claudia dalla testa.
"Ci vengo io con te mercoledì" propone all' improvviso.
"Non dire schiocchezze"
"Sarò il tuo scudo contro tutte le frecciatine che ti verranno rivolte".
Che tenero, parla senza cognizione di causa...

Quando riapro gli occhi sono seduta dentro una macchina di fronte l' entrata del nostro albero. Mi ci vuole qualche minuto per mettere a fuoco cosa mi circonda.
"Gesù... mi sono addormentata?" chiedo ad un divertito Enrico.
"Appena ti sei seduta in taxi. Tu russi". Lo guardo esterrefatta. "Scherzo..." aggiunge.
Quando le porte dell' ascensore si chiudono davanti in nostri occhi mi tolgo le scarpe. "Mi stavano dando la morte" commento tenendo in mano un paio di Ferragamo nuove che sono tanto belle quanto scomode. E, dovete credermi, sono proprio divine.
Date le mie percezioni alterate dal vino non so bene come la sua bocca si sia trovata d' improvviso sulla mia quando ho alzato la testa con le scarpe in mano. Le sue mani scivolano lente sotto il mio cappotto e con una stretta mi cinge la vita, il suo petto scolpito sul mio, le sue labbra carnose sulle mie. Il mio cuore batte come un martello pneumatico sull' asfalto. Il suo bacio è caldo, appassionato. La voglia di lui mi accarezza la schiena, tutte le cellule del mio corpo sono attratte da lui come calamite di poli opposti. Sapiente si sposta sul collo e mi bacia ancora, avidamente. Le mie mani si tengono alle sue spalle: le mie gambe stanno per cedere. Ritorna sulla bocca, lo accolgo senza poterne fare a meno. Il bacio di due persone che si sono trovate, la passione di due corpi che si incastrano come pezzi di un puzzle. L' unica cosa che riesco a pensare in questo momento è che lo voglio, che è giusto.
Il tintinnio dell' ascensore ci avverte che siamo arrivati. Non so di preciso nemmeno a che piano siamo. Enrico mi tiene salda per mano ma non c' è il rischio che vada da nessuna parte. Apre la porta della sua stanza tirandomi dentro. Le sue labbra sono di nuovo sulle mie.

Continua...

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domenica 2 ottobre 2011

Desiderate.



Ma chi è che desidera ciò che ha già? Avere una cosa e desiderarla allo stesso tempo è un nonsenso. Non prendiamoci in giro. Che sia un oggetto, un sentimento, un uomo... si brama ciò che non si ha. L' eterna insoddisfazione che proviamo è data dalla condizione di essere umano. Siamo schiavi di questa condizione, schiavi del desiderio. E ringraziamo Dio. Cosa sarebbe la nostra vita senza desiderio? Senza la brama di essere migliori, di avere di meglio, di fare di più? E non c' è nessun desiderio che dovete definire deplorevole. Desiderate il sesso, desiderate il divertimento, desiderate l' apparire o il denaro. Niente farà di voi esseri meri. Il desiderio è giusto ed è giusto desiderare sempre di più, sempre di meglio. Non mi piacciono quelli che dicono che si deve desiderare ciò che si ha: quello è accontentarsi e accontentarsi non porta mai a nulla di buono. Mettetevelo in testa. Il desiderio di un abito nuovo non farà di voi dei superficiali. Il desiderio di un bicchiere di vino in più non farà di voi degli alcolisti. Il desiderio di una notte di sesso in più non farà di voi dei maniaci. Il desiderio di un po' di soldi in più non farà di voi degli avidi. Non cercate ragioni nei vostri desideri. Assecondate le vostre passioni fino a che siete ancora in tempo. Non lasciate che il tempo o la società vi portino via l' entusiasmo: nessuno può arrogarsi di decidere quali desideri sono giusti e quali sbagliati. Preoccupatevi delle conseguenze solo domani, con il sorgere del sole. Ma, attenti, non desiderate a caso ma chiedete solo ciò che desiderate davvero perché -anche se ancora non ci credete- i desideri prima o poi si avverano e non vorrei che vi trovaste per le mani qualcosa che non sapete gestire. Per questa notte ballate al ritmo del desiderio. Quando le vostre gambe non reggeranno più il peso degli anni saranno i ricordi a darvi la forza e badate bene che questi non si trasformino in rimpianti perché da quelli non si fugge.

