mercoledì 18 gennaio 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 23



Filippa riposa. Sembra beata, persa in un sonno profondo che da l' impressione di non essere scalfito da quello che è appena successo. Un piccolo taglio le percorre l’ arco di pelle sopra il sopracciglio destro. Punti di carta le tengono insieme i due lembi di pelle come mani strette in un abbraccio. Non sembra che senta dolore. I muscoli del suo volto sono distesi, placidi come se ondeggiassero in un mare di pace. Il suo respiro è regolare. Il suo petto si alza e si abbassa ritmicamente assecondando i bip della macchina che le prende la pressione costantemente. Il vestitino di carta bianca immacolato le copre il corpo magro. Le braccia sono stese lungo i fianchi stretti. Il braccialetto di diamanti che ha al polso luccica. Sono le uniche cose che indossa: un braccialetto di diamanti e un vestitino di carta d’ ospedale.
 La sua spalla è immobilizzata in chilometri di benda; steccata e ferma come quella di un manichino.
Gli attimi che hanno preceduto l’ incidente sono vivi nella mia testa come il ricordo di un bambino felice che ha appena aperto un regalo. I suoi capelli scuri portati su un lato; i suoi denti bianchi ritti in fila come soldatini chiusi in un sorriso; le sue mani assecondavano il suo discorso in un formicolio di gesti.
Filippa era vitale e rilassata accanto a me. Per un attimo avevo dimenticato che fosse la donna di mio fratello. Di quel fratello che non ho mai conosciuto se non per astio. La sua voce accarezzava piano la strada affollata di New York mentre andavamo. La volevo portare in quel ristorantino iraniano nel West Village in cui fanno il Korest di manzo, rabarbaro e pesche più buono che abbia mai assaggiato. A sentirlo dire, la prima volta, anche a me aveva fatto impressione ma il gusto è divino. La cuoca, Azar, è diventata una leggenda grazie a questo piatto. Quando torno a New York, anche se per poco, devo averne una porzione.
Eravamo usciti di casa da nemmeno mezz’ ora quando è successo l’ inevitabile. Non riesco a non pensare che sia stata colpa mia. Ripercorro, istante dopo istante, ogni singola manovra ma non riesco a trovare una spiegazione. Cosa ci faceva la macchina li. Perché andava così veloce nel centro città. Il fiume di macchine dinoccolava verso le vie secondarie.
Lei doveva essere nel suo albergo e non con me. Questo pensiero mi uccide.
Mi porto per un attimo il volto fra le mani, non dormo da quasi quaranta ore e tutto, di me, ormai odora di ospedale. I miei occhi tornano su Filippa. I suoi capelli sono stretti in una treccia merito di una delle infermiere di turno. Il suo volto è pulito, illuminato dalla luce bluastra. Non ha ancora detto una parola da quando è uscita dalla sala operatoria. Ha aperto gli occhi un paio di volte; si è guardata intorno spaesata e poi è crollata di nuovo. I dottori le hanno iniettato delle alte dosi di antidolorifici. Hanno detto che rimarrà intontita per un po’ ma è fondamentale che non muova assolutamente il braccio per le prossime ventiquattro ore.
Fisso l’ orologio che ho al polso: è quasi mezzogiorno. Non ho più avuto notizie da Enrico. L’ ho chiamato in preda al panico. Ero combattuto tra il cervello e il cuore. Più volevo che fosse lontano da lei, più speravo che apparisse da un momento all’ altro e che la riportasse indietro nel tempo al sicuro, a Milano. Mi sentivo sporco di colpa.
Filippa muove una mano. Apre gli occhi.
“Ehy dormigliona” le sussurro.
Divide lentamente le labbra come se volesse dire qualcosa poi le richiude infastidita.
“Acqua” biascica.
“Non puoi ancora bere, ti bagno le labbra con un po’ di garza, ok?”. Il dottore ha detto che non potrà bere e mangiare fino al pomeriggi
o. Avvicino il bicchiere di plastica azzurra al suo viso e le sfioro la bocca con un fazzoletto di garza umido. I suoi occhi grigi mi sorridono, è forse felice che io sia li con lei? E’ la prima volta che le tocco il viso. Dio quante volte avrei voluto farlo la sera che siamo stati a cena insieme…
Inerme su un letto, adesso, si lascia accarezzare come una bambina. Devo far ricorso a tutta la forza d’ animo che possiedo per non baciarla. Non per mio fratello né per me. Non la bacio perché so bene che ne soffrirebbe. Mi costa ammetterlo ma è davvero innamorata di Enrico. E’ così assuefatta da lui, persa nei meandri di un amore lineare e pulito che non si accorge nemmeno che con lei non sto più giocando.
Dicono che ognuno di noi si meriti un lieto fine e di certo non sarò io a distruggere il suo.
In principio, alla festa di laurea di Claudia, è stata l’ ira a spingermi. Ero quasi accecato dall’ immagine di lei stretta a mio fratello. Fermo nella convinzione che nessuno dei figli di Anita si meritasse di amare mi sono lasciato dondolare dai piaceri del sesso e dei soldi per tutta la vita. Non riuscivo a credere che Enrico, che tra l’ altro aveva vissuto con la donna di ghiaccio, potesse aver dato una possibilità all’ amore. Gli scheletri a forma di scopate con donne delle quali la mattina dopo non ricordi il nome nell’ armadio di Enrico, se è possibile, sono quanto i miei. E’ bello, ricco, desiderabile; gli basta uno schiocco di dita per averle ai suoi piedi. Eppure nel suo sguardo, ogni volta che era posato su Filippa, vedevo altro. Solo ora ho capito cosa.
Ora che Filippa è qui, stesa, vittima della mia voglia di portagliela via, ho realizzato quanto bello sia avere qualcuno che per te è tutto. Mi sono inebriato della paura di perdere qualcosa di veramente importante. E, come un drogato in crisi d’ astinenza, non posso più farne a meno.
La sua risata, il suo modo di spostarsi i capelli e raccoglierli dietro l’ orecchio, lo strano giochino che fa con le dita quando è nervosa, il bagliore che ha negli occhi quando parla di Vogue.
Tutto questo non potrà mai essere mio.
“Enrico?” chiede Filippa riportandomi alla realtà. Mi siedo nuovamente accanto a lei e accarezzo il dorso della mano.
“L’ ho chiamato ieri notte, non appena il dottore ha detto che avresti subito un piccolo intervento per rimettere la spalla a posto l’ ho avvertito. Credo che si stia precipitando qui”
Filippa sospira pesantemente. “Che c’è?” chiedo.
“Non vorrei che si fosse agitato per nulla!” bisbiglia.
In quella frase involontaria Filippa mi aveva appena spiegato che cosa vuol dire amare. Amare è quando tu sei bloccata in un letto d’ ospedale con un’ armatura al braccio e la tua unica preoccupazione è che la persona che ami e che ti ama non si agiti per te.
E’ proprio vero che per innamorarsi bisogna essere ricchi: chi ti paga l’ analista quando capisci che l’ amore è una follia?

