lunedì 19 dicembre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 19



"Io amo il mio lavoro. Io amo il mio lavoro" ripeto come un mantra mentre faccio avanti e indietro dalla mia stanza al bagno e poi dalla mia stanza al soggiorno. "Io amo il mio dannatissimo lavoro!" dico a voce più alta quando mi cadono a terra tutti i provini del servizio fotografico. Sono le cinque del mattino ed io sono in ritardo. E' disumano essere in ritardo alle cinque del mattino. E' il secondo giorno di fila che Grindad ci raduna tutti all' alba in redazione. Ieri se ne è andata senza scattare nemmeno una stupida fotografia, se oggi dovesse fare lo stesso giuro che la strozzo e l' appendo per i capelli.
"Io amo il mio lavoro. Io amo il mio lavoro" il mio torno di voce è sempre più alto. Le scarpe di vernice color cipria di Miu Miu producono un rumore che risulta quasi fastidioso ad un orario simile. "Dove diavolo è il mio Blackberry?" urlo. Alzo lo sguardo dalla borsa e mi accorgo di stare parlando da sola. Faccio un respiro profondo e ripeto a me stessa "io amo il mio lavoro. Io amo il mio lavoro. IO. AMO. IL. MIO. LAVORO!" 
"Cristo Stantissimo, Filippa. Non frega a nessuno. Sono le cinque del mattino e fra quattro ore inizia il mio tour de force in ospedale. Mi aspetta un turno massacrante di quaranta ore. Fai silenzio!". Arianna compare sul corridoio con la faccia pestata dal sonno. I suoi ricci sono appiattiti dal lato in cui ha dormito. 