Desideratamente vostra, R.

sabato 1 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 2


Arianna si alza e va in cucina a raccimolare qualcosa per cena.
"Filly ci sono due tisane in cucina, vuoi che te ne scaldi una?" la sento gridare dal corridoio.
Il destino mi starà volendo dire qualcosa, immagino, con questa tisana. Sarà davvero miracolosa! "Ok, ma non troppo calda, la mia gola è in fiamme!" rispondo.
La vedo tornare in soggiorno con in mano un bicchierone di plastica.
"Ehm credo che quel figo che è appena uscito dalla porta sia intenzionato con tutte le scarpe a non farti finire lo stage!" Con tutte le scarpe? Ma che cavolo...
Non capisco cosa vuole dire e le lancio un' occhiataccia. Lei mi pone sotto il naso un bicchierone di plastica trasparente contenete una strana brodaglia di un colore non bene identificato a metà tra il marrone fango dopo una piovuta di due giorni e il verde cancrena.
"Io quella cosa non la bevo!"
"E fai bene, fa una puzza che non ti dico ma guarda meglio il bicchiere"
Noto una scritta fatta con un pennarello nero sulla plastica trasparente:

Rimettiti presto, la redazione senza te è vuota.
Enrico.
323 5949322

La fisso esterefatta per dei minuti che sembrano delle ore.
"Hai proprio fatto colpo" commenta Arianna. Sembra quasi divertita.
"Se solo qualcuno in redazione lo scoprisse. Pensa che vergogna" rifletto a voce alta.
"Ma tu non hai fatto niente. Da quanto ho capito non l' avevi notato nemmeno!"
"Insomma, uno così lo noti anche se non lo vuoi notare. Se poi ci metti il fatto che ho seguito la vita di sua madre come una stalker professionista... So bene chi è e cosa fa ma sono anche conscia del fatto che è un territorio off limitis. E' inutile anche illudersi che questa cosa possa portare a qualcosa di buono"
"Allora che faccio? Butto il bicchiere?" chiede Arianna.
"Si! Butta bicchiere e nubero!". Starnutisco.
"Ooooook...." risponde ammiccando Arianna. Fa dei passi lenti e sparisce nel corridoio.
Però, in fondo, avere il suo numero mi potrebbe servire. Se dovesse chiamarmi sul cellulare mi spunta che è lui e posso rifiutare la chiamata, no? Se non avessi il suo numero risponderei e sarei costretta a parlargli, magari ad eccettare un invito a cena...
"Ariaaaaaaaaannnnnnnaaaaa" la chiamo con la poca voce che mi è rimasta.
"Lo sapevo!". La mia coinquilina spunta da dietro lo stipite della porta con in mano il bicchiere inciso.
"Lo tengo solo perché così, se dovesse chiamare, so che è lui e posso rifiutare la chiamata!"
"Lui non ha il tuo numero" osserva acuta "forse dovresti mandargli un sms per darglielo e, se vuoi, dirgli di non chiamarti".
"Sei seria?" certe volte devo accertarmene. Se ne esce con alcune affermazioni che hanno dell' inverosimile e, cosa ancora più assurda, nelle quali crede fermamente.
"Ovviamente!".
"Lo immaginavo".


