martedì 14 agosto 2012

One way or another. Chapter 3



Che cosa dovrei fare? Scendere dalla macchina e chiedergli per quale diamine di motivo si trova di fronte il portone di casa mia in piena notte? Oppure potrei ingranare la prima, metterlo sotto e poi scappare. Dite che la vernice bianca della macchina potrebbe rimanere su di lui? Certo che, se un qualunque giudice sapesse le pene dell' inferno che mi ha fatto provare, mi assolverebbe immediatamente. 
Spengo il motore della macchina, lasciando i fari accesi puntati su Ettore. Raccolgo lo strascico del vestito che adesso, senza le scarpe altissime, mi arriva sotto i piedi e scendo dall' auto. 
'Hai bisogno di qualcosa?' chiedo sprezzante. Il mio tono è sorprendentemente freddo e distaccato nonostante, dentro di me, si stia consumando una corrida bollente e sanguinolenta a causa dei ricordi. 
'Ho bisogno di sapere perché ti sposi' dice lui asciutto. Si sposta su un piede per evitare che i fari della macchina lo accechino. La sua voce è calda e carezzevole, esattamente come la ricordavo.
'Non credo che siano affari tuoi' gli rispondo calma. Il mio cuore, però, batte all' impazzata. 
Sono passati cinque fottutissimi anni. Chi gli da il diritto di ripiombare nella mia vita senza chiedere permesso? Senza assicurarsi prima che il suo passaggio non provochi danni? 
Lui si avvicina piano. Poggia i piedi sull' asfalto con passo felpato, uno dopo l' altro, come un predatore pronto ad una caccia selvaggia. Le cellule del mio corpo percepiscono il pericolo e si mettono in allerta. Tutte quante. Le sento tese, sotto la pelle. Nonostante il caldo afoso delle notti d' estate, sento gelarmi la schiena come una preda che vede in faccia la fine dei suoi giorni. Io, in questo momento, sto guardando in faccia la fine dei miei giorni di pace. 
E' a pochi passi da me. Posso distinguere il suo profilo. L' accenno di barba che gli accarezza la mascella pronunciata e le lunghe basette. I capelli spettinati, tra i quali passa nervosamente una mano portandoseli all' indietro. Indossa un paio di jeans dal lavaggio azzurro chiaro, che hanno uno squarcio sul ginocchio destro, e una polo a maniche corte blu di Lacoste. Le maniche della maglietta gli stringono i bicipidi ben pronunciati donandogli un' aria seducente. Ho sempre avuto un debole per le sue braccia scolpite: era il più bel posto dove rannicchiarsi in qualsiasi situazione. Dopo il sesso o dopo una litigata; dopo una sbornia o una serata tranquilla in casa, mi piaceva rintanarmi sul suo petto e ascoltare il battito veloce del suo cuore. 
Nessun nuovo segno sul suo volto. Non una ruga nuova ne una cicatrice. Sembra che il tempo, per lui, si sia fermato a quella sera di cinque anni fa quando trovai la forza di chiudere definitivamente il nostro rapporto. Di andare avanti senza voltarmi più indietro. 
Tremo al pensiero dell' anno che è seguito a quella sera e alla cicatrice che mi è rimasta dentro. 
'Perché ti sposi, Elena?' chiede di nuovo. La sua bocca carnosa e rosea si apre e si chiude, in maniera così familiare, accarezzando il mio nome con la lingua. Si avvicina ancora. E' troppo vicino, troppo. Non posso permettergli di avvicinarsi ancora. Non posso permettere che mi tocchi, che mi sfiori soltanto. 
'Ettore, torna a casa. Torna nel passato' lo supplico. Ma, più che a lui, è una supplica al mio cervello, alla mia memoria e ai miei ricordi. E' una preghiera disperata a tutte le emozioni e a tutti i ricordi che mi potrebbero far ricadere nel baratro di 'Elena ed Ettore'. 
Ma Ettore mi conosce. Conosce la combinazione del mio cuore e sa come farmi capitolare. In un secondo il suo braccio possente è attorno alla mia vita, la sua mano si aggrappa al mio fianco destro e le sue dita si incrociano con la stoffa del vestito. Il suo corpo si adagia perfetamente sul mio come due metà di un insieme.  
Mi scosta i capelli dal collo spostandoli da un lato. Ricadono i riccioli scombinati sulla spalla nuda. E li, alla base della nuca, mi colpisce il suo respiro caldo e così dannatamente familiare. Li, alla base della nuca, dove c'è il ricordo più doloroso della nostra storia. Un piccolo tatuaggio; due E che si incrociano formando il segno dell' infinito. Elena ed Ettore, per sempre. 
'Leni' sospira lui. 
'Non chiamarmi così. Non c'è più nessuna Leni' sospriro. Ed ogni respiro mi fa male come cinque anni fa. Con quel nomignolo, con il suo tocco sul mio corpo, con il suo respiro caldo sulla mia pelle si è rotta definitivamente la diga della memoria che custodiva i tre anni insieme a lui. Ogni istante è tornato vivido come se fosse appena successo. Per quanto io abbia provato a scappare dalla realtà, lui è ancora qui. Come un' emergenza, come un bisogno. 
'Leni' bisbiglia ancora Ettore. Il nomignolo con cui solo lui poteva chiamarmi. Quello stupido diminutivo del mio nome che, però, mi faceva sentire maledettamente importante. 
'Leni, la mia Leni. E' nascosta da qualche parte sotto questo vestito costoso e questi capelli pettinati ma c'è ancora' persevera. Le sue labbra si poggiano sul tatuaggio, che lui ha uguale sul petto, accanto al cuore. Sono morbide come le ricordavo. Calde e umide, indugiuano su quel piccolo simbolo come la prima volta. 

