I suoi occhi chiedono risposte.
Cosa ha significato questo bacio?
Che effetto hanno avuto su di me le sue parole?
Che cosa provo? Cosa sento?
Io non so cosa dire. Non c’è nulla da dire: il tempo che è passato non si può
cancellare con un bacio.
Lascio che il mio sguardo vaghi per un momento. Intorno a noi il porticciolo è
animato e io nemmeno me ne sono accorta. Per un attimo torno alla realtà e noto
i pescatori che tornano con le reti piene. Le ragazze dai bikini succinti e
colorati che sfoggiano con orgoglio il corpo scolpito e quelle più grassottelle
che coprono le loro forme generose e intriganti con inutili parei. I marinai
che salutano la riva e i ristoratori, di quei deliziosi ristoranti di pesce
alla fine della strada, che contrattano animatamente.
‘Elena…’
Il mio sguardo torna su di lui. Alza un braccio e avvicina impercettibilmente
il suo palmo al mio polso. Non mi sfiora. I nostri corpi emanano un caldo quasi
soffocante, creato dal circuito elettrico incandescente tra i nostri cuori. O,
per meglio dire, quello che non si è mai sciolto.
Ma io sono fidanzata. Io sto per sposarmi. Io amo Giorgio. Il mio presente è
accanto a lui e non posso mandare tutto all’ aria per un momento di debolezza.
Vivere nei ricordi, nel passato, equivale a morire. Tornare con Ettore questo
soltanto significa.
‘Devo andare’ biascico. A due passi dal più grande amore della mia vita, a due
passi da tutto l’ amore sprecato, mi rendo conto che di fronte a lui c’è una
Elena diversa da quella di sei anni fa.
Sono maturata, ho realizzato che l’ amore non è solo fuoco ma c’è una enorme
dose di riflessione mista a razionalità da cui non si può scappare. E il mio
cervello sa bene che quello che è appena successo è una cosa dannatamente
sbagliata: è un tradimento. Uno di quelli infimi, con tanto di farfalle nello
stomaco e voglia di piangere dalla contentezza.
Ed è proprio così che sorgono i problemi: quando, facendo una lista delle cose
giuste e una di quelle sbagliate, la prima voce di entrambe si eguaglia. Come
si fa a cedere ad una tentazione sbagliata eppure così giusta?
‘Elena tu non devi andare da nessuna parte: il tuo posto è questo. Il tuo posto
è sempre stato accanto a me’ mi conferma Ettore.
‘Il mio posto era accanto a te. Era. A diciotto anni forse puoi credere alla
stronzata che in amore vince chi fugge, ci può stare: siamo ancora piccoli e
accecati dalle favole. A ventisei no. Io non posso mandare all’ aria la mia
vita solo perché tu ti sei svegliato una mattina e hai deciso che tra di noi,
in realtà, non era davvero finita’ sputo fuori.
Sento il moto di consapevolezze e ragioni che mi sale dentro. Mi allontano da
lui ancora di un passo ed è come uscire dal Triangolo delle Bermuda. I pensieri
diventano chiari, i confini definiti. Io non sono più quella che ero e, in
fondo, nemmeno lui.
‘Elena non te ne andare…’ le sue parole escono come una supplica.
Alzo gli occhi e li poso nei suoi. Mi sento tremendamente in colpa per la voglia
di lui appena soddisfatta e l’ unica cosa a cui riesco a pensare è solo come
dirlo a Giorgio. Se davvero avrò il coraggio di farlo.
Giro i tacchi. Cammino lentamente sul pontile ondeggiante fino alla terra ferma
e torno a casa.
Non mi volto indietro, nemmeno una volta, nemmeno per un secondo.
Lacrime amare mi rigano il volto mentre a testa bassa percorro il pontile fino
al molo. Un piccolo fiume di rimorsi e rimpianti per tutto quello che eravamo,
per tutto quello che avremmo potuto essere.
E poi eccola che arriva, come una doccia gelata, la consapevolezza: quello che
provavo anni fa per Ettore non si è mai esaurito. I miei sentimenti per lui,
forti come le montagne e delicati come la neve, sono ancora li. Sulla mia
pelle, nei miei occhi, sulle mie mani e dentro il mio cuore Ettore pulsa.