“Mi scusi, il Dottore passerà a visitare la signorina Torre tra un istante. Dovrebbe uscire così possiamo cambiare la medicazione prima del suo arrivo” mi dice un’ infermiera in tono gentile. Dall’ accento capisco che non è di New York. E’ di qualche stato del sud, Alabama forse.
Mi alzo e sento i muscoli doloranti. Sgranchisco le gambe e le braccia e lascio scivolare via gli ultimi rivoli di sonno.
“Fai la brava” dico a Filippa. Mi sorride. Il cuore mi esplode. Che strana sensazione. Mi ci vorranno anni ed anni di analisi per superare tutto questo. Le sorrido di rimando e lascio la stanza.
Vado verso gli ascensori. Ho bisogno di un caffè bollente e di qualcosa di zuccherato per riprendere le forze. L’ orologio appeso alla parete, nel corridoio dell’ ospedale, segna le tredici. Considerando il fuso orario, se Enrico ha preso il primo volo da Malpensa, dovrebbe essere già qui.
Le porte dell’ ascensore si aprono e non faccio in tempo ad entrare che vedo mio fratello seguito dalla buffa amica di Filippa con i capelli rossi.
“Davide, come sta Filippa, dov’è?” mi chiede immediatamente Enrico.
“Si è svegliata più o meno un’ ora fa dall’ anestesia. E’ sedata ed imbottita di anti dolorifici perché non deve muoversi per un giorno intero ma fondamentalmente sta bene!”
“Portami da lei” dice stancamente. Sembra quasi che il peso del mondo gli sia crollato sulle spalle.
“Non possiamo entrare. Le stanno cambiando la medicazione e il dottore dovrebbe passare a minuti per visitarla. Ci vorrà una mezz’ oretta, io stavo scendendo a prendere un caffè, mi fai compagnia?”. Non so nemmeno io da dove mi siano uscite fuori quelle parole.
“Enrico vai con Davide. Io vedo di reperire un medico e chiedere. Ad un collega non possono fare storie. Appena ce la fanno vedere ti avverto” dice l’ amica dai capelli rossi della quale non ricordo il nome. Posa una mano sulla spalla di Enrico e lo accarezza. Mio fratello fa completamente parte della vita di Filippa. Conosce i suoi genitori ed è voluto bene dai suoi amici. Un moto di gelosia mi percorre lo stomaco.
“Chiamami immediatamente” dice Enrico.
“Non preoccuparti”.
La rossa mi oltrepassa regalandomi uno sguardo pieno di collera ma è talmente buffa in faccia che non riesce a mettermi paura.
Io e mio fratello entriamo in ascensore in religioso silenzio e attendiamo che le porte si aprano al piano del bar. Esco per primo, conoscendo ormai la strada a memoria, ed Enrico mi segue.
Ci sediamo ad uno dei tavolini in fondo alla sala gremita di gente che pranza con due bicchieri di cartone ricolmi di una brodaglia nera che odora di caffè. Enrico è scuro in volto. Forse vuole sapere dell’ incidente o di cosa ci facesse Filippa con me.
“Davide voglio dirti solo una cosa e voglio che tu la recepisca bene. Non avrai possibilità di replica ne di appello. Quando lasceremo questo bar tu te ne tornerai a casa tua e sparirai una volta e per tutte dalla vita di Filippa. Non mi interessa sapere perché lei era in macchina con te e non voglio nemmeno sapere dove stavate andando e quale fosse la motivazione. Non voglio spiegazioni né giustifiche. Quello che vedrò su quel letto sarà sufficiente a non farmi pentire di questa decisione. Sparisci dalla mia vita e, soprattutto, da quella della mia donna” dice calmo. Sembra sereno come un bambino che imparato a memoria la parte della recita, che l’ ha provata e riprovata fino allo sfinimento. Solitamente avrei preso le sue parole come una sfida ma, ed Dio solo lo sa che cosa mi ha fatto quella ragazza, non discuto. Chiudo il bicchiere con il coperchio di plastica. Mi alzo e mi allontano. Adesso che Enrico è con lei io non posso più fare nulla. Che diavolo è quel bruciore in mezzo al petto che sta divampando come un incendio alimentato dal vento? Cristo come fa male.