Eravamo ubriachi e innamorati a Barcellona. Uno strano intruglio di sangria, birra e sesso ci aveva reso eurforici. Era l' agosto della nostra prima estate insieme. Stavamo insieme da ventidue settimane. Eravamo spensierati e felici. Non ci serviva niente di più di quello che avevamo: la passione, l' amore e la leggerezza dell' essere diciottenni. 
In camera faceva caldo. Un caldo umido ed insopportabile. Un velo bagnato di sudore appiccicaticcio si era posato su di noi, stanchi dopo una maratona a letto senza precedenti. Non riuscivamo a staccarci: la voglia di noi era devastante. Avevo bisogno di sentirlo su di me, dentro di me. 
Ero coricata su un fianco, le sue gambe erano incrociate alle mie, le sue braccia mi stringevano mentre mi abbracciava a cucchiaio. 
'Ho caldo' biascicai 'andiamo a prendere qualcosa di fresco' 
'Leni, sono quasi le quattro del mattino, che vuoi trovare a quest' ora? Rimaniamo qui' piagnucolò Ettore. 
'Siamo a Barcellona da tre giorni e abbiamo a malapena lasciato l' albergo, se così si può definire' sbuffai. Avevamo trovato un' offerta imperdibile su internet. La posizione era favolosa, a due passi da Plaza de la Catalunya dove si apriva La Rambla, ma la stanza lasciava molto a desiderare. Piccola e angusta, era arredata solo da un armadio a muro di truciolato malmesso e da una rete da campeggio di fortuna  sulla quale era poggiato un materasso sbilenco. La vernice era scrostata e l' aria condizionata rotta. Ma era la nostra prima vacanza insieme: un sogno che si realizzava. Ci avevo messo settimane per convincere mio padre a mandarmi. Era scettico: Ettore non gli era mai piaciuto davvero e, nonostante avessi compiuto diciotto anni, rimanevo sembre la sua piccolina. 
'Andiamo a prenderci una birra' acconsentì Ettore dopo dieci minuti di preghiere. Mi baciò sulla nuca e mi diede una pacca sul sedere. Mi alzai a fatica, stordita dal caldo umido ed isopportabile. Raccolsi il reggiseno di pizzo blu, che avevo comprato per il viaggio, e le mutandine coordinate da terra e li indossai. Presi un prendisole giallo a fiori dal mucchio confuso di vestiti che usciva dalla mia valigia e lo infilai dalla testa. 
'Sono pronta' annunciai. 
'Andiamo' disse mentre si abbottonava i pantaloncini di cotone azzurri. 
Ettore mi porse la mano e io poggiai la mia sopra, che quasi scompariva. 
Nonostante fosse quasi l' alba, La Rambla, la strada principale di Barcellona, brulicava di persone. Un fiume vitale di giovani dagli accenti più disparati. Tedeschi, italiani, spagnoli, francesi... le lingue si mischiavano e non soltanto in senso figurato. Si respirava allegria: erano tutti leggermenti alticci e maledettamente allucinati. Risi, lasciandomi trasportare dall' euforia che regnava. Il brusio aleggiava intorno a noi e faceva da cornicie a quel momento che avrei ricordato per sempre. Le nostre mani erano intrecciate e con quella libera mi ero aggrappata al suo braccio abbronzato. 
'Perché ridi, Leni?' mi chiese Ettore. Rideva a sua volta. Posò i suoi occhi nei miei. Ai bordi, piccole rughe d' espressione. Sbattè le ciglia lunghe un paio di volte e poi mi baciò il naso. 
'Perché ridi tu' affermai. Mi baciò di nuovo. Ma questa volta in quel modo che solo lui conosceva, tenendomi il viso stretto tra le mani. 
'Ti amo Leni' mi disse lui. Era la prima volta che quelle parole uscivano dalla sua bocca a cuore. E in quel momento mi sentii completamente sua. Per sempre. 
Passeggiando in cerca di una birra ci imbattemo in un negozio di tatuaggi dal quale entravano ed uscivano un sacco di persone. Una piccola folla si era radunata ai lati dell' entrata. C' erano giovani turisti ammassati sulle vetrine illuminate da una debole luce. 
'Ti va di ricordare questo momento per sempre?' mi chiese lui indicando con lo sguardo il negozio di tatuaggi. 
'Oh no, se torno a casa con un tatuaggio i miei non mi faranno più uscire di casa' risposi risoluta. Mia madre diceva che solo i marinai che hanno una donna in ogni porto e i galeotti si fanno disegnare la pelle. 
Con un dito mi accarezzò il collo scoperto. 'Lo fai in un posto in cui posso vederlo solo io' mi stuzzicò malizioso. 
Un quarto d' ora dopo ero sdraiata su un lettino malconcio e scricchiolante mentre un tipo tatuato dalla testa ai peidi, letteralmente, disegnava due piccole E incrociate alla base della mia nuca, oltre l' attaccatura dei capelli. 
Quella notte mi addormentai felice sul petto di Ettore, baciandogli il piccolo tatuaggio uguale al mio. Quella notte mi addormentai pensando all' infinito e al per sempre che ci eravamo giurati. 

