martedì 6 dicembre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 17



"Che fai?". La voce familiare del mio uomo attira la mia attenzione. Alzo gli occhi e vedo Enrico, è sbucato dal nulla nell' ufficio di Ferdinanda che ormai è diventata una seconda casa per me. Lei si gode il suo riposo forzato guardando serie tv americane mentre io svolgo, come posso, il suo e il mio lavoro. 
Un grosso taglio sui jeans, all' altezza del ginocchio, lascia scoperto un lembo di pelle. Il maglione grigio scuro di lana grossa, che gli accarezza il collo affusolato, stride con la leggerezza dei jeans. Vederlo mi provoca sempre un brivido lungo la schiena: non riesco ancora a credere che fra tutte lui abbia scelto me.
"Stavo guardando i voli per l' America" gli rispondo sovrapensiero. 
"Ah". Sospira pesantemente. "Hai deciso di fare il colloquio?"
"Ho deciso di non precludermi nessuna possibilità". Dal mio tono di voce sembra quasi che io mi stia giustificando. Sono nella posizione di doverlo fare?
"La tua vita è a Milano, Filippa" dice serio. Non sembra contento della mia decisione. 
"La mia vita è a Milano oggi. Ma di domani cosa mi dici? Se non dovessi essere una delle due persone scelte per il contratto di un anno con Vogue Italia a Milano non avrei nulla da fare!" 
Enrico mi lancia un' occhiataccia.
"Non fraintendermi" gli dico prima che scambi pazzi per mazzi "tu sei la persona più importante della mia vita in questo momento. Pagherei tua madre purché mi assumesse per poter rimanere a Milano, anche solo un giorno in più, pur di stare con te, ma devo essere obbiettiva e ho lavorato sodo per arrivare dove sono. Non voglio buttare al vento un' opportunità d' oro come quella di un colloquio a Vogue America"
"Ci dividerebbero otto ore di volo e sei di fuso orario". Scherza ma la sua voce è amara. Dopo quello che mi ha raccontato Davide ho quasi paura a mostrargli quanto tengo al mio lavoro. Molto probabilmente mi sono fatta condizionare troppo. 
"Non è detto" alludo. Vorrei chiedergli direttamente che cosa farebbe lui se io dovessi andare a vivere a New York ma sono troppo codarda. 
Enrico mi fa un sorriso e mi accarezza la mano poggiata sul mouse dall' altra parte della scrivania. "Ne riparliamo più tardi a casa. Ti aspetto per cena da me, preferisco parlare con te da solo di questo e nel tuo appartamento c'è Arianna" dice. Esce di corsa dalla stanza e chiude la porta dietro di se. Mi lascia un' alone di incertezza che si impossessa di me. Di cos'è che dobbiamo parlare? Il mio cuore accelera il battito pompando più sangue al cervello. Un turbinio di pensieri non mi lasciano il tempo di riflettere. E' come se non fossi più padrona del mio corpo: le emozioni, le sensazioni, i pensieri vagano solitari e si fissano in un punto solo quando e dove dicono loro. Mi sento in balia degli eventi. 
La breve conversazione con Enrico è stata imbarazzante. 
Mi accascio sulla sedia e sospiro mentre fisso lo schermo del pc di Ferdinanda. Una lista infinita di combinazioni e prezzi che mi portano a viaggiare con la mente. Scalo a Bruxelles? Scalo a Parigi? Volo diretto? Bagaglio a mano? Pasto vegano? Pasto ipocalorico?
Prendo il cellulare dalla tasca del cardigan che indosso e inizio a digitare senza pensarci troppo.

Mail
From: Filippina@Vivamail.com
To: DCarrisi@Vivamail.com
Oggetto: Ho deciso di fare il colloquio. L' ho accennato ed Enrico ma credo che non l' abbia presa così bene come speravo. E se andare a New York fosse una follia?
Filippa.