Continua...  

Licenza Creative Commons
45 giorni a Vogue by Robi Landia is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia License.
Permissions beyond the scope of this license may be available at robilandia11@gmail.com.

12 commenti:

  1. mh.
    mmhh.

    Adoro leggerti..ma Davide proprio no ahhaahah, gna fo.

    RispondiElimina
  2. ti faccio un complimento per l'utilizzo di un verbo che per motivi lunghi mi ha rimandato ai tempi dell'asilo: "Il fiume di macchine dinoccolava..." adoro.
    Buona notte cara

    RispondiElimina
  3. Robi, c'è una sorpresa per te sul mio blog!

    RispondiElimina
  4. Sto per leggere il capitolo e quel Davide là sopra mi da i nervi... per fortuna il cuore è spezzato :D

    RispondiElimina
  5. Letto. Allora Davie via, sciò.
    Per fortuna sono arrivati Enrico ed Arianna, era ora! Adesso sono più tranquilla ;)

    RispondiElimina
  6. Io non capisco come fate a non innamorarvi di lui. Non ci sono più le ragazze con lo spirito da crocerossine di una volta??? :D
    Ammettetelo, è un tenerone...
    Robi

    RispondiElimina
  7. Ahahahha... lo avrei amato se non avesse tentato di distruggere un amore sano e bello :D

    Robi...Shopping Online ha aperto! *_*

    RispondiElimina
  8. ECCOMI!!! crocerossina all'appello

    RispondiElimina
  9. Beh poverino però ç___ç mi piace tanto Enrico e capisco che lo doveva fare però è così solo e triste... :(

    RispondiElimina
  10. Mazzata... Per lui e per me.. Capitolo divino, forse il migliore, grande Robi!!!
    Fede

    RispondiElimina
  11. Ben gli sta a Davide!! Evviva! Tanto si vede che la vuole solo perchè è la ragazza del fratello, è l'unico motivo per cui la vuole è che non può averla. Magari dopo di lei si interesserà a una ragazza davvero. Un'altra però!!!

    RispondiElimina
  12. Enrico Enrico Enrico Enrico!!!!!!!!

    RispondiElimina

Dimmi la tua!