giovedì 6 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 3


Svogliatamente infilo roba nella valigia senza guardare. Ma che cavolo ha in mente Enrico? E' necessario che io vada fino a Parigi? La risposta è facile: si! Come ha ben detto Ferdinanda "non si dice no al figlio del capo!".
La porta dell' ingresso si apre e sento Arianna che farfuglia qualcosa.
"Ari sono a casa" le grido prima che pensi che ci sia un ladro e mi venga incontro con un bastone (si, purtroppo, è accaduto).
"Che ci fai qui all' ora di pranzo?" chiede stranita entrando nella mia stanza da letto. Si butta sul divanetto accanto l' armadio e sbuffa "sono distrutta. Non avevo mai visto tanti bambini che vomitano tutti insieme". Arianna è specializzanda in pediatria al San Raffaele di Milano.
"Che schifo!" commento.
"Puoi dirlo forte sorella. Perché fai le valigie?"
"Vado a Parigi nel pomeriggio" faccio rassegnata.
"A Parigi?" le schizzano gli occhi fuori dalle orbite "a fare cosa? Portami con te!"
"Vado a Parigi a farmi licenziare!"
"Questi di Vogue ci tengono davvero tanto ai sentimenti dei loro dipendenti se per licenziarli li portano addirittura a Parigi". La fisso shockata. Lei ricambia sorridendomi.
"Enrico ha fatto si che io dovessi andare a Parigi con lui per seguire il servizio fotografico al museo del Louvre. Ecco perché vado a Parigi. Non credo proprio che a quelli di Vogue importi dei sentimenti di chi licenziano" le spiego paziente.
"Quel ragazzo ne sa una più del diavolo!"
"Non riesco a capire perché si comporti in questo modo"
"La risposta è più semplice di quanto tu possa immaginare: gli piaci. Devi capire che è uno abituato ad avere tutto ciò che vuole ed evidentemente in questo momento vuole te" mi spiega Arianna.
"Ma perché proprio io?"
"Perché sei bella? Intelligente? Adorabile? Perché non te la tiri come tutte quelle sgallettate che lavorano con te? Di motivi ce ne sono a iosa!". Arianna è un miracolo per l' autostima. 
"E' meglio che vada prima di sentire altre fandonie"
"Spero tu abbia messo in valigia della biancheria intima adeguata" ammicca.
La guardo in cagnesco, afferro il manico del trolley e lo tiro via oltrepassandola. "Ci vediamo lunedì" saluto chiudendomi la porta alle spalle.


Arrivo a Malpensa con due ore di anticipo sull' ora del volo. La redazione mi ha messo a disposizione una macchina per andare in aeroporto ma ho preferito prendere un autobus: non avrei potuto affrontare più di un' ora di viaggio se ci fosse stato anche Enrico.
"Filippa, sei già qui?". La voce di Enrico si insinua nei miei pensieri.
Dannazione quanto è figo. Mi gira la testa. I capelli castani leggermente ondulati gli incorniciano un viso definito e forte. Ha gli stessi occhi della madre, di un verde marino cristallino, che sembrano quasi trasparenti. Oh Gesù io mi ci trufferei in quel mare... Filippa! Oh, si, scusate. Io voglio il lavoro, io voglio il lavoro, io voglio...
Gli sorrido ma non spiccico una parola. Non sono sicura che la mia bocca sia totalmente collegata al cervello in sua presenza e, di conseguenza, è meglio evitare di darle fiato.
La hostess al banco dell' Alitalia ci sorride cordiale e ci consegna le carte di imbarco.
"Per qualsiasi cosa non esiti a chiedere" dice la hostess rivolta ad Enrico. Accenna un occhiolino e sorride ammiccante. Lui si gira verso di me e mi poggia una mano sulla schiena.
"Non mancheremo" risponde usando il plurale e mi fa strada verso i controlli di dogana lasciandola interdetta. Non posso non gongolare. Ma solo un pochino...
"Sono tutte ai tuoi piedi" commento sarcastica.
"Non tutte" dice serio "non ancora almeno" mi supera e poggia la borsa a tracolla sul rullo per i controlli, in un cestino a parte mette il computer portatile, l' I-pad e una piccola digitale Canon.

