mercoledì 15 febbraio 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 26


‘Quindi tu sei la ragazza di Enrico?’ mi chiede Ina. Gli occhi celesti le brillano. E'  in evidente difficoltà, frenata dalla freddezza scostante di Enrico. Stringe ancora di più la cinta di lana del cappotto color biscotto come se il pesante capo potesse ripararla dal gelo che emana il suo figliastro.

"Così pare" annuncio, le sorrido di rimando. Enrico è una lastra di ghiaccio. Fermo, immobile e muto, in piedi accanto a me freddo come la neve. La sua mano stringe forte la mia. Il cerchietto dorato dell’ anello di Pomellato che mi ha regalato Arianna un paio di Natali fa diventa tutt'uno con la mia pelle che sento bruciargli intorno. 
Un velo di silenzio cala su di noi. L’ imbarazzo rimbalza nei nostri occhi e, mentre io e Ina cerchiamo di tenere viva la conversazione, Enrico sembra solo impaziente di andarsene. 
‘Filippa, mi ha fatto tanto piacere conoscerti. Sembri una persona deliziosa. Se, per un fortunato caso del destino, vi dovesse trovare ancora in città domani sera ci farebbe piacere che passasse la vigilia con noi. Enrico,  tuo padre sarebbe davvero contento di poter passare il Natale con te. Credo sia uno dei suoi sogni più grandi poter avere tutti e cinque i suoi figli seduti allo stesso tavolo’
‘Mi sembra improbabile. Torneremo in Italia il prima possibile. Grazie comunque’ la liquida Enrico. La sua voce è tagliente come la carta. 
‘Vi lascio il mio biglietto da visita dove trovate il numero del mio cellulare, lo tengo acceso giorno e notte. Nel caso cambiaste idea’ dice comprensiva Ina. Piccoli solchi partono dalle punte esterne dei suoi occhi come i raggi di un sole che si spegne per la delusione. Sembra davvero rammaricata per l' astio di Enrico. Sfila uno dei guanti di pelle nera borchiata dalla mano, all' anulare è appeso un enorme solitario quadrato che emana una luce accecante, e fruga nella borsa. Mi porge il biglietto. Le unghie tinte di rosa cipria, la pelle delle mani ancora liscia. 
Prendo il cartoncino color avorio che riporta il suo nome in un elegante font marrone scuro e le sorrido complice. Mi piacerebbe davvero che Enrico le desse una possibilità: sono certa che farebbe bene anche a lui ritrovare suo padre ed i suoi fratelli. 
Ina si gira e si avvia verso le vetrine più interne di Tiffany. I capelli biondi le scendono in morbidi boccoli sulle spalle ed ondeggiano fino a che non sparisce tra la folla che inonda il negozio. 
Enrico, senza dire una parola, torna alla commessa dai capelli tirati che, nel frattempo, sta discutendo con un' adolescente viziata che non riesce a decidere quale ciondolo prendere. 
Prendiamo un braccialetto a Claudia e un ciondolo a forma di bastoncino di zucchero smaltato rosso e bianco ad Arianna e usciamo. 
‘Ne vuoi parlare?’ chiedo al mio uomo. I suoi occhi verdi sono stati prontamente coperti da un paio di Ray Ban scuri che celano l' emozione che, comunque, traspare da ogni muscolo teso del suo corpo. Sono quasi le otto di sera; il cielo è nero, attraversato da fugaci lampi di luci viola e argento ed Enrico indossa un paio di grossi occhiali da sole nel bel mezzo della Fifth Avenue. 
‘Ti dispiace se ti lascio sola per l' ultimo giro? Vorrei tornare in albergo e mettermi al pc: se non prenotiamo il volo rischiamo di non riuscire a festeggiare la Vigilia con i tuoi genitori; sono stati molto gentili a volermi con loro" 
‘Spiegherò a mia madre la situazione, capirà’
‘Non ce n'è motivo. Ci vediamo in albergo. A dopo’ mi bacia teneramente una tempia e sparisce tra la folla. Una folata di vento gelido mi attraversa l' anima: vederlo così combattuto tra quello che è che quello che vorrebbe essere mi fa dannare. Perché si ostina a non voler riconoscere che gli manca suo padre? 
Sfilo il guanto di pelle martellata di Chloé e cerco a tastoni il Blackberry nella grossa borsa. In Italia sono le due di notte passate ma decido di chiamare i miei ugualmente: io ed Enrico andremo a cena da suo padre che lui lo voglia o no. Compongo il numero di casa mia preceduto dal prefisso italiano ed aspetto paziente che qualcuno risponda pregando che ai miei non venga un infarto. 