Il sole è alto su Milano. Nemmeno una nuvola puntella il cielo celeste sulla capitale del glamour. Il mio dannatissimo virus ci ha messo un po' ma si è finalmente andato a fare benedire! Oggi torno a lavoro. Mi sento eccitata come una ragazzina al primo giorno di liceo. Ho perso sei giorni di lavoro e li ho passati allegramente china sul water della mia casa milanese (i primi tre) e china sul water della mia casa milanese a pensare a come non pensare più ad Enrico (i secondi tre).
Ovviamente non sono arrivata a nessuna soluzione soddisfacente. Tra l' altro era impossibile dato che posso parlarne solo con Arianna. Purtroppo i suoi consigli vengono dal altri pianeti, sicché... Comunque, è inutile farsi prendere dal panico. E' possibile che oggi nemmeno lo incontri in redazione. Che poi, diciamocelo, con tutte quelle modelle che girano per i corridoi di Vogue e le altrettante che incontra durante i servizi fotografici che cosa ci troverà mai in me? Ehy, ma che fate? Siete d' accordo? Io non ho proprio nulla da invidiare a quei manici di scopa! E' vero che non sono molto alta ma il resto è ben proporzionato!
Poter indossare, finalmente, qualcosa che non sia un pigiama o una vestaglia di spugna fucsia è un sollievo. Ho scelto un vestito di Dolce e Gabbana che ho comprato ad una svendita riservata alla stampa l' anno scorso di lana grossa, grigio scuro, in perfetta sintonia con i miei occhi (già... i miei si potevano sforzare un tantino di più e farmeli celesti ma anche grigi non sono male!). Ovviamente vi starete chiedendo quanto sia alto il tacco delle mie scarpe. La risposta è semplice: zero! Sfatiamo il mito che vuole tutte le stagiste in tacchi a spillo e sguardo da star. Faccio, come minimo, tre piani di scale all' ora con in mano fogli/sacche porta abito/blocco per gli appunti/Blackberry; se ci dovessi aggiungere anche l' equilibrio precario mi romperei un osso la settimana. Del resto io a Vogue (per adesso) ci devo stare solo quarantacinque giorni, sei dei quali già andati a putta... Filippa per carità! Sei una signora! Dicevo, sei dei quali passati a casa ma non piangiamo sul latte versato. Oggi torno a lavoro e l' oroscopo che ho ascoltato alla radio stamattina mentre facevo la doccia mi ha dato quattro stelline su cinque! Non male...
"Ariiiii" grido dalla mia stanza "mi dai un passaggio in macchina?"
"Siiiiiii ma devi essere celere il mio turno è iniziato venti minuti fa!" il che non è vero. Dato che Arianna è una ritardataria cronica all' inizio di ogni anno mi chiede di cambiare gli orari dei suoi turni in ospedale e di anticiparli di un arco di tempo che va da un' ora ad un' ora e mezza. Io, che vivo con lei da otto anni, so bene che un' ora e mezza non è sufficiente e le ho anticipato tutti gli orari di più di due ore. Come faccia ad arrivare in ritardo nonostante tutto rimane ancora un mistero.
Ci incontriamo davanti la porta d' ingresso. "Stai bene. Mi piace questo trucco" dice Arianna sorridente. E' costantemente su di giri. Anche lei sta da urlo. Ha dei capelli color del rame appena lucidato naturali, ereditati dalla madre aristocratica di origini irlandesi, e il viso punteggiato da minuscole lentiggini il tutto condito da due occhi celesti (quelli che i miei non sono riusciti a farmi) enormi.
L' ascensore del palazzo in cui viviamo (che è interamente di proprietà dei genitori di Arianna) è di una lentezza sconcertante. Arrivate davanti il portone dello stabile, attraverso le porte di vetro, scorgo una sagoma vagamente familiare.
"Cazzo!" sussulto.
"Filippa! Dovresti limitare le tue imprecazioni" mi riprende Arianna.
"Ascoltami bene. C'è quel dannatissimo Enrico fuori dal portone appogiato ad una jeep blu. Lo vedi?". Arianna sporge un po' la testa e poi la rientra furtiva.
"Io quella camicia a quadretti gliela strapperei all' istante" ammicca facendo su e giù con la testa. Ovviamente il suo commento, come sempre, è opportuno come il formaggio sulle pesche.
"Esci e distrailo mentre io me la filo verso la metro". Ma vedi un po' se devo fuggire da casa come una ladra.
"Sei davvero scortese. Magari è venuto perché sa che non hai la patente e vuole darti un passaggio. Siamo a novembre, l' aria è gelida e tu sei ancora convalescente"
Si, ho ventisei anni e non ho la patente. Problemi? Ci ho provato, davvero, mi sono impegnata, ma quella dannata frizione fa spegnere la macchina in continuazione e io non passo la prova pratica. Che colpa ne ho? E' colpa della frizione!
"Giusto! Come ho fatto a non pensarci prima!" dico dandomi un colpetto ironico sulla fronte. "Magari poteva portare anche sua madre e andavamo tutti insieme"
"Credo che sia presto per presentarti ufficialmente in famiglia". Ok. Ci rinuncio.
"Distrailo mentre io scappo verso la metro" dico secca.
Arianna sbuffa e ed esce in strada.
"Arianna" lo sento chiamare. "Ti ricordi di me? Sono il collega di Filippa. E' ancora in casa?" chiede allegro. Vedo che Arianna gli gira intorno e lo costringe a seguire i suoi movimenti per ascoltare la sua risposa allontanando il portone dalla sua visuale.
"E' andata!" afferma serafica.
Ma dove sono andata? Sono morta forse?
