lunedì 26 novembre 2012

One way or another. Chapter 10




I suoi occhi chiedono risposte. 
Cosa ha significato questo bacio? 
Che effetto hanno avuto su di me le sue parole?
Che cosa provo? Cosa sento?
Io non so cosa dire. Non c’è nulla da dire: il tempo che è passato non si può cancellare con un bacio. 
A malincuore mi allontano da lui. A fatica le mie mani si staccano dal suo corpo caldo.
Lascio che il mio sguardo vaghi per un momento. Intorno a noi il porticciolo è animato e io nemmeno me ne sono accorta. Per un attimo torno alla realtà e noto i pescatori che tornano con le reti piene. Le ragazze dai bikini succinti e colorati che sfoggiano con orgoglio il corpo scolpito e quelle più grassottelle che coprono le loro forme generose e intriganti con inutili parei. I marinai che salutano la riva e i ristoratori, di quei deliziosi ristoranti di pesce alla fine della strada, che contrattano animatamente. 
‘Elena…’ 
Il mio sguardo torna su di lui. Alza un braccio e avvicina impercettibilmente il suo palmo al mio polso. Non mi sfiora. I nostri corpi emanano un caldo quasi soffocante, creato dal circuito elettrico incandescente tra i nostri cuori. O, per meglio dire, quello che non si è mai sciolto.
Ma io sono fidanzata. Io sto per sposarmi. Io amo Giorgio. Il mio presente è accanto a lui e non posso mandare tutto all’ aria per un momento di debolezza. Vivere nei ricordi, nel passato, equivale a morire. Tornare con Ettore questo soltanto significa. 
‘Devo andare’ biascico. A due passi dal più grande amore della mia vita, a due passi da tutto l’ amore sprecato, mi rendo conto che di fronte a lui c’è una Elena diversa da quella di sei anni fa. 
Sono maturata, ho realizzato che l’ amore non è solo fuoco ma c’è una enorme dose di riflessione mista a razionalità da cui non si può scappare. E il mio cervello sa bene che quello che è appena successo è una cosa dannatamente sbagliata: è un tradimento. Uno di quelli infimi, con tanto di farfalle nello stomaco e voglia di piangere dalla contentezza. 
Ed è proprio così che sorgono i problemi: quando, facendo una lista delle cose giuste e una di quelle sbagliate, la prima voce di entrambe si eguaglia. Come si fa a cedere ad una tentazione sbagliata eppure così giusta?
‘Elena tu non devi andare da nessuna parte: il tuo posto è questo. Il tuo posto è sempre stato accanto a me’ mi conferma Ettore. 
‘Il mio posto era accanto a te. Era. A diciotto anni forse puoi credere alla stronzata che in amore vince chi fugge, ci può stare: siamo ancora piccoli e accecati dalle favole. A ventisei no. Io non posso mandare all’ aria la mia vita solo perché tu ti sei svegliato una mattina e hai deciso che tra di noi, in realtà, non era davvero finita’ sputo fuori. 
Sento il moto di consapevolezze e ragioni che mi sale dentro. Mi allontano da lui ancora di un passo ed è come uscire dal Triangolo delle Bermuda. I pensieri diventano chiari, i confini definiti. Io non sono più quella che ero e, in fondo, nemmeno lui. 
‘Elena non te ne andare…’ le sue parole escono come una supplica. 
Alzo gli occhi e li poso nei suoi. Mi sento tremendamente in colpa per la voglia di lui appena soddisfatta e l’ unica cosa a cui riesco a pensare è solo come dirlo a Giorgio. Se davvero avrò il coraggio di farlo. 
Giro i tacchi. Cammino lentamente sul pontile ondeggiante fino alla terra ferma e torno a casa. 
Non mi volto indietro, nemmeno una volta, nemmeno per un secondo.
Lacrime amare mi rigano il volto mentre a testa bassa percorro il pontile fino al molo. Un piccolo fiume di rimorsi e rimpianti per tutto quello che eravamo, per tutto quello che avremmo potuto essere. 
E poi eccola che arriva, come una doccia gelata, la consapevolezza: quello che provavo anni fa per Ettore non si è mai esaurito. I miei sentimenti per lui, forti come le montagne e delicati come la neve, sono ancora li. Sulla mia pelle, nei miei occhi, sulle mie mani e dentro il mio cuore Ettore pulsa. 
Ettore, Ettore, Ettore… Il suo nome risuona delicato nell’ aria come le voci delle Sirene di Ulisse. Una dolce tentazione che mi accompagna lentamente mentre mi allontano. Ma Ulisse si è fatto male, molto male, ascoltando il suono melodioso di quelle voci e io decido razionalmente di non voltarmi indietro. 
Il mio cuore piange, il mio cervello esulta. Uno scontro ad armi impari in cui l’ unica che si fa male sono io.