Il cielo a Parigi è limpido come in una mattina di maggio nonostante sia novembre inoltrato. L' aria è frizzante ma il freddo non è così penetrante come mi aspettavo. E' la terza volta che torno a Parigi. La prima volta sono venuta con i miei genitori e mia sorella minore quando avevo dodici anni ma passammo un' intera settimana a Disneland senza mai uscire. La seconda volta sono venuta con Arianna quando avevo vent' anni: eravamo al secondo anno di università e i suoi genitori avevano deciso che il nostro appartamento fosse da ristrutturare così ci mandarono tre settimane in Francia completamente a spese loro. Dopo otto anni di convivenza con Arianna non ho ancora capito cosa facciano i suoi genitori per essere così dannatamente ricchi.
"Sei mai stata a Parigi?" mi chiede Enrico mentre un taxi ci porta in albergo.
"Ho vissuto qui per quasi un mese" spiego e gli racconto della ristrutturazione " ma sono passati sei anni da quella volta"
"Io ci vengo spessissimo per lavoro. Parigi offre un' infinità di luoghi magici da usare come locations. Mi piace l' aria sofisticata e un po' snob di questa città: è come se avesse bandito la volgarità dalle sue strade!" dice affascinato mentre i suoi occhi accarezzano il panorama che scorre dal finestrino.
E' perso nei suoi pensieri e mi fermo ad osservarlo. Ha una piccola ruga d' espressione che parte dall' occhio destro e gli circonda lo zigomo. Il suo naso è importante ma in perfetta armonia con il resto del viso. Le sue labbra carnose sembrano pompate con il botox e sono di un color fragola spento e sensuale.
Il mio cellulare inizia a gracchiare riportandomi alla realtà. Leggo "mamma" sullo schermino ed improvvisamente mi viene in mente che non le ho detto nemmeno che partivo.
"Filippa, tesoro, hai avuto il cellulare spento per un sacco di tempo. Dove sei finita?"
"Mamma sono a Parigi. Un impegno di lavoro improvviso. Me l' hanno detto stamattina che dovevo andare" le spiego.
"Oh tesoro e quando hai intenzione di tornare? Ti chiamo per dirti che hanno appena pubblicato le date delle lauree e tua sorella discute la tesi mercoledì".
Dannazione, già si laurea? Speravo che questo giorno non arrivasse mai. Mia sorella minore Claudia è l' orgoglio dei miei genitori. Mia madre, avvocato matrimonialista conosciuta in tribunale come "Terminetor: la donna che termina con il marito in mutande"; e mio padre, avvocato penalista affermato, volevano che entrambe le loro figlie studiassero legge. Quando comunicai loro che non avevo nessuna intenzione di lambiccarmi il cervello tra il diritto penale e il diritto di famiglia in casa mia si sfiorò la tragedia. Io scelsi lettere con indirizzo moda con sommo sdegno di mia madre. Claudia, due anni più piccola di me, ha studiato giurisprudenza e frequenta lo studio legale dei miei genitori da quando era al secondo anno. Potete ben immaginare quanto piacere ho ad andare ad una festa in cui mia madre vanterà mia sorella come la degna erede dello studio legale Torre fondato da lei e mio padre trent' anni prima dopo che io ho deliberatamente scelto altro (non lo specifica mai cosa faccio. Come se nella mia carta di identità, alla voce professione, ci fosse scritto "rapine e furti con scasso"). Sarà una serata piacevole come una ceretta all' inguine in due soli strappi.
"Mamma spero di poter venire in serata. Devo parlare con il mio capo e chiedere se posso allontanarmi dall' ufficio"
"Oh, schiocchezze signorina. Claudia rappresenta la nuova generazione di giuristi della nostra famiglia non puoi certo perdertela per correre dietro a qualche modella che sgambetta e fa le smorfie". Per lei, più o meno, è questo che faccio tutto il giorno.
"Farò il possibile" taglio corto "fatemi sapere l' ora. Adesso devo andare mamma, saluta papà e Claudia. Un bacio". Chiudo la conversazione prima che lei possa dire altro.
Butto il Blackberry nella borsa quasi scottasse. Enrico mi lancia un' occhiata interrogativa che si scioglie subito in un sorriso divertito.
"Mia sorella si laurea mercoledì e i miei genitori sono su di giri perché finalmente c'è un nuovo avvocato in casa" spiego.
"Volevano che anche tu diventassi avvocato?".
Annuisco.
"E come mai hai scelto lettere?" chiede ancora.
"Tu perché non hai studiato ingegneria?". La mia domanda spiega tutto.