Ettore, Ettore, Ettore… Il suo nome risuona delicato nell’ aria come le voci
delle Sirene di Ulisse. Una dolce tentazione che mi accompagna lentamente
mentre mi allontano. Ma Ulisse si è fatto male, molto male, ascoltando il suono
melodioso di quelle voci e io decido razionalmente di non voltarmi indietro.
Il mio cuore piange, il mio cervello esulta. Uno scontro ad armi impari in cui
l’ unica che si fa male sono io.
Non riesco nemmeno a ricordare da quanto tempo sono sotto il
getto gelato della doccia quando mi accorgo che il mio cellulare squilla con
insistenza.
Mi risveglio dal refrigerio dato dall’ acqua fredda, una piacevole sensazione
di dolore e sollievo, ed esco dal bagno. La calura di agosto annulla quasi immediatamente
il mio benessere.
‘Pronto’ riesco a dire un secondo prima che cada la linea.
‘Elena, finalmente, ti cerco da stamattina. E’ tutto ok?’ chiede Giorgio. La
sua voce preoccupata non fa altro che aumentare il senso di colpa che provo nei
suoi confronti.
Inspiro profondamente e cerco di mantenere il controllo dei miei sensi.
‘Stavo facendo una doccia gelata, qui si muore di caldo’ dico.
‘Non vedo l’ ora di averti qui’ sorride. Il suo tono è piacevolmente rilassato
e per un secondo riesco a scordarmi della mia terribile mattinata. Sento i
muscoli del mio stomaco distendersi e contorcersi nuovamente, questa volta in
una stretta piacevole. Giorgio è rassicurante. Giorgio è adulto.
‘Ormai mancano meno di ventiquattro ore’
‘A che ora hai il volo per Nizza domani? Hai tutto pronto?’
Guardo la valigia vuota ai piedi del letto e sospiro. Ci sono alcuni vestiti sulla panca di legno
laccato ed altri sulla sedia accanto alla porta. Un mucchio di scarpe, che
hanno perso la compagna di viaggio, sono sparse sul pavimento, abbandonate come
cadaveri in un vicolo.
‘Parto alle sette da qui’ confermo tralasciando il fatto che salire su quell’
aereo è l’ ultima cosa che vorrei fare.
Quello che provo è irrazionale e violento. Sento le lacrime spingere nuovamente
ai bordi degli occhi. Sento le colpe del mio gesto miste al desiderio di
Ettore.
‘Non vedo l’ ora di riabbracciarti Elena’ sospira Giorgio ‘non sai quanto sono
state frenetiche le mie giornate qui: ogni minuto era impegnato; abbiamo
esaminato radiografie e analisi senza sosta, abbiamo pianificato l’ operazione
taglio per taglio eppure…’ si blocca.
Il mio cuore diventa piccolo come una nocciolina, stretto nella morsa del
rimorso. Giorgio sta per dire qualcosa di sensazionale, le parole più dolci che
una donna si merita.
‘Eppure…’ lo incalzo con gli occhi bagnati.
‘Eppure sentivo che mi mancava l’ aria senza di te. Non eravamo mai stati così
tanto lontani, io e te’
Ed eccolo, il pugno allo stomaco che rompe le dighe. Inizio a singhiozzare come
una bambina. Stringo ancora di più la tovaglia di morbida spugna intorno al mio
corpo umido e mi lascio scivolare lungo il muro candido, lasciando una scia
bagnaticcia sulla pittura.
‘Ehy, Elena, che succede?’ chiede Giorgio in preda al panico.
Non riesco a fermare le lacrime e i singhiozzi. Escono dal mio corpo come l’
espiazione di una colpa segreta eppure evidente come un tatuaggio in fronte.
‘Elena, tesoro, parlami’ incalza Giorgio.
‘Non è niente. E’ che… non mi merito una persona bella come te’ biascico tra i
gridolini di pianto convulsi.
‘Che sciocchezze. Non pensarlo nemmeno, amore mio. Adesso devo proprio
scappare, a domani’ dice contento.
Lo saluto con un bacio virtuale e un ‘ti amo’ non pronunciato e chiudo.
Appoggio il telefono sul pavimento accanto a me e mi lascio andare ai sensi di
colpa.