Invia. Fisso il disegno di una piccola busta da lettere che si muove in senso orario sullo schermo del Blackberry ipnotizzata fino a che non sparisce. Il desiderio di sapere cosa ne pensa Davide si è impadronito di me scansando il raziocinio. Non so perché gli ho appena mandato quella mail. E' come se avessi bisogno della sua conferma di stare facendo la cosa giusta. 
Prendo la carta di credito, quella sul conto di mio padre che nel mio ci sono solo pochi spiccioli, dal portafogli e proseguo al pagamento del biglietto aereo. Volo diretto. Pasto convenzionale. E' fatta. Mancano ufficialmente otto giorni alla mia partenza per New York: è ora di fare i conti con il futuro, qualunque cosa questo significhi. 
Il telefono sulla scrivania inizia a suonare facendomi perdere dieci anni di vita. Sono talmente immersa nei miei pensieri che quando torno alla realtà devo focalizzare qualche istante dove mi trovo. 
"Filippa, dove diavolo sei? Hai dimenticato le prove degli abbinamenti che hai scelto per il servizio sulla lana?". E' Mattia, dalla sezione fotografia. 
In realtà io non ho scelto proprio nulla. Qui tutti continuano a dimenticare che io non sono Ferdinanda. "No, assolutamente. Sono li in un secondo" mento. L' avevo dimenticato eccome. Anita deve approvare l' intero servizio e se ci sarà qualcosa che non le piace significa che stasera non andrò a letto presto. Ora che ci penso potrebbe essere la scusa perfetta per evitare la discussione coin Enrico. Se ci fosse l' Oscar al miglior codardo molto probabilmente a quest' ora avrei anche io una vetrinetta per i premi.  
La testa mi pulsa mentre mi alzo e mi dirigo agli ascensori. Dopo che Davide mi ha riportata a casa, ieri notte, non ho preso sonno subito e la sveglia è suonata solo due ore dopo. 
Il piano della fotografia dove sono allestiti tutti i set dei servizi che non vengono svolti il locations apposite è un caos. Il servizio sulla lana per il numero di gennaio è stato un' idea di Ferdinanda ma non ha potuto finire il lavoro e ha lasciato a me tutte le rogne. Non che mi dispiaccia, è chiaro. E' quello che ho sempre desiderato fare ma il peso delle bugie mi sta schiacciando. Non dire ad Anita di Enrico. Non dire ad Enrico di Davide. Non dire ad Anita di Ferdinanda. Che casino... 
"Filippa, per carità, mi spieghi questi appunti di Ferdinanda?" mi chiede Caterina, l' assistente di Anita. 
"Sono i maglioni di Marni blu notte che aveva richiesto per il servizio. Voleva che questo fosse il colore principale. Doveva occuparsi del resto dopo la festa ma sappiamo tutti come è andata a finire" le spiego. 
"Questi maglioni qui non sono mai arrivati. Abbiamo dodici modelle in jeans e reggiseno e nemmeno un capo di lana da mettergli addosso. Buffo dato che si tratta di un servizio sulla lana! Un servio da quattordici pagine, Filippa." commenta ironica Caterina. 
"Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?" chiede Anita a gran voce. Improvvisamente cala il silenzio. Tutti fingono di guardare a terra o fissano i fogli che hanno in mano come si faceva a scuola quando non volevi incontrare lo sguardo del professore per paura che ti interrogasse. 
"Credo che Ferdinanda non abbia fatto in tempo ad ordinare tutti i capi per il servizio" le rispondo. Mi piego leggermente come se mi aspettassi un meteorite in faccia da un momento all' altro. Anita mi fissa esterefatta. Indossa un abito nero anni '50 con le maniche a sbuffo dalle quali escono le sue braccia bianche ed ossute. 
