mercoledì 3 ottobre 2012

One way or another. Chapter 8



Il porticciolo si allontana fino a sparire dalla vista. Il mare è calmo e il gommone ondeggia quel tanto che basta a prendere velocità. Dietro di noi una lunga scia di schiuma bianchissima squarcia l’ azzurro dell’ acqua. Il sole è accecante; caldo e forte già nelle prime ore del mattino. 
Ettore è al posto di comando: armeggia con pulsanti e bottoni vari mentre prendiamo velocità. Vira a destra, oltre i porticcioli più lontani dalle case, verso il mare aperto. 
‘Leni ricordi quell’ insenatura, a Nord della costa, dove andavamo sempre a fare il bagno?’ mi urla Ettore per coprire il rumore del motore. 
‘Si’ gli dico. La ricordo perfettamente. Non c’è roccia, né scoglio, ne spiaggia, di quel posto che non sia disegnato nella mia memoria con un pennarello indelebile.  Quante lacrime ho versato sulle foto che ritraevano felici in quel posto? 
Un pensiero si insinua nella mia mente: possiamo ancora essere felici in quel luogo? 
‘Ti va di tornarci?’ chiede Ettore distogliendomi dai miei pensieri. Le sue mani sono ferme sul timone di resina e radica lucida. Guarda dritto di fronte a se fissando il misto d’ azzurri di mare e cielo. 
‘Perché no’ gli rispondo. Tanto vale godersi la giornata, mi dico tra me e me. Il presentimento che questa giornata si rivelerà tutt’ altro che piacevole è sempre in agguato ma decido di ignorarlo, è inutile negare l’ evidenza: io voglio essere qui. 
Mi siedo sul sedile dietro il posto di comando. La mia coscia sinistra è a pochi centimetri dal corpo scolpito di Ettore. Mi scotto il sedere, dato che il sedile era stato esposto al sole tutta la mattina, ma decido di rimanere seduta. Non è una decisione volontaria: i miei muscoli non rispondono agli stimoli celebrali. Sono sopraffatta. 
‘Non torno in quelle calette da anni’ mormoro. Il rumore del motore e dell’ acqua che si alza è talmente forte che Ettore non può sentirmi. 
‘Sai che non ci torno da quella volta?’ chiede lui voltandosi di un quarto di giro. 
Gli sorrido. Un sorriso amaro perché capisco a cosa si riferisce e dolce insieme perché, nonostante gli anni e gli eventi, la sintonia dei nostri pensieri sembra intatta. Ettore ricambia il sorriso mostrando la sua dentatura perfetta, ho sempre adorato il modo in cui mi mordeva quando mi baciava sul collo, e si volta nuovamente. Alza gli occhiali da sole sulla testa e stringe gli occhi affinché le sue pupille si abbituino alla luce. 
Mi appoggio allo schienale del sedile e lascio che l' aria fresca mi coccoli. Il caldo tornerà non appena butteremo l' ancora e le goccioline d' acqua salata lasceranno il posto a piccole perle di sudore. 
I dorsali scolpiti di Ettore si muovono al ritmo del suo respiro. L' incavo che percorre la colonna vertebrale è armonioso come lo ricordavo. Le sue braccia, coperte da una leggera peluria castano chiara, ondeggiano seguendo i movimenti del gommone che si alza e si abbassa sulle onde. 
Ci pieghiamo leggermente verso sinistra, attraversando uno specchio d' acqua più scuro, e seguiamo la corrente fino alla prima fila di insenature. Qui, solitamente, l' acqua è gelida anche a luglio. L' incrocio delle correnti provenienti dal Nord fa si che nemmeno i raggi caldi del sole estivo riescano a riscaldare l' acqua. 
La nostra caletta è la quinta partendo da sinistra, una decina di miglia più avanti dal punto in cui ci troviamo ora, verso est. Il fondale è abbastanza profondo affinché l' ancora non si incagli sugli scogli ma visibile con una maschera subacquea. All' interno dell' insenatura, un gruppo di rocce piatte e liscie, levigate da secoli di maree, formano un semicerchio lucido che somiglia ad un divano di pelle. 
'Siamo vicini, preparati a buttare l' ancora' mi ordina Ettore come se l' avessimo fatto il giorno prima e quello prima ancora. E, stranamente, la sua confidenza è contaggiosa. Mi alzo dicura e mi dirigo verso la punta del gommone. Apro il vano in cui è conservata l' ancora ed esco la punta, pronta a buttarla in acqua. 
'Ora Leni' mi grida Ettore. Spingo il pesante pungiglione dell' ancora e la guardo affondare velocemente. Ettore mette a folle e spegne il motore. 
Il mare è piatto come una tavola. L' acqua forma uno specchio cristallino e trasparente attorno all' apertura dell' insenatura. 
