venerdì 27 gennaio 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 24


"Non credi che dovresti chiamare tuo padre? Dirgli che sei qui? E' passata quasi una settimana da quando sei arrivato a New York e lui abita a sole tre ore di macchina" chiedo con nonchalance ad Enrico. E' seduto di fianco a me, le gambe dritte e accavallate, i piedi poggiati sulle sbarre di ferro del mio letto d' ospedale. Ha in mano un settimanale americano, People, vecchio di mesi; in copertina c'è Britney Spears con la biancheria intima in bella mostra. E' totalmente assorto. Sembra che stia leggendo chissà quale segreto di stato.
"Mmm mmm" esce dalla sua bocca. Non alza nemmeno gli occhi dal giornale. I grossi occhiali dalla montatura tartarugata gli scivolano lentamente sul naso. Con un gesto deciso li riporta al loro posto e ritorna assorto alla lettura ed ai suoi pensieri.
"Sai tra poco è Natale. Verrà in città con la famiglia. Se siamo ancora qui potresti addirittura salutarlo" insisto. Il mio tono di voce è innocente. Lui non si smuove di un millimetro come se mi ignorasse. 
"Me l' ha detto Davide!". Non volevo arrivare a nominarlo ma non mi da altra scelta. 
Enrico sbuffa pesantemente, mette giù in giornale in maniera rumorosa e si sfila gli occhiali da lettura. "Filippa, hai finito?". Sembra spazientito. 
"Finito cosa?" chiedo come se non capissi a cosa allude. 
Mi lancia uno sguardo torvo, di quelli che si riservano ai bambini che non vogliono ammettere di aver appena rubato la marmellata dalla dispensa nonostante abbiano tutta la bocca sporca. 
Gli rispondo silenziosamente regalandogli un' occhiata innocente ed interrogativa.
"Uffa!" cedo, "dico solo che -dato che hai fatto questo lungo viaggio- sarebbe carino che salutassi tuo padre e che rivedessi i tuoi fratelli!" 
"Sono perfettamente a mio agio con la condizione di figlio unico che ho a Milano. Non ho bisogno di cercare una famiglia che non mi appartiene in una città che non è la mia!" dice serio. Dalla sua voce si capisce che non vuole che io replichi. 
"Addirittura" dico ridendo, "non credi di essere un tantino melodrammatico?" 
Mi lancia un’ occhiata truce. Sento il viso che s’ infiamma come se fossi scesa e risalita dall’ inferno in meno di un secondo. 
"Vado a prendere un caffè. L' infermiera dovrebbe arrivare a momenti per la medicazione così poi, se tutto va bene, possiamo tornarcene a Milano e dimenticare questa brutta storia" dice. Il suo tono di voce è cupo. Si alza ed esce dalla stanza lasciandomi li, da sola, con il braccio ancora immobilizzato. E sto pure morendo di sete ma l' acqua è troppo lontana e io non posso ancora muovermi autonomamente. Dannazione. 
Un debole tocco sulla porta precede l' entrata del dottore che mi ha operata la notte dell' incidente seguito da due specializzandi e due infermiere. 
"Buongiorno signorina Torre, si sente meglio oggi? E' pronta a lasciarci?" dice allegro il dottore con le mèches. Ha un bizzarro colore di capelli fatto di striature giallo paglierino su una base castano scuro. E' abbronzato come se fosse appena uscito da una puntata di Baywatch ed ha una fila di denti perfetti e talmente bianchi che servono gli occhiali da sole per guardarlo mentre sorride. 
"Oh Dottor Clarckson, non vedo l' ora!" dico allegra. Vederlo mi mette sempre di buon umore. 
"Ha sentito infermiera Smith? La signorina Torre è felice di lasciarci" dice il dottore rivolgendosi ad una delle due donne in divisa rosa scuro. 
"Ho sentito dottor Clarckson! Evidentemente non è stata bene qui con noi" allude la donnina grassoccia che risponde al nome di infermiera Smith. 
"Ma no, non volevo dir..." cerco di giustificarmi. 
"Ah ah ah. Signorina Torre era solo uno scherzo. It's a joke, vero infermiera Smith?" 