‘Pronto’ risponde mio padre. La sua voce è stranamente sveglia e allegra. Un brusio di sottofondo mi comunica che non è solo.
‘Papi sono Filippa, scusa per l' orario. Vi ho svegliato?’
‘Oh, Filippa cara. No, non preoccuparti. Abbiamo invitato alcuni amici a cena ed il vino è sceso come un fiume in piena. Siamo tutti un po' brilli, giochiamo a carte’
‘Ah. Giocate a carte. Ma da quanto? No, ok, non è fondamentale adesso. Volevo solo dirvi che domani purtroppo non potrò cenare con voi. New York è completamente sommersa dalla neve ed hanno cancellato i voli per Milano’ dico fintamente sicura. Sembro abbastanza convincente. 
‘Solo quelli per Milano?’ chiede scettico mio padre.
‘Cosa?’
‘Voli. Possibile che abbiano cancellato solo i voli diretti a Milano?’ 
‘Oh... Beh... Non lo so. Non credo, ne avranno cancellati altri ma non posso mica saperlo’
‘Magari potevate scegliere una destinazione europea e poi prendere un volo internazionale. Da New York il volo per Parigi parte ogni mattina alle sei, ricordi che l' abbiamo preso anche con la mamma? Aspetta che la chiamo... Ottaviaaaaaaa, Ottaviaaaa tesoro vieni al telefono, è Filippa. Dice che non torna per Natale’
‘Papà non c'è bisogno di allarmare la mam...’
‘Filippa che diavolo è questa storia?’ tuona mia madre. Ci mancava solo lei.
‘Mamma non riusciremo a partire in tempo, è inutile che ti infiammi’
‘Filippa a me non importa in che modo tornate. Non mi interessa se dovete prendere sei voli ed otto autobus per arrivare o attraversare l’ oceano a bordo di qualche resto del Titanic ma domani sera voi cenerete con noi’ 
‘Ohh... Scusami, devo andare... Stanno dando comunicazioni ad Enrico. Mi spiace per la cena, ci vediamo a capodanno" blatero. Riattacco la cornetta e getto in fretta il cellulare in borsa come se mi scottasse in mano. 
Ho detto più bugie a mia madre nelle ultime due settimane che nei precedenti ventisette anni. Dio com'è stressante mettere pace nelle famiglie altrui. 
La mia passeggiata tra i negozi affollati della Fifth Avenue è lenta e rilassata: non mi va di tornare in albergo ed affrontare il muso lungo di Enrico. 
Il freddo secco della Grande Mela mi accarezza le gote rendendole di un rosso delizioso. I capelli scuri che escono dal cappello ondeggiano placidi mischiandosi agli odori di una città magica. Il fumo dei tombini misto al profumo delle signore dell’ Upper Side; l’ odore di hot dog combinato a quello dei chilometri di carta velina usata per impreziosire i pacchetti. 
Mi allontano, spinta dalla bellezza della città, dall’ Upper East Side fino a Midtown. Rockfeller Center e il gigantesco albero simbolo del Natale newyorkese mi appaiono davanti all’ incrocio con la cinquantesima. Una fila di angeli di cristallo, scintillanti come ghiaccio, formano un percorso fino all’ altissimo abete illuminato a festa. Adulti e bambini affollano la pista di pattinaggio dietro l’ albero. Turisti con il naso, rosso dal freddo, all’ insù scattano milioni di foto nella speranza di poter catturare un po’ di quella magia. 
Sospiro. Sento l’ aria gelida riscaldarsi piano dentro di me.
Inevitabilmente, quando un anno sta per finire, si fanno bilanci. La mia vita è stata completamente stravolta in soli due mesi. Enrico è diventato una parte fondamentale del mio presente. Le mie certezze sono cambiate, il voler a tutti i costi arrivare li dove avevo fissato il mio obbiettivo è diventato secondario. Mi alzo ogni mattina sperando ancora di vedere il sorriso di Enrico. Mi accorgo che mi mancano i suoi baci e le sue carezze quando non è con me. L’ odore della sua pelle è diventato familiare come quello di un ricordo in cui ti tuffi ogni volta che ti senti persa. I miei occhi, le mie prospettive, il mio cuore, il mio cervello sono venuti a patti con l’ amore. Hanno stretto un accordo vantaggioso per tutti.