"E nessuno ha pensato bene di farlo, ovviamente. Ditemi, come si fa un servizio sui maglioni di lana senza maglioni di lana? Lavoro a Vogue da più di venti anni e non mi è mai capitato. Illuminatemi" dice sarcastica. 
Non sono sicura ma credo che dalle sue narici stiano iniziando ad uscire piccoli sbuffi di fumo. "Io spero che voi sappiate che questo scherzo ci costerà svariate migliaglia di euro ma, ancor più importante, mi sta facendo perdere del tempo e Dio solo sa quanto io detesti perdere tempo!" sbotta il mio capo quando vede che nessuno si azzarda a proferire parola. 
Spero che Ferdinanda si stia godendo la puntata di CSI Miami che sta guardando in questo momento; la prossima vittima potrebbe essere io. Dannazione. 
Ho un' idea. Mi frulla in testa da un po'. Inspiro profondamente e do fiato alla bocca. 
"Abbiamo in guardaroba ancora tutti gli abiti che avevamo chiesto per il servizio sui cartoni animati" propongo. Tutti mi fissano come se avessi sbattuto la testa. Caterina sta per avere un attacco di cuore. Anita aguzza gli occhi. 
"Continua, Filippa" dice il mio capo.
"Se facessimo indossare alle modelle gli abiti da sera sui jeans? Al posto dei maglioni. Lasciamo che alzino le gonne vaporose affinché si vedano i jeans sotto come se volessero sottolinerare il fatto che sono loro -le donne- a portare i pantaloni. La linea sottile tra la femminilità un po' retrò fatta di tulle e seta e il maschiaccio che c'è in ognuna di noi dettato dalla comodità. Gli abiti sono allegri e colorati dato che erano indirizzati ad un servizio sui cartoni animati" propongo. Sono letteralmente in un lago di sudore. Mi imbarazza parlare davanti a così tante persone. Cerco Enrico con lo sguardo ma non lo vedo. 
Anita mi studia. Sta immaginando la scena. Non dice una parola.
"Potremmo chiedere al parrucchiere di pettinare solo metà testa di ogni ragazza. Metà dei capelli sciolti, selvaggi. L' altra metà legati in eleganti chignon. La stessa cosa si può fare con il trucco" continuo. E' un servizio che mi girava in testa da un po' ma non avevo mai avuto il coraggio di proporlo a nessuno, tantomeno ad Anita. Speravo di non dover proporre mai nulla ad Anita, in realtà. Diavolo Filippa, ma tu il coraggio non sai proprio dove sta di casa!
Tutti adesso hanno posato gli occhi su Anita. Sembra l' Uomo del Monte che deve dire di si. Avete presente la pubblicità? Quella dove un contadino si affaccia sui campi sotto di lui, attira l' attenzione di tutti gli altri contadini e grida "l' uomo del monte ha detto siiii".
"Chiamate Grindad, quella fotografa bielorussa che ha partecipato al Contest online, voglio che sia lei a fare queste foto. Filippa da adesso in poi il lavoro è tuo. Il servizio porterà il tuo nome" dice Anita. La sua faccia è inespressiva. Chiama Caterina e sparisce dietro le porte degli ascensori lasnciadoci tutti li, immobili. 
"Bel colpo. Dove l' hai presa quest' idea? Nelle patatine?" commenta Lara Ferrandi avvicinandosi. Mi regala un sorriso tagliente che mi gela il sangue nelle vene. Ma è un' altra la cosa che mi spaventa: se fallisco con questo servizio; se -per un qualsivoglia stupidissimo motivo- ad Anita non piace il risultato la mia carriera è finita. Qui e in qualsiasi altra pubblicazione di moda del mondo. Mi gira la testa. Mi viene da vomitare.