"Scusami è che sono in ritardo e non trovo nulla. Hai visto il mio cellulare? Non ricordo dove l' ho lasciato!" 
"Non l' ho visto e anche se l' avessi visto di sicuro il mio cervello non è in grado di elaborare il ricordo alle cinque del mattino" risponde seria. 
La fisso per qualche secondo. "Io amo la mia coinquilina. Io amo la mia coninquilina. Io amo il mio lavoro e la mia coinquilina!" dico a voce alta. 
"Ma dove stai andando a quest' ora? A fare il pane?" chiede Arianna. 
Eccone un' altra. Ma, fatemi capire, soltanto chi fa il pane si alza presto? Le lancio un' occhiataccia ed evito di risponderle. Lei ridacchia mentre si avvolge le braccia coperte dal pigiamone di pail attorno alla vita. 
Infilo alla rinfusa tutti fogli che trovo in giro nella cartellina. Prendo il capotto, pende da un lato. Ecco dove era finito il cellulare. "Ho trovato il Blackberry" annuncio allegra ad Arianna che si sta per riaddormentare con la testa appoggiata allo stipite della porta della sua camera. 
"Sia ringraziato il cielo. Ora vattene. Forse otto anni fa è stato un errore chiederti di vivere insieme!" dice divertita. 
"Forse. Ma credo proprio di no" afferro la borsa ed esco.
Il cielo è nero e minaccioso. Non mi piace uscire di mattina se non c'è il sole. Non che a Milano, d' inverno, il sole si veda spesso ma almeno il cielo non è completamente nero. Mi sarei accontentata anche di un grigio antracite o un fumo di Londra.
Mi incappuccio per bene avvolgendomi in una lunga sciarpa di Gucci nera come il cielo, come il mio umore. La temperatura è sotto lo zero di parecchi gradi e piccoli ammassi di nevischio sporco giacciono ai bordi del marciapiede. In giro non c'è un' anima viva, sui morti e sui fantasmi non posso assicurarvi nulla. 
Arrivo in piazza Amendola e salgo sul primo taxi disponibile. Non mi va di prendere la metro da sola quando in giro non c'è nessuno. 
"Piazza Cadorna, per favore!" dico al tassista. L' uomo barbuto sbadiglia pesantemente senza nemmeno coprirsi la bocca con la mano; aziona il tassametro che parte già da sei euro e trenta e ingrana la prima. Se solo avessi la patente. Devo mettere 'prendere la patente' tra le cose da fare assolutamente prima di morire. 
Milano è sgombra dal traffico e, nonostante una leggera nebbiolina che impedisce una visuale perfetta, arriviamo in redazione in meno di un quarto d' ora. Pago il tassista e scendo dall' auto. Vedo Caterina arrivare dall' altra parte della piazza e decido di aspettarla nell' atrio. Speriamo che Grindad sia in vena oggi. 
"Buongiorno Caterina" la saluto e le regalo il mio miglior finto sorriso. 
"Filippa se fosse un buongiono non ci troveremmo a lavoro alle sei del mattino come quelli che fanno il pane. Almeno non io!" 
Ma cos'è? Una congiura del santo protettore dei panettieri nei miei confronti? Devo forse mangiare più carboidrati? Da quando sto con Enrico ho già preso un chilo che nella lingua di Vogue ne vale addirittura cinque. Dovrei iscrivermi in palestra ma ormai, a conti fatti, mi rimane solo la notte e arrivo a casa talmente stanca che non ho nemmeno la forza di ragionare figuriamoci di andare in palestra. 
Caterina si toglie il cappotto prima di entrare in ascensore, i caloriferi sono già accesi da un po' e la temperatura comincia a diventare torrida. Indossa un vestito verde bottiglia a portafogli che si chiude con un enorme fiocco rosa cipria su un fianco. II colore risalta il rosso scuro dei suoi capelli. 
"Sai se la pazza è già arrivata?" chiede rompendo il silenzio disturbato solo dagli ingranaggi dell' ascensore. 
"No, sono appena arrivata. Speriamo che al settimo piano siano tutti pronti per scattare. Se anche oggi Anita non trova nulla sulla sua scrivania posso dimenticarmi anche quell' unica possibilità che forse avevo di avere il posto" 
"Se oggi sulla scrivania di Anita non ci sarà nemmeno una foto io a quella l' ammazzo" annuncia serafica Caterina. 
"Mettiti in fila". Caterina sorride. 
Quando le porte dell' ascensore si aprono davanti a noi si apre uno scenario disastroso. Se fosse scoppiata una bomba o se una banda di ladri avesse rovistato dovunque ci sarebbe stata meno confusione. 
"Che diavolo...". Una modella mi passa davanti a velocità spostando l' aria nonostante non pesi più di quarantacinque chili. 
Ci sono i vestiti del servizio sparsi in ogni dove e le modelle, non ancora pettinate e truccate, sono giacciono in ogni angolo del grande salone mezze nude. 
Parrucchieri e truccatori sono adagiati sulle loro sedie e sghignazzano. A quest' ora dovevano essere già tutti pronti per scattare. 
"Dov' è Grindand?" chiedo ad un segretario di redazione che mi passa davanti con una montagna di jeans in braccio. Mi fa un cenno disperato con la testa e mi indica una delle salette di post-produzione. 
"Ho paura di quello che troveremo dietro quella porta" dico a Caterina che alza gli occhi al cielo. Sono quasi certa che stia maledendo il momento in cui si è alzata dal letto stamattina. Appoggio la mano sulla maniglia e inspiro. Mi faccio coraggio e apro la porta della saletta. Di solito quando vengo qui è per dare un bacio di sfuggita ad Enrico. Ho come l' impressione che non sarà tanto piacevole. 
Ci sono candele accese in ogni angolo e un fortissimo odore di mariuana mi entra per le narici e mi sale al cervello. Grindad è appollaiata al centro della sala che fuma tranquillamente la sua canna. Mi sale il sangue al cervello. Sono stanca e incazzata. Più incazzata che stanca, se vi interessavano le proporzioni. 
"Questo è troppo. La voglio fuori di qua immediatamente. Caterina sbarazzati di questa pazza!" sbotto. Esco da quella stanza impregnata di fumo di canna e incenzo e mi dirigo verso il backstage del servizio. 
"Ascoltatemi tutti. Avete venti minuti per pettinare e truccare le modelle" dico rivolgendomi a parrucchieri e truccatori, "voglio che si vestano immediatamente con gli abiti che sono stati assegnati loro subito dopo. Fra mezz' ora dev' essere tutto pronto per il servizio. Non c'è un secondo da perdere". Tutti mi fissano ma nessuno muove un dito. "Adesso!" grido. Le modelle si alzano e gli addetti ai lavori si precipitano su di loro. C'è un' unica persona che mi può salvare il posto in questo momento: Enrico. Prendo il cellulare dalla tasca e mi dirigo agli ascensori. Salgo fino al magazzino, all' ultimo piano, e compongo il suo numero. Non risponde. Guardo l' orario sul cellulare: sono le sei e mezzo del mattino, evidentemente starà ancora dormendo. Cerco di ricordare il suo numero di casa. 02 3642... Ah, si... Ricordo... 02 3635792321. Digito frettolosamente le cifre e aspetto. 
"Pronto" la voce di Enrico è sensuale anche quando è appena sveglio. L' eccitazione del pensiero di lui mezzo nudo con una gamba fuori dal lenzuolo mi sale in testa. Allontano il pensiero e riprendo il controllo del mio corpo. 
"Ehy, sono io" dico sottovoce. Sono sola in un piano del palazzo completamente vuoto ma sussurro lo stesso.
"Buongiorno tesoro. Dormito bene? Mi sei mancata stanotte, sai? Che ore sono?" chiede Enrico, non sono certa che sia completamente padrone delle sue facoltà mentali. 
"Sono le sei e mezza. Enrico devi salvarmi la vita, ora" 
"Che dici? Dove sei?" chiede allarmato. Sono certa che si sia svegliato adesso. 
"In redazione. Devi venire immediatamente qui e scattare le foto servizio" dico. Dal mio tono di voce somiglia più ad un ordine piuttosto che ad una richiesta implorante e supplichevole ma in questo momento è meglio non puntualizzare troppo. 
"Non posso, Filippa, lo sai. Cerca di ragionare con Grindad. Se mia madre ha chiesto lei è lei e nessun' altro che deve firmare quelle foto!" 
"E' la seconda mattina che ci raduna qui all' alba. Quando sono arrivata l' ho trovata appollaiata come Buddah per terra in una saletta di post-produzione che si fumava una canna. E non credo nemmeno che fosse la prima della mattina visto e considerato come stava. Tua madre sarà qui alle dieci; questo ci da meno di quattro ore di autonomia per fare tutto quello che quella psicopatica avrebbe dovuto fare in tre giorni. Sono stanca, avvilita, distrutta, amareggiata. Sono la tua fidanzata. Ti amo. Tu ami ami. Mi ami, vero?" 
"Si. Ti amo. Ma non verrò in redazione per fare un servizio che il direttore del giornale ha affidato ad un altro fotografo" 
"Enrico la mia non è una richiesta è un vero e proprio messaggio d' aiuto. Un SOS disperato di una povera donzella in difficoltà. Pensa a noi: se dovessi deludere tua madre potrei finire a fare documentari in Siberia. Il nostro rapporto appena iniziato potrebbe finire così, barbaramente, solo perché non hai voluto fare quello che sai fare meglio". Lo supplico usando tutto quello che mi viene in mente per dieci minuti buoni prima che lui ceda. 
"Ok. Una doccia veloce e arrivo. Dammi un quarto d' ora". Lo sento ridere e il suo sorriso si disegna sulle mie labbra di riflesso come se fossimo uno davanti all' altra. 
"Dieci minuti. Non ho davvero tempo". 