Dopo aver sbrigato le formalità di check-in in albergo Enrico mi propone un giro nei pressi di Montparnasse per cena.
"Ci vediamo nella hall alle otto?" chiede lui di fronte le porte dell' ascensone.
"Domani mattina dobbiamo essere sul set molto presto". Ci hanno concesso di scattare in alcune sale del Louvre a patto che tutto fosse smontato e finito prima di mezzogiorno.
"Se non c' è il fotografo, che sarei io, non si comincia quindi non vedo il problema" sorride.
"Ok, facciamo otto e trenta. Ho bisogno di una doccia". Ci salutiamo e ci avviamo alle nostre camere da letto.
Dalla finestra della mia stanza si gode una splendida vista dell' Operà di Parigi. Sembra una cartolina che immortala il crepuscolo sulla città. I due angeli dorati che troneggiano sulla struttura sembrano volermi dare il benevenuto. Le loro ali spiegate sembrano volere abbracciare l' infinito.
Appendo i vestiti che ho portato con me nell' armadio e mi concedo una lunga doccia bollente. Se solo me lo avessero detto stamattina quando mi sono alzata non ci avrei mai creduto che avrei passato la notte a Paris!
La doccia mi rimette al mondo. Non faccio in tempo ad asciugarmi che il mio cellulare squilla. Prego il cielo che non sia di nuovo mia madre o -peggio ancora- mio padre. Non potrei sopportare un' altra sviolinata per la laurea di Claudia.
"Filly" la voce allegra di Arianna irrompe nel silenzio della stanza "ti sei già sollazzata con quel figo? Ahhh prima che mi dimentichi. Ha chiamato tua sorella Claudia..."
"Lo so!" la interrompo brusca "mia madre ha già chiamato per la bella notizia". Ovviamente sono sarcastica. Bella notizia un corno!
"Ha invitato me e i miei genitori per mercoledì sera. La festa sarà in un piccolo borgo fuori Genova" mi spiega Arianna.
"Niente a che vedere con la cena in famiglia per la mia laurea!"
"Credo che la tua festa di laurea, in confronto a quella di Claudia, sembrerà il pranzo della domenica a casa dello zio a Trastevere!"
Ora ditemi voi che diavolo di paragone è? Io non ho uno zio a Trastevere: che cavolo ne so come passa le domeniche? Sbuffo. "Ti conviene comprare qualcosa di adeguato" aggiunge Arianna.
"Farò senz' altro un giro da Dior" commento sarcastica. Per la mia laurea avevo un tailleur di Armani. Nero. Anonimo. Triste. Come la faccia dei miei.
"Filly so quanto ti pesa che i tuoi non accettino che il tuo lavoro sia serio quanto il loro ma non puoi fartene una malattia. E comunque sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato!"
"Magari Claudia si innamorava di un congolese e scappava in Congo senza finire gli studi. O decideva che la sua strada era con Medici senza Frontiere... che ne so!" farfuglio sconsolata.
"Ormai la tesi è consegnata. Vedrai che sarà a lovely night"
"A proposito di lovely night. Mi vesto che ho appuntamento con Enrico per la cena tra mezz' ora" dico guardando l' orologio digitale sulla tv.
"Chiamami appena torni. Sono di turno tutta la notte e non resisto fino a domani" dice entusiasta "beh, ovviamente, se le luci della serata si tingono di rosso ti do il permesso di chiamarmi domani mattina. Ma presto!"
"Ma che diavolo... Buona serata Arianna!"
"Anche a voi" canticchia e riattacca.