'Perché sei ancora vestita? Ti ho vista centinaia di volte con molto meno di un costume addosso; non sarai diventata timida?' mi provoca Ettore. 
Mi alzo, sono ad un passo da lui, posso sentire il suo respiro leggermente allungato. Libero i capelli dall' elastico che li teneva fermi in una coda di cavallo e sfilo velocemente il caftano. 
Ettore mi accarezza con gli occhi. Parte dal seno, non troppo grande ma nemmeno invisibile; scende sul ventre attraverso lo sterno e circumnaviga l' ombellico fino a spostarsi sulle coscie. Sono esattamente come mi ricordava: i miei nei sono ancora li dove li aveva lasciati; la piccola voglia di fragole che ho sul ventre non si è spostata di un millimetro. 
Il mio orgoglio si gonfia mentre vedo che gli piaccio. Gli piaccio ancora dopo tutti questi anni. Gli piaccio ancora nonostante tutte le donne che sono passate sul suo corpo; chissà se ha mai guardato qualcun altra come guardava me, come guarda me in questo momento. 
I suoi occhi ardono come la brace e mi seguono mentre mi sposto agilmente, superandolo. Metto un piede sul bordo del gommone e mi lascio scivolare in acqua con un tuffo di testa. 
La sensazione di freddo sulla pelle bollente è rigenerante. Sento le cellule del mio cuore prendere un sospiro: su quella barca la situazione rischiava di infuocarsi; di infuocare noi due. 
Riemergo lentamente mentre i capelli mi solleticano la schiena e si schiacciano sulla nuca appena fuori dalla superficie. 
'Com' è l' acqua?' chiede Ettore. E' seduto, con le gambe penzole, sul bordo del gommone. Le braccia sono tese in mezzo alle gambe e i muscoli tesi. I capelli riluccicano al sole mentre mi sorride. 
'Fredda. Come la ricordavo' 
'Hai una buona memoria' 
'Purtroppo si' 
'Perchè dici purtroppo?' chiede serio Ettore. 
'Perché ricordo anche il motivo per cui qui non ci siamo più tornati' ammetto. Sembra strano, ma nemmeno quando stavamo insieme mi sentivo così libera di esprimere a parole quello che pensavo o che sentivo. 
Ettore si fa scuro in volto. Alza il mento e distoglie lo sguardo puntandolo verso un punto indefinito davanti a lui. L' ultima volta che siamo venuti in questo posto è stato tre giorni prima della nostra rottura. I nostri litigi erano diventati sempre più frequenti: era diventato ormai raro verderci in pace. Tra di noi era calato un sipario di astio e rancora da cui non riuscivamo a venir fuori. Era un continuo rinfacciarsi tutto; persino uno sguardo sbagliato poteva accendere un incendio. 
'Io non ti ho mai tradita, Leni' dice ad un tratto. Ondeggia lentamente il piede sinistro avanti e indietro, muovendo l' acqua altrimenti immobile. Soppesp per un attimo quello che mi ha appena confessato. 
'Non è quello che mi hai detto cinque anni fa' protesto. 
'Tra di noi era diventato impossibile. Tu vedevi una minaccia in ogni donna che mi passava accanto. Non ti fidavi di me e questo ci stava facendo impazzire' ammette. 
'Ed è per questo che ti sei scopato quella puttanella da quattro soldi?' il mio tono è aspro. Muovo i piedi più velocemente mentre mi tengo a galla. 
'Questo è quello che ho voluto che tu credessi' sospira Ettore. 
'Cos' era? Una punizione? Una prova da superare?' chiedo. Non riesco a credere alle mie orechcie. 
Ettore si mette in piedi e si tuffa in acqua rompendo l' equilibrio del mare calmo. Piccole onde si dipanano dal punto esatto in cui lui è entrato in acqua. Riemerge alcuni metri più avanti, a pochi passi da me. Le gocce d' acqua gli gocciolano ai bordi delle mascelle somigliando a piccole lacrime amare. Con una mano si porta i capelli indietro. Si avvicina piano, come uno squalo pronto alla caccia. Si muove silenziosamente nell' acqua placida dell' insenatura che non conosce le correnti. 