In meno di venti minuti Enrico fa la sua apparizione trionfale in redazione. Indossa un paio di pantaloni della tuta verde mela e una felpa grigia. Un affusolato berretto di lana gli copre la testa dal quale escono alcuni ciuffi di capelli castani sulla nuca. La barba è lunga di un paio di giorni e gli da un aria un po' trascurata che lo rende irresistibile. Devo tenere a freno gli ormoni per non saltargli addosso, qui, davanti a tutti. 

"Buongiorno signori. Vediamo di mettere in scena la donna moderna divisa tra jeans e batuffoli di tulle" dice salutando tutti. Osservo come lo guardano le modelle e le parrucchiere. Le sue mani grandi sistemano l' attrezzatura sul piano di lavoro. Le piccole venuzze che ha sul collo disegnano ghirigori marcati irresistibili. Vorrei poggiare le mia labbra sul suo collo, vorrei le sue mani sulla mia schiena. 

Resto imbambolata a fissarlo e quasi non mi rendo conto che Caterina mi sta dicendo qualcosa. 

"Filippa ritorna tra di noi. Capisco che L. J. sia un bel bocconcino ma quello che un territorio off limits per noi comuni mortali" sghignazza Caterina.

"L. J.? Che diavolo significa?" chiedo. 
"Lozzani Junior. E' un  soprannome che una stagista ha dato ad Enrico un paio d' anni fa. Si mormora che ebbe una storia con Enrico. Ti dico soltanto che il suo stage di quarantacinque giorni a Vogue è finito prima ancora che lei potesse accorgersi di aver oltrepassato il limite invalicabile. Quello è il figlio di Anita e non si tocca. Di quella ragazza, nel panorama del giornalismo di moda, non s'è saputo più nulla!"
Deglutisco. Tiro le labra in un sorriso forzato e mi allontano. Devo avere ancora da qualche parte l' attrezzatura da neve che mia madre mi ha comprato quando si è ostinata a portarci tutti a sciare anche se la neve non piaceva a nessuno: mi tornerà utile quando Anita mi spedirà a fare documentari in Siberia.