Quando le porte dell' ascensore si aprono intravedo Enrico. E' seduto al bar e sorseggia un liquido marrone scuro, un whisky forse. Indossa un paio di jeans e una camicia blu, sulla sedia di fianco la sua vi è poggiato un cappotto, blu anche quello.
"Ehy" gli dico arrivandogli alle spalle "è molto che aspetti?"
Lui si gira e mi sorride "il tempo di un buon whisky". Il suo alito caldo misto all' odore agre dell' alcol mi travolge e per un attimo mi trema la terra sotto i piedi. Enrico si alza, afferra il cappotto e mi prende per mano trascinandomi, oltre la hall, in strada.
Lo sbalzo di temperatura tra l' interno e l' esterno è doloroso come un pungo sullo stomaco. Non che abbia mai provato cosa vuol dire ricevere un pungo sullo stomaco ma, stando a quello che fanno vedere nei film, non dev' essere piacevole!
"Dove andiamo?" chiedo mentre un taxi si ferma di fronte a noi ed Enrico apre la portiera per farmi salire.
"Vedrai, ti piacerà" dice e sorride sedendosi accanto a me sul sedile posteriore.
Da quando siamo a Parigi mi sento stranamente più rilassata. Sarà l' aria romantica del posto o il fatto che li nessuno ci conosce. Potremmo tranquillamente passare per una normale coppia di amici (è bene che si specifici. AMICI!) che va a cena fuori. Insomma non siete mai andati a cena con un amico? Ecco, appunto.
Il taxi ci lascia davanti davanti ad un locale con le finestre basse dall' aria tipicamente francese. I tavolini posti davanti l' entrata sono vuoti dato il freddo ma apparecchiati come se aspettassero di essere riempiti da un momento all' altro. Entriamo nel piccolo locale e un buon profumo di pane fresco misto a spezie provenzali mi inonda le narici. L' ambiente è rustico e la stanza è interamente di legno. Le tovaglie rosse mi fanno pensare al Natale anche se manca più di un mese.
"Enricò bienvenue à nouveau" un omino tarchiato completamente vestito di bianco saluta Enrico aggiungendo un simpatico accento all' ultima lettera del suo nome.
"Gastone che piacere rivederti" ricambia lui "hai un posticino tranquillo per noi?" dice facendo l' occhiolino a Gastone.
"Certainement, chi è cette bon fille?" chiede lui complice.
"Une ami, Gastone, une ami spécial"
Gastone mi porge il braccio e ci invita a seguirlo verso un tavolo in un angolo del locale seminascosto da una fioriera.
"Qui potrete stare in pace" dice Gastone in un italiano stentato condito da un romantico accento parigino. "Vi porto il solito?".
"Nous sommes dans tes mains" risponde Enrico.
"Non sapevo che parlassi francese" commento quando Gastone si è allontanato sorridente.
"Solo qualche parola. Ti piace il posto? Io vengo qui ogni volta che passo da Parigi e devi ritenerti molto fortunata signorina: prima di te, qui, ero venuto solo con mia madre! Questo posto è una perla di tranquillità che preferisco non condividere"
Bravo, nominala! Avevo quasi dimenticato chi è tua madre...
Le portate si susseguono in un mix di gusti forti, il vino scorre piacevole come un fiume in un periodo di piena.
"Non avevo mai mangiato così tanto" commento all' arrivo della crème brûlée. L' odore paradisiaco di panna e zucchero bruciato mi invita a divorarla.
"Ancora un goccio" Enrico mi versa un altro bicchiere di un ottimo vino rosé.
Mi sento vagamente alticcia. Purtroppo io non reggo bene nemmeno la Coca Cola quindi, molto probabilmente, quando verrà il momento di andare, avrò dei problemi a reggermi sulle gambe!
Enrico mi raccontata di avere tre fratelli più piccoli nati dal secondo matrimonio del padre con i quali però non ha un gran rapporto dato che vivono negli Stati Uniti.
"Anche io vorrei che mia sorella fosse negli Stati Uniti in questo momento" gli rispondo sconsolata. Nemmeno la crème brûlée riesce a togliermi Claudia dalla testa.
"Ci vengo io con te mercoledì" propone all' improvviso.
"Non dire schiocchezze"
"Sarò il tuo scudo contro tutte le frecciatine che ti verranno rivolte".
Che tenero, parla senza cognizione di causa...

Quando riapro gli occhi sono seduta dentro una macchina di fronte l' entrata del nostro albero. Mi ci vuole qualche minuto per mettere a fuoco cosa mi circonda.
"Gesù... mi sono addormentata?" chiedo ad un divertito Enrico.
"Appena ti sei seduta in taxi. Tu russi". Lo guardo esterrefatta. "Scherzo..." aggiunge.
Quando le porte dell' ascensore si chiudono davanti in nostri occhi mi tolgo le scarpe. "Mi stavano dando la morte" commento tenendo in mano un paio di Ferragamo nuove che sono tanto belle quanto scomode. E, dovete credermi, sono proprio divine.
Date le mie percezioni alterate dal vino non so bene come la sua bocca si sia trovata d' improvviso sulla mia quando ho alzato la testa con le scarpe in mano. Le sue mani scivolano lente sotto il mio cappotto e con una stretta mi cinge la vita, il suo petto scolpito sul mio, le sue labbra carnose sulle mie. Il mio cuore batte come un martello pneumatico sull' asfalto. Il suo bacio è caldo, appassionato. La voglia di lui mi accarezza la schiena, tutte le cellule del mio corpo sono attratte da lui come calamite di poli opposti. Sapiente si sposta sul collo e mi bacia ancora, avidamente. Le mie mani si tengono alle sue spalle: le mie gambe stanno per cedere. Ritorna sulla bocca, lo accolgo senza poterne fare a meno. Il bacio di due persone che si sono trovate, la passione di due corpi che si incastrano come pezzi di un puzzle. L' unica cosa che riesco a pensare in questo momento è che lo voglio, che è giusto.
Il tintinnio dell' ascensore ci avverte che siamo arrivati. Non so di preciso nemmeno a che piano siamo. Enrico mi tiene salda per mano ma non c' è il rischio che vada da nessuna parte. Apre la porta della sua stanza tirandomi dentro. Le sue labbra sono di nuovo sulle mie.

Continua...

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1 commento:

  1. Fantastico.....non vedo l'ora di leggere il prossimo capitolo!!!!

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