Lui le lancia un occhiata interrogativa e lei si spiega meglio "E' già uscita. Un' ora fa. Era impaziente di tornare a lavoro". Bella scusa, brava Ari.
Enrico la fissa sconcertato e poi guarda l' ora sul Rolex che ha al polso. "E' uscita alle sette meno un quarto del mattino per essere in redazione alle nove e mezza?"
"Già. Ora scappo. Sai i turni, gli ospedali, i medici..." farfuglia Arianna e sparisce dentro la sua macchina posteggiata un paio di metri più avanti senza dargli il tempo di replicare.
Come un gatto sul tetto che scotta riesco a raggiungere la fermata della metropolitana in men che non si dica senza essere vista da nessuno. Comunque non da Enrico.
Arrivo in redazione alle nove in punto. Gli uffici iniziano pian piano a riempirsi. Mi dirigo verso la mia scrivania nella stanzetta adiacente a quella di Ferdinanda Colacicco, il senior editor alla quale sono stata affidata per questi quarantacinque giorni (meno sei). Accendo il computer che inizia a ventolare rumorosamente quasi fosse infastidito di dover riprendere a lavorare dopo una settimana di vacanza. Sistemo le mie cose sulla scrivania, poso il cellulare nel grazioso porta cellulare che ho comprato a Parigi l' anno scorso a forma di scarpetta con tanto di suola dipinta di rosso, allineo i fogli ammassati, ritempero le matite, smisto la posta...
"Sei tornata!".
Una voce alle mie spalle mi trafigge le orecchie e mi fa saltare in aria. Non c'è bisogno che mi giri per sapere chi è. Quel tono lamentevole e quella vocina da bambolona anni settanta la potrei riconoscere anche dentro una discoteca con la musica a palla!
Lara Ferrandi, una delle altre stagiste che, come me, spera di essere scelta per il contratto di un anno. In realtà sa già che sarà scelta: non esiste nessuno migliore di lei ed ha lasciato ben intendere, con frecciatine qui e li agli altri stagirsti, che ci reputa un branco di incompetenti. Una stronza di proporzioni galattiche che ogni mattina si presenta in ufficio come se stesse per sfilare ad una parata del Carnevale di Rio de Janeiro. Arriva in redazione sempre in anticipo e saluta tutti (quelli che contano, non tutti tutti. Attenzione... il suo saluto è d' oro e non va sprecato per la plebaia) con un cenno della mano quasi fosse la regina di Inghilterra in mezzo al popolo. I suoi lunghi ed ossigenati capelli biondo platino ondeggiano sulle sue spalle perfettamente arricciati. Ha sempre lo sguardo compassionevole quando ti guarda come se ti gridasse "poveretta, mi spiace, puoi impegnarti quanto vuoi, ma sei una fallita!".
"Si, sono tornata" riesco solo a dire.
Lei mi accarezza compassionevole un angolino della spalla e se ne va lasciandosi dietro una scia di Coco Mademoiselle. Che odio! Faccio sempre la figura della deficiente quando c' è Lara Ferrandi nei paraggi.
"Filippa, ben tornata!". Ferdinanda Colacicco arriva sorridendo e accenna un mezzo abbraccio. "Ci sei mancata in redazione, quello che fai tu in un ora le altre non lo fanno in un giorno intero!" dice e mi strizza l' occhio. Vorrei scodinzolare come un cagnetto che ha appena ricevuto un biscotto per essere stato bravo. Certo se l' avesse detto davanti Lara Stramaledettissima Ferrandi sarebbe stato meglio.
Anche se non dovessi ottenere il lavoro il poter conoscere Ferdinanda e lavorare a stretto contatto con lei sarà comunque una vincita: è una donna fantastica che sa quello che fa e, un domani, sarebbe l' erede perfetta di Anita Lozzani. Però è meglio se lo ottengo il lavoro.
La mattinata in redazione trascorre frenetica. Ho selezionato circa duecento proposte per i servizi del numero di dicembre tra le quali Ferdinanda ne deve scegliere dieci, ho etichettato gli abiti che devono partire per Parigi per il servizio fotografico al museo del Louvre e ho già bevuto tre caffé. E' quasi ora di pranzo quando Ferdinanda mi chiama nel suo ufficio. Entro in punta di piedi; il mio capo è seduto alla sua scrivani e armeggia con la testiera del computer freneticamente. I lunghi capelli castani sono intrecciati una treccia morbida che le cade lucida lungo sulla clavicola. 
"Filippa saresti disposta a partire per Parigi nel pomeriggio?" chiede.
"Parigi? Oggi?"
"Si. Ci siamo occupati noi del fitting per il servizio al Louvre ed Enrico mi ha chiesto una mano. Sai che non si dice di no al figlio del capo ma io non posso allontanarmi assolutamente da Milano: ho un sacco di lavoro qui. Tu sei in gamba, te lo dico onestamente, e non ti manderei se pensassi che puoi mandare tutto all' aria. Non era mai successo che Enrico chiedesse che qualcuno di noi andasse sul set a supervisionare la cosa ma chi li capisce gli artisti."
"Ah. Quindi è Enrico che ha chiesto di noi?" chiedo. Il bastardo mi ha teso un' imboscata!
"Esatto. Se non te la senti posso chiedere a qualcun' altro. Magari a Lara" dice noncurante.  Ferdinanda sa benissimo che non appena si nomina Lara Ferrandi tendiamo tutti le orecchie.
Faccio un sorriso stentato, mi alzo salla sedia del suo ufficio e arretro pian piano.
"Vado a fare le valigie"
"Benissimo. Ti mando i biglietti e il voucher per l' albergo. Mi hai salvato la vita"
Si Ferdinanda, ti ho salvato la vita, e sto per perdere il lavoro.

Continua...


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