"Assolutamente Dottor Clarckson!" risponde lei giuliva, oscillando sfacciatamente i boccoli cotonati, mentre l' altra infermiera e gli specializzandi ridono in coro con il dottore della mia goffaggine. 
Il dottore taglia piano i centimetri di garza che compongono la fasciatura sul mio braccio ed esamina attentamente la situazione. "Well, well, well" dice tra se mentre fissa la ferita ricucita. Poi sospira. Si avvicina e si allontana. Il suo respiro caldo mi accarezza la spalla nuda mentre lui, concentrato e assorto, puntella con il dito la ferita che pian piano si rimargina. Ha uno strano odore di cocco e ananas. Io non oso guardare in quella direzione: non sono così forte di stomaco come Arianna che, se vi interessa saperlo, è già tornata in Italia. Doveva lavorare ed è rimasta qui meno di quaranta ore. Ha detto, testuali parole, “Respiri? Parli? Allora è tutto ok. Posso tornare a casa”. 
La porta della stanza si apre nuovamente e compare Enrico. "Oh, scusate. Non sapevo aveste già iniziato" 
"Entri pure. Abbiamo appena aperto le danze. La situazione è questa: io -modestamente- ho fatto un ottimo lavoro e la spalla è tornata perfettamente in posizione. Molto probabilmente avrà ancora dei fastidi quando dovrà articolare alcuni movimenti ma in linea di massima è tutto ok. Il consiglio che posso darle è di rimanere nei paraggi ancora per quindici giorni. Se lei vuole, da oggi, possiamo dimetterla ma preferirei toglierle io stesso i punti prima di Natale" 
"Non pensa che possano levarmeli in Italia?" chiedo. Non saprei come spiegare a mia madre il fatto che rimango negli Stati Uniti a Natale anche se l' idea non mi dispiace affatto. Le ho detto di aver avuto un piccolo incidente ma se sapesse della spalla me la ritroverei qui in men che non si dica e non è proprio il caso. In fin dei conti, come ha ben detto Arianna, sono ancora tutta intera. 
"Potrebbe pure tornare in Italia: la situazione è buona e se evita sforzi per i prossimi quindici giorni non ci dovrebbero essere inconvenienti ma preferirei accertarmene di persona. Decida lei liberamente ma tenga presente che io, il mitico dottor Clarckson, le sto consigliando di rimanere a distanza ravvicinata. Infermiera Smith la signorina Torre si è trovata talmente male che vuole addirittura lasciare il continente!" scherza. Enrico mi lancia un' occhiata interrogativa, gli faccio un cenno con il capo per dirgli che gli spiegherò dopo. 
"Dottore non si preoccupi, non lasceremo New York fino a che lei non sarà sicuro che Filippa sta bene" interviene Enrico. 
"Oh, bene Enrico. Era proprio quello che volevo sentire. Allora premuratevi di lasciare un vostro recapito in città e mi raccomando: la signorina non deve fare sforzi. Di nessun tipo" dice strizzando l' occhio. 
Lo guardo interrogativa. 
"Niente sesso signorina Torre. Ha capito infermiera Smith, la signorina Torre non potrà usufruire del fidanzato per almeno quindici giorni. Lei pensa che resisterà, infermiera Smith?"
Gesù, gliel' ha chiesto davvero? Non riesco a credere alle mie orecchie! Sento la pelle delle guance bruciare dalla vergogna. 
"Dottor Clarckson io non resisterei" dice l' infermiera sorridendo ad Enrico. Che sfacciata! 
L' allegra combriccola esce dalla stanza lasciandomi sola con il mio ragazzo. 
"In Grey' s Anantomy queste cose non succedono!" asserisco. 
"Lo so piccola, per questo le chiamano Serie TV. Chiamo l' albergo e dico che torniamo stasera" 
"Io ho tutte le mie cose a casa di tuo padre" gli ricordo. 
"Mmm. Chiederò al portiere di farcele avere, non preoccuparti" 
"Potremmo stare li. In fondo quella è anche casa tua" azzardo. 
"Non essere sciocca Filippa. Quella casa non mi appartiene assolutamente. Possiamo permetterci il migliore albergo della città: non abbiamo bisogno di essere debito con nessuno" dice seccato.
"Come vuoi". E' impossibile ragionare con Enrico quando si tratta della sua famiglia. Esclusa la grande Anita, ovviamente.