Non riesco nemmeno a ricordare da quanto tempo sono sotto il getto gelato della doccia quando mi accorgo che il mio cellulare squilla con insistenza. 
Mi risveglio dal refrigerio dato dall’ acqua fredda, una piacevole sensazione di dolore e sollievo, ed esco dal bagno. La calura di agosto annulla quasi immediatamente il mio benessere. 
‘Pronto’ riesco a dire un secondo prima che cada la linea. 
‘Elena, finalmente, ti cerco da stamattina. E’ tutto ok?’ chiede Giorgio. La sua voce preoccupata non fa altro che aumentare il senso di colpa che provo nei suoi confronti. 
Inspiro profondamente e cerco di mantenere il controllo dei miei sensi. 
‘Stavo facendo una doccia gelata, qui si muore di caldo’ dico. 
‘Non vedo l’ ora di averti qui’ sorride. Il suo tono è piacevolmente rilassato e per un secondo riesco a scordarmi della mia terribile mattinata. Sento i muscoli del mio stomaco distendersi e contorcersi nuovamente, questa volta in una stretta piacevole. Giorgio è rassicurante. Giorgio è adulto. 
‘Ormai mancano meno di ventiquattro ore’ 
‘A che ora hai il volo per Nizza domani? Hai tutto pronto?’
Guardo la valigia vuota ai piedi del letto e sospiro.  Ci sono alcuni vestiti sulla panca di legno laccato ed altri sulla sedia accanto alla porta. Un mucchio di scarpe, che hanno perso la compagna di viaggio, sono sparse sul pavimento, abbandonate come cadaveri in un vicolo. 
‘Parto alle sette da qui’ confermo tralasciando il fatto che salire su quell’ aereo è l’ ultima cosa che vorrei fare. 
Quello che provo è irrazionale e violento. Sento le lacrime spingere nuovamente ai bordi degli occhi. Sento le colpe del mio gesto miste al desiderio di Ettore. 
‘Non vedo l’ ora di riabbracciarti Elena’ sospira Giorgio ‘non sai quanto sono state frenetiche le mie giornate qui: ogni minuto era impegnato; abbiamo esaminato radiografie e analisi senza sosta, abbiamo pianificato l’ operazione taglio per taglio eppure…’ si blocca. 
Il mio cuore diventa piccolo come una nocciolina, stretto nella morsa del rimorso. Giorgio sta per dire qualcosa di sensazionale, le parole più dolci che una donna si merita. 
‘Eppure…’ lo incalzo con gli occhi bagnati. 
‘Eppure sentivo che mi mancava l’ aria senza di te. Non eravamo mai stati così tanto lontani, io e te’ 
Ed eccolo, il pugno allo stomaco che rompe le dighe. Inizio a singhiozzare come una bambina. Stringo ancora di più la tovaglia di morbida spugna intorno al mio corpo umido e mi lascio scivolare lungo il muro candido, lasciando una scia bagnaticcia sulla pittura. 
‘Ehy, Elena, che succede?’ chiede Giorgio in preda al panico. 
Non riesco a fermare le lacrime e i singhiozzi. Escono dal mio corpo come l’ espiazione di una colpa segreta eppure evidente come un tatuaggio in fronte. 
‘Elena, tesoro, parlami’ incalza Giorgio. 
‘Non è niente. E’ che… non mi merito una persona bella come te’ biascico tra i gridolini di pianto convulsi. 
‘Che sciocchezze. Non pensarlo nemmeno, amore mio. Adesso devo proprio scappare, a domani’ dice contento. 
Lo saluto con un bacio virtuale e un ‘ti amo’ non pronunciato e chiudo. Appoggio il telefono sul pavimento accanto a me e mi lascio andare ai sensi di colpa. 
E, sapete qual è la cosa più grave? Che non mi sento in colpa per il bacio, per il tradimento o quant’ altro può essere successo. Mi sento in colpa per la connessione elettrica che c’è tra me ed Ettore. Una sintonia inscindibile che ci lega da anni. Mi sento in colpa perché impotente di fronte alla grandezza dei miei sentimenti per lui. Come una costante, Ettore è sempre stato presente nella mia vita; ha sempre condizionato i miei gesti. Non è mai passato un pensiero o un’ azione che non fossero stati approvati da Ettore anche se lui non ne aveva idea. Mi sono chiesta se a Ettore sarebbero piaciuti i miei capelli quando li ho schiariti di qualche tono e se avrebbe approvato quei jeans con lo strappo sul ginocchio. 
Quando eravamo una coppia adoravo il fatto che fosse sempre pronto a consigliarmi e apprezzavo il modo in cui criticava dolcemente le cose che non gli andavano giù. E, presumo, questa sia diventata una costante della mia vita anche dopo la nostra rottura. E’ innegabile che conosco Ettore come le mie tasche; il modo in cui mescola il thé, sempre in senso orario tastandone le temperatura con la punta della lingua; il modo in cui si allaccia le scarpe, incrociando le orecchie di coniglio come ti insegnano alle elementari; il modo in cui si perde quando qualcosa non va, con gli occhi fissi in terra mentre i suoi neuroni viaggiano sulle note della sua canzone preferita, quella dei Muse che non mi ricordo mai come si chiama ma che adoro. 
Ora come allora è ancora così: Ettore c’è. 
Con lui ho fatto quelle promesse di eternità, che alle volte sembrano stucchevoli e ingannevoli, perché ci credevo. Perché mi sentivo la persona più fortunata del mondo solo per il modo in cui lui mi guardava. E mi sono bruciata, mi sono ritrovata delle ustioni inguaribili sul cuore. Ma è così che succede quando ti avvicini troppo al sole. Icaro docet.

