lunedì 9 gennaio 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 21



Sulle note di questa meravigliosa canzone... Enjoy it!

"Dammi la valigia, ho la macchina qui fuori" dice Davide ridacchiando. 
"Che diavolo ci fai qui?" chiedo. Non riesco ancora a credere di averlo davanti. 
"Avevo degli affari da sbrigare in città, ho fatto in modo di far coincidere le due cose. Mio padre ed Ina verranno qui per Natale e io rimarrò fino all' anno nuovo" 
"Come è strano e beffardo il destino, non è vero?" chiedo sarcastica, "Enrico non sarà felice di saperti qui" 
"Chi ha detto che deve saperlo?" chiede fiero. Ho come la sensazione che ci goda nel mettermi in imbarazzo. Metto il broncio e non mi muovo quando mi invita a seguirlo fuori dall' aeroporto. Si gira e mi concede un sorriso. Mi sembra quasi di vedere Enrico: la somiglianza delle loro espressioni è impressionante. "Scherzo! Andiamo, a meno che non vuoi rimanere qui e cercarti un taxi il giorno del Black Friday". Davide si gira e continua a camminare. Lo seguo.
 Oltrepasso le porte mobili del JFK e una folata di vento gelido mi attraversa la pelle. L' impatto è doloroso; tagliente come la lama di un coltello affilato. Cumuli di neve fresca formano linee bianche che, alternate al nero dell' asfalto, sembrano le strisce di una zebra. Una trincea di taxi gialli forma un fiume colorato che si perde a vista d’ occhio: non hanno il tempo di arrivare in cima alla fila che vengono subito occupati da un nuovo passeggero. 
Seguo Davide lungo il marciapiede che prosegue in un tunnel coperto, che ci ripara dal freddo, fino ai parcheggi dell' aeroporto. Entriamo in ascensore e Davide schiaccia il tasto meno otto. Le porte d' acciaio si chiudono e gli ingranaggi scricchiolano indolenziti dal freddo. Intravedo il volto di Davide riflesso sulle pareti d' acciaio dell' ascensore; un sorriso compiaciuto appare e scompare dal suo viso. La sua espressione cambia di continuo nel giro di un respiro. Sembra felice e allo stesso tempo combattuto. I suoi occhi brillano, un luccichio familiare. La confusione che mi genera la disarmante somiglianza tra i due fratelli mi fa girare la testa. Sono così simili fisicamente che sembra assurdo che, conoscendoli, siano due persone così diverse tra loro. 
Continuo a camminare di pari passo a Davide fino ad una alta jeep nera. E' una macchina che non ho mai visto in Italia. Lunga e affusolata, ha dei dettagli in acciaio argentato che la rendono quasi aggressiva.  
"Che macchina è? Assomiglia ad un carro armato; dentro ci starebbero comodamente dieci persone" chiedo. Il fratello di Enrico apre la portiera del bagagliaio e poggia la mia valigia sulla moquette tortora che lo ricopre. 
"Come sei esagerata. Addirittura dieci persone? E' un Escalade. Va di moda qui in America; è la macchina di Ina" risponde lui con il tono accondiscendente che si usa con i bambini. 
Salgo in macchina mentre Davide si sistema al comando del transatlantico con le ruote della sua matrigna. 
"Ti porto a casa. L' appartamento è molto grande e ci sono bagni e camere da letto a sufficienza per due. Non è necessario spendere dei soldi inutili in alberghi" annuncia Davide senza possibilità di contraddirlo. 
"Non posso, mi spiace". Perché la mia voce non è convincente?
"Si che puoi. In fondo quella casa è tanto mia quanto di Enrico. Mi stupisco che il mio caro fratellino abbia preferito farti spendere dei soldi piuttosto che invitarti nella sua stessa casa!" 
Il tono di Davide è superbo. Accanto a me, in questo istante, rivedo il Davide della festa in maschera; quello che ha detto ad Enrico della mia partenza. Ho come la sensazione che prendere un taxi per Manhattan sia la soluzione più giusta; non essere in macchina con Davide sarebbe la decisione da prendere, eppure mi sento stranamente rilassata. Davide fa sembrare tutto facile; tutto estremamente possibile. E' in perfetta sintonia con lo spirito possibilista della città che non dorme mai. 
Mi rilasso sul comodo sedile della macchina e mi lascio coccolare dal traffico dell' ora di punta, dai clacson e dalle scie che lasciano i famosi taxi gialli che ci sfrecciano accanto. Non riesco nemmeno a spiegare a parole quanto io possa amare questa città. 
Il succedersi del panorama è incantevole. Veloci come i fogli che compongono un cartone animato, si susseguono le case grigie con le staccionate bianche del Queens per disperdersi nel miraggio dei grattacieli che ti tengono con il naso fisso all’ insù di Manhattan. 
“Smetti di sospirare. Pensa, invece, che tutto questo potrebbe diventare il tuo presente” dice Davide interrompendo il flusso di pensieri e sensazioni che mi regalava la città.
“E se nel quotidiano non fosse poi così magica?” 