La camera dell' albergo che ha scelto Enrico è spaziosa ed accogliente. L' arredamento moderno e hi-tech è in sintonia con i miei gusti. Mi guardo intorno cercando di familiarizzare con l' ambiente. Da quando Enrico è arrivato a New York, subito dopo l' incidente, non mi ha perso di vista un secondo. Centellinava perfino i minuti che stavo al telefono. 

Ferdinanda mi ha lasciato alcune commissioni da sbrigare e ho un sacco di mails in arretrato da leggere. Ma c'è solo una cosa che desidero fare da giorni ormai: chiamare Davide. Dove diavolo è finito? Mi ricordo di averlo intravisto appena uscita dalla sala operatoria ma le immagini nella mia testa sono confuse dall' anestesia. Quando ho ripreso finalmente conoscenza del tutto ho trovato accanto a me Enrico e Arianna senza sapere da dove fossero saltati fuori. Di Davide nessuna traccia, non ho potuto nemmeno chiedergli se si fosse fatto male anche lui nell’ impatto. Enrico mi ha detto che è andato via ma io non ci credo che se ne sia tornato a Gibilterra senza nemmeno salutare. 
Prendo il Blackberry dalla borsa e digito lentamente le lettere che compongono il suo nome ricercandolo nella rubrica. Scrivere sul cellulare con la mano sinistra soltanto rallenta di molto l' operazione. Il telefono squilla a vuoto: nessuna risposta. Riprovo una seconda ed una terza volta prima di arrendermi. Sbuffo. Mi appoggio allo schienale del letto incollerita. Un turbine di pensieri mi frulla in testa. Prendo il portatile di Enrico e lo avvio. La ventola del computer gira rumorosamente e riscalda, a poco a poco, il lembo di piumino dove si poggia.  
Una foto di noi due insieme scattata a Parigi appare luminosa come sfondo. Inevitabilmente si apre un sorriso sul mio volto ripensando a quel momento. Apro la posta elettronica e inizio a premere convulsamente le dita sulla tastiera. Tuc tuc tuc tuc.


Ma dove diavolo sei finito? 

Cancella.

Caro Davide

ti ricordi di me? Filippa, quella che è finita sotto una macchina!

Cancella.

Possibile che tu sia andato via senza dire nemmeno una parola?

Cancella.

Visto che facendo quello che dovremmo fare le cose vanno male, tanto vale fare direttamente le cazzate.. 

Cancella.


Mail



Oggetto: Mi sono svegliata e credevo di trovarti al mio fianco, insieme a tuo fratello. Andare via è stato da vigliacchi; spero solo che la scusa che addurrai per giustificare il tuo comportamento sia tanto convincente quanto il mio disappunto nel non trovarti li. 
Filippa.


Invia.

“Ehy, che fai? Non mi dire che stai lavorando! Hai sentito il dottor Clarckson? Devi assolutamente stare a riposo”. Dannazione. Non mi sono nemmeno resa conto che Enrico era tornato in stanza. 
“No, no. Non stavo lavorando” balbetto. Cerco di chiudere in fretta la pagina ma con la sola mano sinistra funzionante non è facile. 
“Non ti credo, fammi vedere” dice sorridendo. 
Riesco a premere quella maledetta X in alto a destra prima che Enrico faccia il giro del letto e si sieda accanto a me. Chiudo il computer e l’ allontano con il piede nell’ angolo più lontano del letto. Do ad Enrico un bacio sulla guancia, distogliendo la sua attenzione dal computer. Lui mi accarezza teneramente i capelli ancora intrecciati. 
“Non so se riuscirò a resisterti” mi sussurra sul collo. Poggia la sua mano calda sulla mia scapola destra al limite con la fasciatura candida. Le sue labbra si incollano alla mia pelle che ancora odora di disinfettante. I suoi baci sono lenti e delicati come se avesse paura di rompermi da un secondo all’ altro. Il mio stomaco sbollenta in un brodo di voglia e passione.
“Il dottore ha detto che non possiamo” ansimo. Dannazione. 
Continua a baciarmi lentamente fino alla nuca. Con la mano lascia scivolare la bretella della canottiera grigia che indosso. La sua lingua disegna su di me, fluida come il pennello di un pittore che ha appena trovato l’ ispirazione. Il suo respiro è più veloce, i miei polmoni l’ assecondano. La mia pelle s’ incendia al suo passaggio. Mi abbandono a lui… Poi d’ un tratto si ferma lasciandomi in balia dei sensi alterati e della voglia rovente di lui. Sospiro. 
“Lo so che non possiamo sciocchina. Volevo solo farti vedere cosa ti saresti persa se fossi venuta a vivere qui. Molto probabilmente l’ incidente è stato tutta una questione di destino” afferma. 
“Se il destino non voleva che facessi il colloquio poteva farmi perdere l’ aereo” rispondo. 
“Avresti preso quello dopo. Ci voleva una soluzione drastica” ammette fiero. 
“Comunque quello che hai appena fatto è da annoverare tra le torture” gli dico sentendo ancora la sua bocca sulla pelle. 
“Non dirlo a me” sospira. Si stende accanto a me e affonda il viso sul cuscino. “Ti amo, Filippa” biascica con la bocca coperta dalla federa. 
“Io di più” 
“Ma dai, è impossibile” dice alzando di poco la testa.