Inspiro a fondo. L' aria calda della notte mi riempie i polmoni di una nuova consapevolezza. 
'Non esiste più quella Leni' ringhio. Mi stacco a fatica dalla sua presa. Torno in macchina, faccio marcia indietro e scappo il più lontano possibile da quel mare di tentazioni e delusioni e speranze vane che è, ed è sempre stato, Ettore. 
Lo vedo rimanere imbambolato, in piedi, sull' asfalto. La sua figura si fa sempre più piccola, riflessa nello specchietto retrovisore, fino a che non scompare del tutto quando giro l' angolo. 
Mi ritrovo, senza volerlo consapevolmente, nell' unico posto in cui io mi senta al sicuro: a casa di Giorgio. 
Posteggio la macchina sul vialetto d' ingresso e scendo barcollando. Il trucco di Cheryl mi cola lungo le guancie, ormai le lacrime sono un fiume in piena. 
Mi attacco al citofono fino a che Giorgio non si affaccia dal balcone al primo piano. 
'Elena, Cristo Santo, che è successo?' grida in preda al panico. Lo vedo sparire dentro e ricomparire un momento dopo sulla porta d' ingresso. Ha i capelli scobinati e gli occhiali appoggiati sul naso. Indossa solo un paio di boxer azzurri. E' scalzo. 
Mi viene incontro e mi prende tra le braccia. Mi lascio andare al mare di disperazione in cui sono caduta. In cui sono ricaduta. 
Giorgio mi accarezza i capelli mentre le lacrime salte gli scivolano lungo il petto. 
'Cristo, Elena. Non di nuovo. Erano cinque anni che non ti vedevo così' sussurra. Mi stringe più forte e a quel gesto così comprensivo mi sciolgo, disperandomi ancora di più.

Continua...


7 commenti:

  1. uhm..............
    penso proprio che ettore non mollerà la presa

    alessia

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  2. Ah beh... Io spero proprio che non lo faccia :D
    Robi

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  3. son rimasto senza fiato tutto il tempo del brano. wow!!

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  4. Vuoi vedere che stavolta tifo per il cattivo?! :D

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  5. Che bella questa robifiction! È proprio quello che ci vuole per l'estate, non vedo l'ora di leggere questo nuovo capitolo. E di sapere di più su quello che Ettore le ha fatto. Giorgio sembra un po' moscio per lei e la mamma è odiosa, ma io odio i cattivi ragazzi (a parte chuck bass e logan eckols!)

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  6. Quell'Ettore mi intriga non poco...

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  7. è una fiction?!?! cazzo io pensavo fosse vita reale.. ma guarda sto stronzo ho detto... e questa che si sta per sposare e dopo 5 anni è ancora li che se lo sbatterebbe al muro ... O_o

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