'Non c'è stato un solo attimo, in questi cinque anni, in cui non mi sia sentito un fottuto idiota. Ho lasciato che mi odiassi, che tu credessi che ti avevo mentito e tradito e umiliato perché odiavo il modo in cui tu mi guardavi. E più mi odiavo, più non riuscivo ad essere l' uomo di cui ti eri innamorata. La verità è che forse ero troppo giovane. Ho voluto che soffrissi pensando che mi fossi scopato Gabriella piuttosto che perché non ero capace di conquistare la tua fiducia. Quando mi hai lasciato, quell' agosto, mi sentivo quasi libero: pur amandoti avevo bisogno di respirare. Sono uscito con gli amici ma vedevo te, noi, in ogni volto. Ogni mattina mi svegliavo chiedendomi come stessi, cosa ti passasse per la testa; ogni sera mi addormentavo sperando che tu dormissi tranquilla ma non riuscivo ad alzare il telefono per chiedertelo. Ero libero dal tuo modo oppressivo di controllarmi, non dovevo più rispondere al cellulare al primo squillo senza che tu pensassi che ero chissà dove e con chissà chi. Negli ultimi mesi i tuoi occhi erano sempre di un grigio accusatore; un velo di rabbia ed insicurezza era calato su di loro e il tuo modo di guardarmi era diverso e più tu mi tiravi a te con ricatti morali e scenate di gelosia, più io avevo bisogno di allontanarmi. Quando mi sono reso conto che mi mancavi più dell' aria stessa ho provato a ricontattarti ma di te non c' era traccia: il tuo cellulare era staccato; a casa tua le mie chiamate venivavo deviate dalla cameriera. Non ti ho più vista al mare ne in città: eri come sparita. Le tu amiche non mi dicevano dove fossi, eri sparita da Facebook' 
'Ero a New York: non è passato molto tempo tra la rottura e la mia partenza' dico allibita. La sua confessione è sconcertante. 
'Lo so, l' ho scoperto poco prima di capodanno, me l' ha detto tuo fratello. Sono partito alla fine di gennaio di quell' anno, subito dopo la sessione d' esami invernale. Quando ti ho vista, con quel grembiule rosso, affaccendata tra i tavolini sulla vetrata coperta di neve e la macchina del caffé, quasi non ti riconoscevo. E non perché fossi cambiata fisicamente. Erano i tuoi occhi ad essere diversi, brillanti. La tua pelle era calda nonostante la neve e il gelo intorno a te. Sorridevi in un modo che non vedevo da mesi. E poi ho capito: è entrato un ragazzo alto, con i capelli castani e un paio di jeans scuri che ti ha chiamato per nome; tu l' hai ragigunto e gli hai permesso di stringerti la vita, di baciarti teneramente in quel punto, sull' angolo della bocca, che era sempre stato mio. A quel punto capii che ti avevo persa. Avevo rinunciato a tutto perché non ero stato capace di rassicurarti come meritavi; non avevo combatutto abbastanza. Sono tornato in Italia e ho smesso di pensarti. Era quasi una violenza; era come affrontare un lutto:  le rotture sono peggio dei lutti. Perché il cuore deve affrontare la perdita nonostante la persona che non abbiamo più vicino sia ancora viva e vegeta. E' difficile da accettare di non poterla più toccare, baciare, respirare, nonostante sia ad un colpo di telefono. E' un po' come quando ti amputano una gamba: tu sai razionalmente che non c'è più; che non è più attaccata al tuo corpo ma la senti ancora. Il tuo istinto ti dice di metterti in piedi e camminare normalmente. Ma quando ti portano via una parte importante è difficile andare avanti come se nulla fosse. Eppure, adesso, con il senno di poi, anni ed anni dopo, posso dire di avercela fatta? Credevo di si, fino a che non ti ho vista in quel supermercato. Cristo, Leni, è tornato tutto a galla. Il modo in cui mi baciavi, il modo in cui il battito del tuo cuore mi tranquillizzava; il tuo sorriso...' 
Sento la pelle del viso tirare per il sole e la salsedine. L' ho ascoltato assorta e stupita allo stesso tempo. Dentro di me una combinazione di sentimenti a cui non riesco a dare un ordine logico. Cambia qualcosa sapere la verità, adesso? Basta questa confessione per mandare a puttane tutti i preparativi per il matrimonio? 
Mi lascio scivolare sott' acqua con la speranza che l' acqua, che ormai percepisco tiepida, mi aiuti a fare chiarezza. C'è così tanto con cui fare i conti... 


Continua...

5 commenti:

  1. concordo con claudia!
    cavoli... non me l'aspettavo!!

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  2. Oh, ora è un casino, lei ha fatto bene a lasciarlo pensando che la tradisse. Un uomo traditore non si perdona ma uno che ha finto? Non vedo l'ora di sentire il seguito!

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  3. I romanzi a puntate tipo nell'Ottocento, che bello.
    Sono proprio venuto a cercare un tuo post avendo un po' di tempo per leggere, è stato davvero piacevole.

    L.

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  4. Quindi lui è ancora piu stronzo di quanto sembrava.
    Non l'ha tradita e quando glielo confessa? A qualche mese dal matrimonio?
    No, continuo a non sopportarlo...

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