Enrico dorme accanto a me placidamente. Per tutto il tempo che sono stata in ospedale non mi ha lasciata un secondo: era stremato. Mi libero dal suo abbraccio, Enrico grugnisce poi si gira dall’ altro lato. Poggio i piedi per terra e vado nel piccolo ingresso della nostra camera d’ albergo. La tenda della lunga finestra è leggermente scostata; sotto di noi un fiume di macchine riempie la strada. Le finestre dei grattacieli sono illuminate a chiazze formando un mosaico informe di luci. Inspiro. 

Non un filo d’ aria entra da quelle aperture sigillate; tutto si muove e ed è immobile allo stesso tempo. E’ stranissimo il contrasto tra il silenzio surreale della camera d’ albergo e la vista di una città ancora viva nel cuore della notte nonostante il freddo gelido. E’ l’ esatta metafora che descrive New York: qui c’è tutto e il contrario di tutto. 
Avvio il computer portatile del mio uomo e aspetto pazientemente che la connessione internet si stabilizzi. Tutte le mie cose sono ancora a casa Carrisi, compreso il mio portatile e le mie scintillanti scarpe con le quali dovevo impressionare l’ America al colloquio. Si, avete capito bene, proprio tutta l’ America. 
Scarico la posta elettronica e scorgo la lista fino a che non trovo quello che m’ interessa. Davide ha risposto.

Mail



Oggetto: C’ era già chi pensava a te, io ero solamente di troppo. Sono terribilmente dispiaciuto per quello che è capitato mentre eri con me. So che è stata una fatalità ma non riesco a non sentirmi in colpa. Spero tu possa rimetterti presto. 
D.


Fisso quelle poche righe per dei minuti che sembrano durare mesi. Mi lasciano l’ amaro in bocca delle cose non dette. Mi dispiace che Davide non possa fare parte della mia vita. No, non nel modo che state pensando. Amo Enrico e rispetto la sua decisione di stare alla larga dalla sua famiglia ma –forse perché a Natale siamo tutti più buoni- mi piacerebbe che gli desse una possibilità. 
Spengo il pc e resto ancora un po’ sul piccolo divanetto dell’ ingresso a fissare la città sotto di me; quella stessa città che sarebbe potuta diventare la mia casa. Il colloquio a Vogue America è saltato: non ho nemmeno avuto la possibilità di chiamare e spigare. Nel mondo dell’ editoria di moda diventerò una leggenda: solo un pazzo salta un colloquio a Vogue America; dovevo andarci con tutte le ossa rotte se era necessario. Mi ha fregato il fatto che fossi incosciente.

Continua...


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5 commenti:

  1. Certo che Enrico ha ingoiato un boccone amaro senza dire una parola, eh? Ma come cavolo ha fatto.. ? Neppure una domanda?!?! Teme schifosamente il confronto con il fratello, Eh? Non commento Filippa.. Aspetto il resto!
    Buon fine week, Fede.

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  2. AHAHAHA ma è il dottor Rey di 90210???

    Per fortuna si è resa conto che la storia e tutti i rapporti con Davide vanno chiusi ;)

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  3. Adoperiamoci per fare una statua ad Enrico. Neanche una domanda, un accenno...niente. Filippa potrei anche picchiarla..nonostante tutto gli manda anche le mail..poveretto proprio. Eh Robi..Niente Davide non lo sopporto. :)

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    1. Le intenzioni di Filippa sono nobili, davvero. E' l' essere tonta che la frega... :D

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  4. Questo Enrico che non parla e non chiede niente però mi infastidisce!!!! Anche io fossi in Filippa cercherei Davide!! E poi dai, non è possibile che non si parlino!!! è___é

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