venerdì 7 ottobre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 4


"Se solo avessi ascoltato il consiglio di Arianna sulla biancheria" penso mentre la mano di Enrico accompagna la cerniera dorata che percorre il vestito dal collo fino all' orlo della gonna. Meno male che non porto i collant. Mia nonna Eleonora, la madre di mio padre, l' unica che ha sempre creduto in me e che ha pianto alla mia laurea, mi ha rivelato la grande verità sui collant quando avevo diciotto anni.
"C' è una cosa che non ti insegneranno mai all' università della moda, cara Filippa, ed è che le donne vere non indossano i collant. Mai. Nemmeno quando fuori nevica. Non si può sapere mai quale sia il motivo per il quale ti devi sfilare il vestito e, tesoro mio, i collant sono la cosa meno piacevole da vedere che esista. Vela le tue gambe si calze autoreggenti e impara a sfilarle. I collant li trovi solo indosso a quelle come tua madre e tua sorella Claudia. Addosso a quelle senza sale. Tu sei diversa, tu sei speciale bambina mia."
All' inizio non ero certa di quello che volesse dirmi. L' ho capito quando ho indossato delle calze autoreggenti per la prima volta. Beh... è tutta un' altra storia!
Il braccio di Enrico mi tiene salda per la vita mentre gli sbottono, lentamente, i bottoni della camicia blu. Il suo torace si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro. I suoi baci sono carichi di eros. Come se un desiderio espresso da tempo fosse stato finalmente esaudito. Il mio vestito è già a terra e presto viene raggiunto dai suoi. Poi si ferma.
"Filippa non voglio fare nulla che anche tu non voglia" mi sussurra mentre il mio corpo è fermo tra il muro dell' ingresso della sua stanza e i suoi pettorali definiti. Il suo braccio non si è mosso di un millimetro, saldo sulla mia vita. I suoi occhi verdi sono carichi di aspettative e, al tempo stesso, pazienti. La decisione è mia.
Per tutte le scarpe di Louboutin! E' anche educato... Vorrei aprire una piccola parentesi e metterci dentro che non sono una abituata alle scelte impulsive. Io sono una di quella che fa le liste di pro e contro. Che soppesa i rischi e valuta le conseguenze ma, dovete credermi, con una statua di marmo come Enrico che in confronto il David di Michelangelo è un racchio di prima categoria è difficile ricordarmi pure come mi chiamo se ci aggiungiamo il fatto che ho bevuto più di quanto avrei dovuto... Ohh fanculo le conseguenze, ci penserò domani. (Decisione saggia e ponderata? Col caz... Ehm... Scelta ponderata un corno!)
Gli prendo la mano e lo conduco verso la camera da letto. Il resto lo potete immagginare. Immaginatelo per tre volte, ok?