La stanza era affollata, c’ era gente dovunque, eppure mi sentivo sola come non mi succedeva da tempo. 
Ettore era uscito dalla mia vita da un tempo che non riuscivo a definire: un’ ora, forse? Un giorno? L’ eternità? Non lo riuscivo a quantificare… 
L’ unica cosa che riuscivo a percepire era il senso di solitudine quasi soffocante che era parte di me da quando Ettore non c’ era più. 
Sorridevo, parlavo, interagivo… ma in realtà non provavo nulla. L’ unica cosa che le mie orecchie riuscivano a sentire era la mia anima che urlava. Dentro di me un concerto di pianti e grida di dolore che si mischiava con il silenzio assordante che, invece, vi era fuori. 
Mia madre volteggiava per il salone addobbato a festa come aveva sempre fatto. Scambiava chiacchiere futili con le sue amiche. Mio padre la seguiva come un’ ombra gentile pronta a proteggerla. Sorrideva agli uomini intorno a lui e parlava di politica o di lavoro. 
Era una delle solite feste che i miei genitori davano con la stessa frequenza con cui si sbattono le palpebre. Fuori le grandi vetrate del salone al pianterreno piccole goccioline rigavano in cielo come un viso in lacrime. L’ unica cosa che potevo fare era farci l’ abitudine. Dovevo abituarmi a voltarmi di lato e non vederlo più al mio fianco. Dovevo abituarmi a non prendere di corsa il cellulare per raccontagli cosa mi succedeva, cosa provavo. E abituarmi a non sentire il suono della sua voce; a non vedere il verde cristallino dei suoi occhi e a perdermici dentro. 
Credevo, in quel momento, che sarebbe stato impossibile. Però poi è successo che quella che pensavo fosse la fine di tutto si è rivelata solo l’ inizio di un nuovo capitolo della mia vita. Il problema è sempre lo stesso: quanto ‘Ettore’ c’è in questo nuovo capitolo?  Quanto spazio si è preso e quanto ne ha lasciato a Giorgio? 
La risposa mi spaventa. 



 Continua...

4 commenti:

  1. Eeeeeeeeeeeeeeettore <3 (posso fare i cuoricini vero? Un po' bimbominkia?!)

    RispondiElimina
  2. Dai, e' il momento di decidere....non la fare tanto lunga: Giorgio e basta. Ettore poi lo racconti a tua figlia, un po' romanzato!
    Monica

    RispondiElimina
  3. ma non va più avanti questa storia??

    RispondiElimina
  4. ma quando continui??? sono impaziente di sapere come continua!!!

    RispondiElimina

Dimmi la tua!