“Nella vita di un essere umano le certezze come la morte o le tasse, quelle sulle quali puoi contare sempre e per sempre, si contano sulle dita di una mano e il fatto che New York sia una città magica è una di quelle. Credimi” dice Davide svoltando su una strada larga che costeggia Central Park. 
Siamo in macchina da quasi un' ora quando Davide finalmente accosta ad un marciapiede sul quale troneggia un elegante stabile di mattoni grigi. Nell' Upper East Side è tutto molto austero. Se all' interno degli appartamenti l' architettura moderna è padrona; all' esterno i palazzi e i ghirigori sulle porte ricordano l' Inghilterra dei primi decenni del novecento. 
Davide fa un cenno ad un uomo in livrea davanti il palazzo. L' uomo impettito ci viene in contro attraversando il largo marcia piede padrone dei suoi movimenti nonostante il freddo sia quasi insopportabile. Sopra di lui scorre uno di quei tendoni che ho visto milioni di volte nei film ambientati in questa città. Il portiere si avvicina alla macchina, fa un cenno di saluto a Davide e prende le chiavi della macchina. 
"Andiamo? Ti faccio vedere la tua stanza" dice Davide chiedendomi di seguirlo. 
"Non credo che rimarrò a dormire qui" dico. La mia voce è piatta: è abbastanza palese che ho già deciso di non andare in hotel. 
"Non preoccuparti, avrai un piano solo per te. Sentiti come se fossi a casa tua. Entra ed esci liberamente" 
"Non è per questo!" lo riprendo. Non mi piace quando finge che Enrico non esista. 
"Filippa rilassati, per carità. Sei a New York; ti hanno scelto per un colloquio nella testata di moda più importante del mondo. Le donne di questa nazione, se dovessero scegliere, preferirebbero comprare Vogue piuttosto che mangiare. Questo colloquio potrebbe cambiare il resto dei tuoi giorni per sempre. Abbi il coraggio di rischiare" 
Davide si gira e attraversa l' elegante atrio camminando sulla soffice moquette color crema fino agli ascensori nascosti dietro due alte colonne di marmo rosa. Lo seguo senza dire una parola. Il fascino di Davide inizia a diventare pericoloso. Quando sono in sua compagnia sento un' attrazione quasi magnetica per il modo in cui concepisce lui la vita. Il suo essere libero dai legami e dai pregiudizi lo fa assomigliare all’ Isola Che Non C’è. Ha un’ aura di sicurezza e arroganza che non permette a nessuno di contraddirlo. 
L' appartamento dei Carrisi è al diciannovesimo piano. Si percepisce il tocco di una donna di gran classe. L’ arredamento è minimal: non ci sono fronzoli o scampoli di una vita lontana ma si respira l’ aria di casa. I toni del crema e del rosa cripria misti ad una distesa di bianco che nemmeno in Paradiso rendono tutto quasi celestiale. 
Di fronte a noi un’ intera parete è coperta da vetrate: la città è ai nostri piedi. Da uno scorcio tra un palazzo e l’ altro si intravede il parco. 
“Questa casa deve valere una fortuna” commento guardandomi in giro. 
“E’ molto grande. In questo momento, con la crisi del mercato immobiliare, si potrebbe facilmente ricomprarla per meno di tre milioni!” annuncia Davide come se parlasse di pochi spiccioli. 
“Ah beh… Ne prendo due, allora!”. Davide ride della mia battuta e mi invita a seguirlo al piano di sopra dove si trovano le stanze da letto. 
“Dormirai nella stanza che era di Enrico. Ina l’ aveva fatta arredare da un architetto di Boston appositamente per lui ma mio fratello non ci ha mai dormito. Quando veniva qui preferiva stare in albergo”
“Dev’ essere stata dura per lui. E’ difficile cercare di far parte di una famiglia che ha le sue abitudini, la sua routine, soltanto per il tempo di una vacanza” 
“Nessuno l’ ha mai messo nell’ angolo. Ha scelto lui di rimanere a Milano”. La voce aspra di Davide taglia l’ aria intrisa di ricordi di quella stanza. Davide poggia la mia valigia su un mobiletto di rovere basso ai piedi del letto. Lo fisso immobile mentre sono appoggiata allo stipite della porta. Osservo il largo letto perfettamente apparecchiato. Adagiati sopra vi sono otto cuscini tutti ricoperti da federe color caffellatte. Nella parete di fronte il letto si erge un alto armadio dello stesso legno del mobiletto, accanto una porta scorrevole che si mimetizza con la parete color crema. 
“Fatti una doccia” dice Davide indicandomi la porta accanto l’ armadio “ci vediamo tra un’ ora per la cena”
“Cosa devo dire se chiama Enrico?” 
“Non dire nulla. E’ inutile. Non capirebbe che io non farei mai nulla per farti del male”. Si avvicina a me e mi bacia sulla fronte. Un bacio lungo e lusinghiero. La sua mano si poggia sulla mia pancia che vibra come quella di un’ adolescente. Si allontana lungo il corridoio, lo sento salire al piano di sopra.