"Buongiorno dormigliona" mi sussurra una voce calda destando il mio sonno.
C'è odore di caffé nell' aria. Un rivolo di sole attraversa le tende bianche e infastidisce le mie retine non ancora abituatesi alla luce. Ci metto un po' a focalizzare dove mi trovo. Tento di mettermi a sedere ma la testa mi pulsa.
"Cristo santo ma quanto abbiamo bevuto?"
"In realtà non così tanto, sei tu che non reggi bene"
Enrico è già vestito e rasato. "Che ore sono?" chiedo.
"Quasi mezzogiorno" risponde lui.
"Mezzogiorno?" grido isterica. La mia voce è un tantino gutturale. "Diavolo, il servizio fotografico" esclamo. Mi alzo dal letto e barcollo per un attimo prima di appoggiarmi allo stipite della finestra. Io non devo bere, questo è chiaro.
"E' andato abbastanza bene. Domani mattina scatteremo ancora per qualche ora e poi possiamo tornarcene a Milano" risponde lui come se fosse ovvio.
"La mia presenza, quindi, non era necessaria?"
"Dipende dai punti di vista" dice allegro. Mi viene vicino e mi accarezza la schiena nuda. "Rimanere con me stanotte è stato un regalo eccezionale" mi sussurra. Il suo respiro umido è piacevole ma mi riporta alla realtà.
"Enrico stanotte ci siamo divertiti ma questa non è la realtà. Qui non siamo a Milano" gli dico fissandolo negli occhi. Devo usufruire di tutta la forza di volontà che possiedo per rimanere concentrata.
Enrico indietreggia di un passo e mi guarda confuso. "Filippa non capisco cosa vuoi dire" afferma.
"Enrico qui non ci conosce nessuno. Ci siamo lasciati andare perché lontani dalle nostre responsabilità. Ho faticato come un mulo per arrivare a Vogue. Sono andata contro la mia famiglia e ho ricevuto paghe da fame in giornali che non mi interessavano prima di ottenere questa possibilità. Qui possiamo essere semplicemente Enrico e Filippa ma domani, quando saremo di nuovo a Milano, tu tornerai ad essere Enrico il figlio di Anita Lozzani, quella che fra un mese deciderà le mie sorti. Non posso mandare a puttane tutto proprio ora che sono così vicina ad ottenere ciò che ho sempre sognato" gli spiego onestamente.
Era incollerito. "Ho creduto fin dal primo istante che tu fossi diversa da tutte le altre. Ed invece, proprio come a tutte le altre, ti interessa solo di chi cazzo sono figlio"
"Non è questo che intendo..."
"Fanculo" urla. Prende il cappotto dalla sedia e se ne va sbattendo la porta.
Rimango sola, nella sua stanza, avvolta nel lenzuolo che è stato testimone della nostra notte insieme. Non so dirvi perché, ma vederlo andare via pieno di collera e, sopratutto, di delusione mi ha fatto male all' anima. Avrei voluto corrergli dietro e dirgli che quello che aveva capito era sbagliato. Volevo corrergli dietro e dirgli che era stato meraviglioso con lui questa notte ma ero pietrificata esattamente li dove mi aveva lasciato.
Mi trascino fino all' ingresso della stanza in cerca della mia borsa. La trovo rovesciata a terra di fianco alle mie divine scarpe di Ferragamo. Cerco il Blackberry e chiamo Arianna.
"Filippa è quasi ora di pranzo! Dev' essere stata una nottata di fuoco" risponde alla telefonata la mia coinquilina.
"E' stato terribile" le rispondo in lacrime.
"Filippa perché piangi?" mi chiede Arianna. Sento nella sua voce che é preoccupata. Le racconto di stanotte, di come siamo stati bene a cena e poi le faccio un resoconto dettagliato di quello che è appena successo. Quando finisco di parlare sento Arianna che sospira profondamente, quasi in maniera teatrale.
"Filly da quanto tempo viviamo insieme?" mi chiede.
"Otto anni" singhiozzo.
"Brava. In otto anni ti ho sempre visto concentrata e focalizzata sul tuo obbiettivo: Vogue. Ti sei laureata prima di tutti gli altri; hai conseguito specializzazioni e ottenuto master come se ne andasse della tua vita stessa. Quando ti hanno accettato per i quarantacinque giorni a Vogue hai toccato il cielo con un dito e, anche se pensi che io non me ne sia accorta, so bene quanto ci sei rimasta male quando tua madre l' ha reputato una cosa da niente. Quindi posso ben capire come, ad un passo dal raggiungimento della meta, dopo tutti questi anni di sacrifici, tu possa pensare che una tresca con il figlio del capo non sia l' ideale ma -se vuoi sapere la mia opinione- non glielo devi di certo andare a dire subito. Hai ventisei anni e ne hai già persi troppi a pensare al domani senza goderti il presente. Se lui ti piace e tu piaci a lui potrebbe essere pure figlio del papa! Non precluderti questa possibilità a prescindere"
"Cosa potrebbe pensare la gente se lo venisse a sapere?"
"Che hai un gran culo. Non solo otterrai il lavoro perché te lo meriti ma anche, e aggiungerei sopratutto, perché hai accalappiato un figo pazzesco che è pure un signore. Vallo a trovare un altro che lavora nella moda che non porta la borsetta come una donna!" Arianna ha una visione un po' distorta degli uomini che lavorano nel mondo della moda: li immagina effeminati fino ai limiti del ridicolo e rigorosamente con una grande borsa da donna al braccio. Non che non ce ne siano così ma...
Le parole di Arianna mi rincuorano. La saluto e la ringrazio. Raccolgo le mie cose e me ne vado nella mia stanza. Ho bisogno di riflettere sotto il getto bollente della doccia.

Sono passate da poco le sei del pomeriggio ed Enrico non è ancora tornato in albergo. ho provato a chiamarlo una decina di volte e gli avrò mandato più di venti messaggi dall' ora di pranzo. Non sono certa di cosa dirgli ma è giusto parlare di quello che è successo affrontando la discussione come due adulti senza che uno dei due scappi via come un pazzo.
Sono seduta al bar della hall dalle quattro. Sul tavolino di vetro con la base di plexiglas trasparente (la maggior parte dei mobili nella lobby dell' hotel sono trasparenti per questo ho due lividi sul ginocchio e uno sul braccio destro) c' è la Coca Cola Zero che ho ordinato. Ormai è calda e sgasata e non ne ho bevuto nemmeno un sorso.
Alle sette finalmente lo intravedo dalla finestra vicino alla quale mi ero strategicamente posizionata tre ore fa (si, sono a Parigi e passo un intero pomeriggio nella hall dell' albergo a fissare la strada di fronte). Enrico paga il taxi e fa un cenno di saluto con la mano all' autista prima di entrare e recarsi alla reception per chiedere la chiave della sua stanza. Io prendo la mia borsa e, senza farmi vedere, salgo al suo piano e lo aspetto davanti la porta della camera.
"Sei tornato finalmente" gli dico non appena i nostri sguardi si incrociano.
"Che ci fai qui?" chiede aspro. Non c'è segno della dolcezza della sera prima nella sua voce.
"Ti va di parlare?" faccio paziente.
"Ti do il numero di cellulare di mia madre magari chiedi a lei di fare quattro chiacchiere, ok?"
Sospiro alla sua battuta e accenno un mezzo sorriso (di quelli che dicono "abbiamo capito che sei offeso ma smettila di fare la primadonna" che si concedono ai maschi che si fanno tenere). Lui mi fissa per qualche istante poi infila la chiave magnetica nella fessura apposita sulla porta e la apre.
"Entra" dice.

Continua...

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2 commenti:

  1. su su ne vogliamo ancora *_*
    tu hai troppi pochi follower... c'è bisogno di un po' di pubblicità...

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  2. Concordo con Claudia, ti ho trovata per caso e non ti mollo più.. tiè! Eheheh.. suona come una minaccia eh?

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