Il mio cellulare squilla. La realtà mi ripiomba davanti gli occhi gentile: tutti sono ancora immersi in quella spensierata e genuina vivacità natalizia. ‘Enrico’ lampeggia minaccioso sullo schermo del Blackberry.
‘Filippa, sei fuori da più di un’ ora. Sono quasi le dieci, dove sei?’ 
‘Ho continuato a camminare lungo la Quinta e sono arrivata davanti l’ albero di Natale a Rockfeller Center. Ci vediamo qui e ceniamo da qualche parte?’ chiedo. 
‘Dovresti tornare in albergo per fare le valigie, dobbiamo andare in aeroporto subito” mi comunica tranquillo. 
‘Hai trovato il volo?’ chiedo. Ho la voce rotta dal panico. 
‘No purtroppo, ma siamo in lista d’ attesa per il volo delle sei di domani mattina. Dobbiamo presentarci al gate e sperare in una buona stella’ 
‘Non voglio passare la vigilia della vigilia di Natale al JFK sperando di poter partire’ piagnucolo. 
‘Non c’è altra soluzione. Il mio primo volo disponibile per Milano è il ventisei pomeriggio’ mi comunica pensieroso. 
‘Mi sembra perfetto’ dico forse troppo eccitata. Nella mia testa si disegna lentamente il progetto di noi due a cena da suo padre. 
‘Filippa prendi un taxi e torna in albergo a fare le valigie’ dice Enrico come se non avesse nemmeno sentito quello che ho detto. 
‘Non adesso'
'Filippa, per carità, non è proprio il momento di mettersi a fare i capricci' riaggancia. 
Sospiro godendomi la vista dell' albero illuminato. Un bagliore, quasi sulla punta, attira la mia attenzione: sembra che mi stia facendo l' occhiolino. Sorrido di quella buffa sensazione, alzo un braccio come una vera newyorkese e salgo sulla prima macchina gialla che mi si ferma davanti. 
'Columbus Circle, please. Mandarin Oriental' dico al tassista. L' uomo, indiano, mi fa un cenno d' assenso mentre i nostri sguardi si incontrano nello specchietto retrovisore; aziona il tassametro e parte. 
Sbuffo. Io non ci voglio ancora tornare a Milano. 
Quando arrivo in albergo trovo Enrico alla reception intento a leggere alcune carte mentre una ragazza dalla perlle color dell' ambra gli indica qualcosa con il dito affusolato. 
'Sono qui' annuncio. Enrico si gira e mi sorride. La ragazza mi guarda sospettosa. Poggio una mano sulla spalla del mio uomo quasi stessi marcando il territorio come farebbe un gatto. Lei percepisce il mio gesto e ritira il dito. Fisso per un attimo Enrico. Ha la barba lunga di un paio di giorni che gli disegna riflessi dorati attorno alla bocca. I capelli chiari gli incorniciano il viso in morbidi riccioli scombinati. Ha quell' aria trasandata tremendamente sexy che mi ha fatto innamorare di lui dal primo secondo in cui l' ho visto. Gli occhi verdi di Anita e le sopracciglia lineari lo fanno sembrare un orsacchiotto. E' impressionante la somiglianza con Davide e, sopratutto, non è difficile intuire perché la ragazza della reception facesse tanto la gattina. 
'Che c'è?' chiede Enrico quando si accorge che lo sto fissando. 
'Nulla. Stavo ricordando perché ti amo', gli sorrido. 
'Hai bisogno di ricordarlo?' chiede deluso.
'Ogni tanto' scherzo. Mi sorride ed i suoi occhi si illuminano come peridoti al sole. Una fila di denti bianchi e perfetti mi dice che va tutto bene. 
'Ho saldato il conto' annuncia. 
'Hai fatto cosa? Sei pazzo? Non troveremo un' altra stanza in tutto lo stato la vigilia di Natale! Se non riuscissimo a partire dove pensi che staremo? In aeroporto, come in quel film con Tom Hanks?' chiedo allarmata. Non piace non sapere con certezza dove andrò a dormire. Sopratutto se ho già deciso che, costi quel che costi, non salirò su quell' aereo. 
'Non sarà necessario cercare un altro hotel. Non so ancora come ma domani noi saremo a Milano'. Lo dice come se fosse l' ultima cosa che farà nella sua vita. Suona quasi come una minaccia. Mi prende per mano e mi accompagna agli ascensori: a quanto pare sto davvero per fare le valigie. Ma l' albero di Natale più famoso del mondo mi ha fatto l' occhiolino: non può non significare nulla! 