"Il signor Carrisi mi aspetta" annuncio al portinaio dentro il gabbiotto nell' ingresso dello stabile di Enrico. Sono bagnata come un pulcino: sta diluviando così forte che per strada si potrebbe tranquillamente fare surf.
"Conosce la strada. Dato che è una delle poche che è tornata per la seconda volta" dice, ridendo di gusto, il portiere.
Sono troppo stanca per discutere se no... Beh, se no niente. Fanculo lui. Però non lo dico a voce alta che poi lo potrebbe sentire.
Enrico si fa trovare sul pianerottolo appoggiato allo stipite della porta d' ingresso con la sua ingombrante macchina fotografica al collo.
"Una foto alla prima stagista della storia di Vogue che firmerà uno dei servizi di punta del numero. Ci concede due parole, signorina? E' emozionata?" dice divertito mentre una miriade di flash partono dalla sua macchina fotografica.
"Non fare lo scemo. Sono spaventata a morte!" gli dico scansandolo. Appoggio il sedere alla parete immacolata e mi piego in avanti per abbassare la cerniera degli stivali di camoscio di Chloé. Speriamo che le macchie degli schizzi d' acqua si tolgano, mi sono costati una fortuna.
Li sfilo e mi lascio cadere, scivolando sulla schiena contro la parete, a terra. Metto la testa fra le braccia e mi accuccio per un istante. La posizione non è delle più comode dato che la gonna che indosso è tamente stretta che sembra la fasciatura di una mummia.
Un paio di lacrime, di quelle stronze che non sanno stare al loro posto dentro gli occhi, escono fuori bagnando il cotone della gonna che da color camoscio diventa marrone scuro.
"Filippa che succede?" chiede preoccupato Enrico.
"Nulla, sono solo stanca" singhiozzo.
Enrico si siede sul marmo freddo accanto a me e mi cinge le spalle con il braccio. Il calore che emana, attraverso la camicia di flanella a quadrettoni verdi, è piacevole e rassicurante.
"Sai, succede sempre quando sei così vicina alla realizzazione di un sogno" dice baciandomi la testa.
Alzo la testa e lo guardo per un istante, poi abbasso nuovamente gli occhi. "Se io dovessi trasferirmi a New York per un anno o per sempre tu ci verresti con me?"
Mi guarda confuso. "Che domande sono?"
"Ho bisogno di sapere che qualunque scelta io faccia tu ci sarai"
"Vedrai che riusciremo a superare anche questo"
"Non c'è nulla da superare, Enrico, voglio solo sapere se tu verresti con me" insisto.
"Filippa non ci voglio nemmeno pensare" risponde brusco.
"Ed invece è il caso di farlo, Enrico. Parto fra otto giorni e al mio ritorno la mia vita potrebbe essere completamente stravolta. Ho bisogno di sapere che sei dalla mia parte". Scandisco bene il suo nome come faceva sempre nonna Eleonora quando combinavo un guaio.
"Vuoi sapere se verrei con te? Se ti seguirei in capo al mondo? Senti il bisogno di avere delle conferme?". Sembra... inorridito. E' questo l' aggettivo giusto.
Gli faccio un cenno d' assenso con la testa: ho bisogno delle sue conferme.
"Filippa tu hai rivoltato il modo in cui ho sempre visto le cose come un calzino. Ero immerso in una vita fatta di lavoro e divertimenti; una vita fatta essenzialmente di niente. Guardavo avanti sovrappensiero senza rendermi davvero conto che stavo sprecando le mie emozioni. Tu sei stata la mia luce e te l' ho dimostrato ogni singolo secondo in questo mese perciò non capisco queste tue insicurezze. Vuoi andare a New York? Andiamo a New York. Certo, non ti nego che preferirei rimanere a Milano: tutta la mia vita è qui e anche la tua ma se dobbiamo andare in un altro continente per stare insieme allora andiamo. Platone scrisse che gli esseri umani furono creati originariamente con quattro braccia, quattro gambe e una testa con due facce. Un solo cuore. Temendo il loro potere, Zeus li divise in due parti separate e li condannò, così, a spendere la loro vita alla ricerca della loro metà perfetta. Io l' ho trovata, pensi che me la lasci scappare?"
"Sei sicuro che verresti con me?" gli chiedo ancora una volta.
"Cosa vuoi che faccia per dimostrartelo?"
"Baciami" gli rispondo accennando un sorriso. Mi rilasso tra le sue braccia. Il nostro bacio ha un sapore salato per via delle mie lacrime e dolce, allo stesso tempo, grazie alle parole che Enrico mi ha appena detto.
"Ti amo, Filippa. Non dubitarne fino a che non sarò io a dirti che non è più così"
Dalla tasca del cardigan, dove tengo il BlackBerry, sento una piccola vibrazione seguita da un bip bip accennato. E' il segnale che mi avverte che c'è una nuova mail da leggere. Mi torna subito in mente Davide.
"Vado un secondo in bagno, mi prepari qualcosa? Sto morendo di fame" dico ad Enrico alzandomi dal pavimento. Ho il sedere completamente congelato.
"Agli ordini signorina!" dice mentre mi aiuta ad alzarmi. Lo vedo scendere dalle scale che portano al piano di sotto dove c'è la cucina.