"Ok. Ci siamo. Ancora un paio" Enrico si muove sicuro dietro l' obbiettivo della macchina fotografica. Scatta ininterrottamente da un' ora. Si è tolto la felpa e adesso le sue braccia scolpite sono tirate sotto una semplice maglia bianca a maniche corte. Una punta di gelosia si insinua tra gli occhi e il cuore. Uno così non passa di certo inosservato. Eppure ho come la sensazione di non avere nulla da temere. La tranquillità che emana e che respiro ogni volta che lui è con me è inebriante. Le sue attenzioni nei miei confronti e gli sguardi sinceri e pieni che mi regala scacciano in un secondo tutti i dubbi. Anche se c'è quella modella con il vintage di Versace sbatte troppo le ciglia.

"Pronti per il secondo cambio d' abiti?" incito le modelle a sbrigarsi. Non abbiamo molto tempo e per servizi lunghi come questo servono almeno tre giorni di scatti. Enrico sta facendo un lavoro eccellente: è puntuale e preciso e le sue foto sono vere e proprie opere d’ arte. 
“Una, due, tre, quattro… Ne mancano due. Dove sono finite la dieci e la undici?” chiede Caterina. 
“Come è possibile che ne mancano due? Abbiamo scattato finora con dodici modelle!” ribatto. 
Scorgo con gli occhi le ragazze davanti a me e mi accorgo che fra quelle che mancano c’è la modella che vomitava in bagno ieri. Mi dirigo a grandi passi verso le toilette del piano della fotografia e trovo una modella con i capelli platino tirati in uno chignon da un lato che fuma una sigaretta. Gliela tiro via dalla bocca e la spengo sotto il getto dell’ acqua. “Non si fuma qua dentro! Vai a vestirti immediatamente!”. Quella ragazza impressionantemente magra allunga svogliatamente le braccia lungo il corpo ed esce ciondolando dai bagni. 
“Ivanda” chiamo, “sei qui dentro?”. Lo sciacquone dietro una delle porte di legno nero laccato si aziona e dopo qualche secondo la ragazza che vomitava ieri esce con la faccia stravolta. 
“Io non avere fatto festa ieri con alcool e cocaina. Io essere incinta. Io non sapere che fare” dice. Mi si butta al collo e si lascia andare ad un pianto liberatorio. Tutto il trucco cola sulla mia sciarpa di Gucci. Andiamo bene. Andiamo proprio bene. 


“Sono le dieci meno cinque. Anita sarà seduta alla sua scrivania esattamente tra quattro minuti. Enrico caro, carissimo Enrico, io non voglio assolutamente metterti ansia o fretta ma ho bisogno di quelle foto. E di un’ armatura, possibilmente” dico al mio uomo con fare professionale e distaccato. Enrico è seduto di fronte il suo computer e cerca di modificare al meglio la luce delle foto anche se io le trovo comunque splendide così come sono. Fra meno di cinque minuti dovrò spiegare ad Anita perché ho mandato via Grindad e come ho fatto a trovare suo figlio alle sei del mattino. 