Il JFK è un invaso da uno sciame di persone. I banchi delle varie compagnie aeree sono presi d' assalto nemmeno regalassero oro. Ci sono uomini, donne e bambini in ogni dove. Indiani, italiani, africani, rumeni, polacchi. Bionde, brune, rosse. Uomini con la barba. Bambini che strillano ed altri che si lasciano trascinare, tirati per mano dai genitori, stringendo al petto orsacchiotti e bambole sfinite da ore ed ore di gioco. 

Io ed Enrico attraversiamo la folla. Enrico spinge un carrello stracolmo di valigie. Nelle ultime settimane non ho fatto altro che shopping. Ho comprato regali per tutti, sopratutto per me, e gadget e souvenir come se sapessi con certezza che non tornerò mai più a New York e, di conseguenza, le due valigie che avevo portato con me da Milano per il colloqui di lavoro sono diventate quattro. Ah, si... dimenticavo che Enrico ha un borsone! 
'Tu lo sai che non riusciremo a trovare un posto su qualsiasi volo, diretto in una qualsiasi destinazione a piacere nel mondo, nemmeno se intercedessero per noi tutti i santi del Paradiso, vero?' chiedo fissando la confusione attorno a noi. 
'Siamo in lista d' attesa' dice secco. I suoi occhi si stringono leggermente mentre cerca di leggere sullo schermo in alto dove si trovano i banchi dell' Alitalia. 
Attraversiamo uno stretto corridoio gremito di gente e ci mettiamo in fila davanti l' ufficio informazioni riservato alle partenze. Davanti a noi ci sono duecento persone. No, non sto parlando per iperbole. 
'E' quasi mezzanotte' mi lamento 'non ce la faremo mai. Perché non vuoi accettare la realtà dei fatti?' gli chiedo sfinita dopo più di un' ora in cosa. 
'E quale sarebbe la realtà dei fatti?' 
'Che se ci fossero stati dei posti su quel volo per Milano a quest' ora l' avremmo già saputo! Dovremmo partire fra sei ore ed invece siamo ancora in fila!' 
'Filippa ci sono ormai meno di cinquanta persone davanti a noi, porta pazienza' 
'Sono in piedi su un paio di scarpe da seicentocinquanta dollari da stamattina praticamente! Ho fame, ho sete, ho sonno, ho...' 
'Filippa, diamine, quanti anni hai? Otto?' ruggisce. Il suo tono è minaccioso come il 'roar' di un leone che ha appena aperto le fauci pronto ad una caccia sanguinolenta! 
Lo fisso con aria da vittima per qualche secondo sperando che si senta in colpa. Lui mi fissa di rimando. Io non cedo. Nemmeno lui sembra voglia cedere. 
'Io torno in città' annuncio. 
'Tu non vai da nessuna parte. Ti pare che non l' ho capito il tuo piano? Noi non andremo a cena da mio padre domani sera, è chiaro?'


'Ina, scusa per l' orario. Sono Filippa, la ragazza di Enrico. Volevo solo sapere se il vostro invito per stasera è ancora valido?' chiedo. Sono le cinque e mezzo di mattina del ventiquattro dicembre ed io sto parlando al telefono con la donna che ha portato via il marito alla grande Anita Lozzani. Stento a crederci io stessa. 

'Oh tesoro, certo. Le porte di questa casa sono sempre aperte per voi' dice realmente felice nonostante la voce spaesata dal sonno. 
'Bene, perché ci servirebbe anche un posto dove stare' azzardo. La sento sorridere. 
'Ettore, Ettore, svegliati' la sento dire 'Enrico e la sua ragazza verrano da noi per Natale' 
'Nemmeno Babbo Natale sarebbe in grado di fare un miracolo simile' dice una voce calda e maschile che mi ricorda quella di mio papà. 
'Evidentemente Babbo Natale aveva qualche conoscenza quest' anno. Filippa, non vediamo l' ora di avervi qui. Faccio preparare immediatamente la stanza di Enrico' sospira entusiasta. 
Chiudo la conversazione e stringo la mano ad Enrico seduto accanto a me in taxi. Le casette a schiera del Queens ci salutano prima di immetterci nel tunnel verso Manhattan. 
'Filippa, io spero soltanto che tu sappia cosa stai facendo e a cosa stai andando incontro. Mi auguro che il risentimento e la disillusione non si mettano tra di noi' dice freddo Enrico. 
'Andrà tutto bene' dico. 
'Non puoi saperlo' annuncia in tono di sfida. 
Oh si che lo so: l' albero di Natale più famoso del mondo mi ha fatto l' occhiolino. Ma non glielo dico onde evitare che mi prenda per matta. Sorrido.

Continua... 



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