“Filippa sei pronta?” sento Davide urlare dal piano di sotto. 
“Due minuti” gli grido di rimando mentre stendo il rossetto sulle labbra. 
“Il ristorante che ho prenotato è fuori Manhattan e non riusciremo ad attraversare il centro ed arrivare in orario se non ti sbrighi”. 
“Due minuti” ripeto. “Non si mette fretta ad una signora che si prepara, non te l’ hanno insegnato?” 
Davide compare sulla soglia della camera da letto e appoggia il peso sulla spalla sinistra. Dal polsino destro della camicia si intravede un grosso orologio d’ acciaio sulla pelle ambrata. 
“Sei splendida così” dice sorridendo. Sbuffo. Gli sorrido. 
“Ok, sono pronta. Andiamo! Speriamo che il cibo ci ricompensi di tutta la strada che dobbiamo fare. Sto morendo di fame” 
“Come diceva Shakespeare, tutto è bene quel che finisce in forno!” 


Succede tutto in un secondo. ‘Longest night’ degli Howie Day è alle ultime note. Il DJ sta per introdurre la nuova traccia. La mia attenzione è tutta per il suo accento. 
“E’ sicuramente di Dallas, Texas” dice ridendo Davide. 
Una leggera pioggerella bagna la lunga fila di auto illuminata che forma un serpente del quale non si vede l’ inizio tanto è lungo. Davide sta per svoltare in una viuzza secondaria che parte dalla Nona Avenue quando sento il rumore assordante di un clacson. Sento il ticchettio della freccia. La grossa jeep della matrigna di Enrico e Davide è quasi fuori dal serpente di macchine. 
Due fari enormi mi abbagliano e non riesco a vedere più nulla. Sento la mano di Davide che mi tiene per il ventre. Sento che grida il mio nome. La cintura di sicurezza mi fa pressione sullo sterno: non riesco quasi a respirare. Poi la botta. Il dolore lancinante alla spalla destra. Che diavolo sta succ….
E’ tutto buio. Si è spenta la luce. Non vedo nulla e non sento altro che un dolore atroce attraversarmi il braccio. 



Continua...

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45 giorni a Vogue by Robi Landia is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia License.
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7 commenti:

  1. ...
    lo posso dire? lo posso dire?
    ...
    ....
    no non lo dico che è meglio.

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  2. Sono talmente incavolata per la storia di Davide che non riesco nemmeno a preoccuparmi per il finale del capitolo U_U

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  3. noooooooooooooooooooooooooooo O__O
    accidenti comunque.. quando c'è solo Enrico penso che sia dolce e carino, quando c'è solo Davide penso che sia dolce e carino.. ma come si fa a scegliere???

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  4. Povera Filippa... Dev' essersi fatta male :(

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  5. vero...siamo talmente prese dalla storia di Enrico e Davide che non ci siamo nemmeno chieste cosa sia successo a Filippa...
    Non vedo l'ora di scoprirlo! :)

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  6. Se stava a casa invece di uscire col cognato non succedeva niente :D

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  7. Ho cominciato ieri a leggere "45 giorni a vogue" e ora devo interrompere!!!Però concordo...SE stava in albergo non succedeva niente...uffa! Mi accodo alle fan di Enrico...'sto Davide porta solo guai!!!

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