“Filippa io capisco la tua agitazione ma devi credermi stiamo sprecando tempo: quando mia madre saprà che un suo ordine è stato disatteso andrà su tutte le furie e ti licenzierà!” dice divertito Enrico.
“Davvero?” chiedo con una nota di panico facilmente percepibile nella voce.
“Ovvio che no. Ho fatto un capolavoro. Modestamente, s’ indenta!”. Ride di gusto. La sua allegria è contagiosa. La sua mano sfiora per un istante quasi impercettibile il mio ginocchio. Sono seduta di fianco a lui, illuminati dalla luce di un pc. Il nostro istinto è frenato dalle persone che ci passano accanto senza accorgersi di noi. Siamo noi che vogliamo accorgercene. Ci creiamo delle barriere dietro le quali rifugiare il nostro amore segreto. La sua mano tocca la mia pelle coperta dalle calze pesanti e tutte le mie cellule impazziscono. Iniziano a roteare, a girare su se stesse. 
Lui sorride fissando lo schermo del pc, io sorrido fissando il punto esatto in cui la sua mano mi ha sfiorato. 
“Filippa, Anita è in ufficio. Vuole vederti. Ora!” mi avverte Caterina. 
Enrico mi porge i provini delle foto fatte in mattinata. Mi alzo ma sento che le gambe non mi reggono quanto dovrebbero. 
Entro nell’ ufficio di Anita e noto che sta già sfogliando il book con le fotografie di Enrico. 
“Filippa, accomodati!” dice senza alzare lo sguardo, senza nemmeno un cenno di saluto. 
“Anita vorrei spiegarle perché ho deciso di sostituire Grindad. Purtroppo avevamo a disposizione poco tempo per un servizio lungo e complicato. Erano previsti cinquanta cambi d’ abito e Grindad non era entrata nello spirito. Non volevo assolutamente sostituirmi a lei, dico davvero. Mi spiace aver disatteso…” 
“Filippa, taci un istante. Le foto vanno bene. Hai fatto un’ ottima scelta per il fotografo. Assolutamente migliore della mia. So bene che Grindad non è un tipo facile e sono al corrente dello spiacevole imprevisto di questa mattina. So della modella incinta e so che hai gestito tutto al meglio. Ferdinanda ha ragione: sei l’ unica che può sostituirla durante la gravidanza” dice Anita placidamente. 
Il mio cuore si ferma. Analizzo mentalmente, parola per parola, quello che ha appena detto il mio capo. 
“Gravidanza?” chiedo. Ferdinanda gliel’ ha detto?
“So che sai. E adesso lo so anche io. Sono andata a trovare Ferdinanda ieri pomeriggio: non si era mai presa un giorno di pausa e tutto questo tempo che è stata a letto mi ha preoccupato. Mi ha detto della sua gravidanza inaspettata. Purtroppo le previsioni per un suo celere ritorno non sono rosee e quindi dobbiamo trovare una soluzione al più presto. Ho voluto metterti alla prova con questo servizio e l’ hai superata. So che domani finiscono formalmente i tuoi quarantacinque giorni a Vogue e che la settimana prossima hai quel colloquio in America e, se vuoi, inserisci pure questo servizio nel curriculum. Io so già chi saranno i due di voi che rimarranno con noi per un anno e sono certa che la mia scelta è quella giusta ma non posso dire nulla fino a gennaio, quindi immagino che ci vedremo in quella data. Goditi le feste Filippa e buon viaggio. Puoi andare” 

Mi dirigo leggera come una nuvola alla mia scrivania. Qualcosa cattura la mia attenzione. Sul tavolo, tra il computer e le cianfrusaglie che ho raccolto durante il mio stage c’è un vaso di cristallo che tiene strette delle rose. Mi avvicino sotto gli sguardi stupiti di chi mi sta intorno. Afferro il bigliettino dorato che giace tra i petali di una delle rose che sembra di velluto.


“Una rosa per ogni giorno. 
Un mese di noi. 
Ti amo”



Diavolo. L’ ho dimenticato. Sono stata talmente assorta dagli impegni di lavoro che ho dimenticato questo giorno. Enrico me l’ ha ricordato ogni secondo come un adolescente. Stamattina l’ ho tirato giù dal letto e non ho detto una parola.Lo vedo uscire dagli ascensori. Si dirige verso l’ ufficio della madre. Fissa per un secondo i fiori sulla scrivania, sorride. Gli sorrido di rimando. Poggia l’ indice della mano destra sul suo cuore e da un colpetto. Lo guardo mentre continua a camminare fino a che non sparisce dietro la parete oltre il corridoio. 

Continua...

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7 commenti:

  1. ooooooooooooooooooooooooh....

    Grazie per questo bellissimo capitolo, si sta meglio senza nominare Davide! :)

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  2. Grandissima Robi!!
    Aspetto con impazienza il 20......

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  3. oh!!!!!!!!!!!!!! bravo Enrico!! episodio bellissimo e romanticone mi è piaciuto un sacco!! :)))

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  4. E' verooooo, il capitolo senza Davide è uno dei più belli *___*

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  5. Come scrivi bene! Sono capitata per caso sul tuo blog e ne sono molto felice, ora non mi resta che leggere tutti i capitoli prima!! Continua così!

    Ti seguo, spero che vorrai dare un'occhiata al mio blog e magari seguirmi anche tu
    Kiss

    http://tati-loves-pearls.blogspot.com

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  6. Noto un fronte unito contro il povero Davide... :D
    Lieta che vi sia piaciuto!! <3
    Robi

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  7. Sono due bellezze differenti, il buono e il dannato.. Ah povera me questa storia mi distruggerà!!! Ma tu prosegui presto la narrazione, perchè non vedo l'ora di sapere come andrà a finire il viaggio di Filippa a casa di Davide.. !!!!!! Baci, Fede

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