Mail
From: Dcarrisi@vivamail.com
To: Filippina@vivamail.com
Oggetto: Se non sei folle a ventisette anni... Goditi New York e al resto ci penserai al ritorno.
Ah, prima che me ne dimentichi, ho chiesto a Ina di far aprire l' appartamento che hanno in città. Non è necessario che tu spenda una fortuna per un albergo. Il portiere ti darà le chiavi: fa come se fossi a casa tua.
L' indirizzo è 129 Est 66th all' angolo con la Lexinton Ave. Buon fortuna per tutto.
Davide.

Mail
From: Filippina@vivamail.com
To: Dcarrisi@vivamail.com
Oggetto: Andrà tutto bene. Grazie mille per la disponibilità ma non so se Enrico sarà contento per la casa. Ci penserò su, Filippa.

Cerco nell' armadio di Enrico qualcosa di comodo. Trovo i pantaloni di una tuta Nike blu elettrico. Li indosso e tiro la coulisse talmente stretta che potrei farci il doppio giro intorno alla vita. Scendo al piano di sotto e vedo Enrico intendo a spadellare qualcosa dal profumo irresistibile. Dall' odore sembrano zucchine ma realizzo che non è poi così importante. Fino a che possiamo contare l' uno sulla presenza nella vita dell' altro sono certa che tutto filerà per il verso giusto. Sono ottimista. In realtà cerco solo di non pensare a tutto il lavoro che mi aspetta prima di partire e al fatto che ad Anita tutto questo lavoro potrebbe non piacere. Che codarda che sono. L' avevate capito, vero?
Continua...



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45 giorni a Vogue by Robi Landia is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia License.
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7 commenti:

  1. Qualcuno dia fuoco a Davide, please.
    Oppure al blackberry di Filippa! :)

    Ahhh Robi Robi...

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  2. dai alla fine non le ha mica detto parti fregatene di Enrico! è giusto che almeno il colloquio lo faccia! non sta ancora prendendo nessuna decisione e ha ragione quando dice che se non va bene li a Milano non può rimanere fregata! più porte apri più possibilità hai di andare di andare dalla parte giusta no??? io spero solo che Enrico non faccia qualche cavolata tipo dire alla madre di assumerla pur di farla rimanere a Milano! o cose simili...

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  3. Noooo è già finito il capitolo :'(
    Ti prego posta presto eh! Mi raccomando!

    Adesso ci manca solo che Davide si faccia trovare nell'appartamento U_U

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  4. ahhahahahh l'uomo del monte!!! :D
    che dolce Enrico comunque.. quasi mi commuovo! :)

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  5. Ci manca che Filippa accetti di andare in quell'appartamento -.-

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  6. Davide davide davide.. Sará la mia rovina.. Ops quella di Filippa..
    Robi, grandissima come sempre :)

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  7. Bellissimo questo capitolo! Non vedo l'ora di leggere il resto!

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