E, sapete qual è la cosa più grave? Che non mi sento in colpa per il bacio, per
il tradimento o quant’ altro può essere successo. Mi sento in colpa per la
connessione elettrica che c’è tra me ed Ettore. Una sintonia inscindibile che
ci lega da anni. Mi sento in colpa perché impotente di fronte alla grandezza
dei miei sentimenti per lui. Come una costante, Ettore è sempre stato presente
nella mia vita; ha sempre condizionato i miei gesti. Non è mai passato un pensiero
o un’ azione che non fossero stati approvati da Ettore anche se lui non ne
aveva idea. Mi sono chiesta se a Ettore sarebbero piaciuti i miei capelli
quando li ho schiariti di qualche tono e se avrebbe approvato quei jeans con lo
strappo sul ginocchio.
Quando eravamo una coppia adoravo il fatto che fosse sempre pronto a
consigliarmi e apprezzavo il modo in cui criticava dolcemente le cose che non
gli andavano giù. E, presumo, questa sia diventata una costante della mia vita
anche dopo la nostra rottura. E’ innegabile che conosco Ettore come le mie
tasche; il modo in cui mescola il thé, sempre in senso orario tastandone le
temperatura con la punta della lingua; il modo in cui si allaccia le scarpe,
incrociando le orecchie di coniglio come ti insegnano alle elementari; il modo
in cui si perde quando qualcosa non va, con gli occhi fissi in terra mentre i
suoi neuroni viaggiano sulle note della sua canzone preferita, quella dei Muse
che non mi ricordo mai come si chiama ma che adoro.
Ora come allora è ancora così: Ettore c’è.
Con lui ho fatto quelle promesse di eternità, che alle volte sembrano
stucchevoli e ingannevoli, perché ci credevo. Perché mi sentivo la persona più
fortunata del mondo solo per il modo in cui lui mi guardava. E mi sono
bruciata, mi sono ritrovata delle ustioni inguaribili sul cuore. Ma è così che
succede quando ti avvicini troppo al sole. Icaro docet.
La stanza era affollata, c’ era gente dovunque, eppure mi
sentivo sola come non mi succedeva da tempo.
Ettore era uscito dalla mia vita da un tempo che non riuscivo a definire: un’
ora, forse? Un giorno? L’ eternità? Non lo riuscivo a quantificare…
L’ unica cosa che riuscivo a percepire era il senso di solitudine quasi
soffocante che era parte di me da quando Ettore non c’ era più.
Sorridevo, parlavo, interagivo… ma in realtà non provavo nulla. L’ unica cosa
che le mie orecchie riuscivano a sentire era la mia anima che urlava. Dentro di
me un concerto di pianti e grida di dolore che si mischiava con il silenzio
assordante che, invece, vi era fuori.
Mia madre volteggiava per il salone addobbato a festa come aveva sempre fatto.
Scambiava chiacchiere futili con le sue amiche. Mio padre la seguiva come un’
ombra gentile pronta a proteggerla. Sorrideva agli uomini intorno a lui e
parlava di politica o di lavoro.
Era una delle solite feste che i miei genitori davano con la stessa frequenza
con cui si sbattono le palpebre. Fuori le grandi vetrate del salone al
pianterreno piccole goccioline rigavano in cielo come un viso in lacrime. L’
unica cosa che potevo fare era farci l’ abitudine. Dovevo abituarmi a voltarmi
di lato e non vederlo più al mio fianco. Dovevo abituarmi a non prendere di
corsa il cellulare per raccontagli cosa mi succedeva, cosa provavo. E abituarmi
a non sentire il suono della sua voce; a non vedere il verde cristallino dei
suoi occhi e a perdermici dentro.
Credevo, in quel momento, che sarebbe stato impossibile. Però poi è successo
che quella che pensavo fosse la fine di tutto si è rivelata solo l’ inizio di
un nuovo capitolo della mia vita. Il problema è sempre lo stesso: quanto ‘Ettore’
c’è in questo nuovo capitolo? Quanto
spazio si è preso e quanto ne ha lasciato a Giorgio?
La risposa mi spaventa.
Eeeeeeeeeeeeeeettore <3 (posso fare i cuoricini vero? Un po' bimbominkia?!)
RispondiEliminaDai, e' il momento di decidere....non la fare tanto lunga: Giorgio e basta. Ettore poi lo racconti a tua figlia, un po' romanzato!
RispondiEliminaMonica
ma non va più avanti questa storia??
RispondiEliminama quando continui??? sono impaziente di sapere come continua!!!
RispondiElimina