mercoledì 16 novembre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 13


Attraverso l' elegante atrio del palazzo di Enrico e oltrepasso le porte di vetro che si affacciano sul gabbiotto del portiere. Attiro l' attenzione dell' uomo seduto davanti a me con un colpetto sul vetro. Il signore di mezza età, stempiato e appesantito, che sta dietro le vetrate abbassa svogliatamente il giornale sportivo che sta leggendo e mi osserva. 
"Chi desidera?" chiede. La sua espressione lascia intuire che non gli interessa più di tanto. 
"Devo salire all' attico" gli comunico. Enrico mi ha detto di dire così che il portiere avrebbe capito. 
"Da quella parte". Indica una scalinata che porta agli ascensori. Ringrazio ma quell' uomo si è già barricato nuovamente dietro il suo giornale e non mi sente nemmeno.
Oltrepasso il gabbiotto, salgo i cinque scalini e chiamo l' ascensore. E' interamente rivestito di legno. Un grosso specchio occupa la parete dell' ascensore di fronte le porte scorrevoli. Mi fisso per un secondo e mi rendo conto di essere uno straccio: sono distrutta. Le porte scorrevoli si aprono su un pianerottolo elegante. Un piccolo tavolino di legno, in tono con il parquet, su cui sono poggiate riviste ancora incellofanate e posta da aprire, fa bella mostra di se accanto la porta di ingresso dell' unico appartamento su quel piano. Non ci sono campanelli accanto alla porta così do un colpo di nocche. 
Si sente un "Arrivo" in lontananza da dietro la porta. E' la voce di Enrico. E' ancora strano, per me, che quella voce mi risulti così familiare, come se avesse fatto parte della mia vita da sempre. E' bizzarro come l' amore cambi le cose, stravolga i piani. Non ho avuto nemmeno il tempo di accorgermene, di scegliere se quella fosse la strada giusta. Le mie priorità si sono modificate seguendo una logica che ancora fatico a capire.
La porta dell' appartamento di Enrico di apre e lui spunta sgocciolante e a torso nudo. Sulla vita un asciugamano di spugna pesante color avorio assorbe i rivoli d' acqua che gli accarezzano la pelle umida disegnandogli gli addominali. I capelli pettinati all' indietro lo fanno somigliare ad un divo degli anni cinquanta di un film in bianco e nero che non ti stancheresti mai di guardare. Gli occhi sembrano più verdi che mai nonostante il volto sia imbrunito da un velo di barba. "Entra" dice sorridendo. Si scansa e lascia libero il passaggio accennando un gesto reverenziale con la mano. 
Mi sfilo le scarpe e le abbandono sul marmo bianco dell' ingresso: sogno questo momento da ore. La sensazione di freddo del marmo ghiacciato sui piedi doloranti è un toccasana. Sospiro. Enrico mi guarda divertito. "Che c'è?" chiedo. 
"Sei buffa!" risponde cingendomi la vita con il braccio bagnato. Il colpo di grazia è stato appena inferto a quel meraviglioso vestito.  
"Vorrei vedere te con queste armi di tortura ai piedi per venti ore filate!" 
Enrico mi tende la mano e fa strada verso la camera da letto. Attraversiamo un corridoio dalle pareti tinte di bianco completamente occupato da fotografie. Ognuna è definita da un' elegante cornice di legno color cioccolato. Ci sono paesaggi, case, modelle. I colori accesi di un tramonto in quello che sembra un paesaggio della savana e la semplicità di una schiena di donna ritratta in bianco e nero. il saluto di Giorgio Armani al termine di una sfilata. Alcune foto di Anita insieme ad Enrico. Il sorriso di un bambino dalla pelle color caffé che stringe in mano un pastello a cera giallo. Quelle fotografie parlano per Enrico: raccontano chi è, da dove viene e dove è stato e lo fanno in un modo unico. Il bello della fotografia, ho sempre creduto, è proprio questo: poter immortalare qualcosa nel momento in cui ci piace, in cui ci fa stare bene. Tutto è destinato a cambiare e molte volte in peggio ma, riguardando la foto, quel momento di benessere sarà impresso a fuoco nella memoria.  
"Sono tutte tue?" chiedo strabiliata. 
"Tranne quelle in cui sono presente, ovviamente" afferma. Sono tutte di una bellezza armonica ma una mi colpisce in particolare: una foto in bianco e nero in cui sono immortalate due mani solcate da rughe profonde. I polsi e le dita sono pieni di chincaglieria. Bracciali e catene; anelli a forma di croci e di teschio. La fisso rapita per un secondo inteminabile mentre lascio che Enrico mi tiri via. 
La sua camera da letto è un tripudio di contrasti. Il legno scuro, quasi nero, del parquet sposa divinamente il bianco candido delle pareti. Il letto ultramoderno dalla testata di spesso tessuto bianco è attorniato da due comodini intarsiati che ricordano l' arredamento delle case anni cinquanta. Non ci sono suppellettili: solo l' essenziale. Un pouf basso dello stesso tessuto del letto, una piccolo tavolino sulla quale sono ammassati fogli e libri. Una sedia quasi interamente coperta di vestiti. Nessuna foto incorniciata in camera da letto, nessun segno personale di Enrico. 
"Vuoi farti una doccia?" chiede lui mentre io osservo il minimalismo della sua stanza da letto. Gli faccio cenno di si con la testa. 
Nelle pareti ai lati del letto ci sono due porte: da un lato il bagno; dall' altro la cabina armadio. "Da questa parte" dice Enrico segnalandomi la porta del bagno "nel mobiletto sotto il lavandino trovi la biancheria pulita"
Abbasso la cerniera del vestito dorato posta sul fianco e mi libero di quell' armatura di lustrini e glitter dorati che si adagia pesantemente a terra: certi abiti non sono fatti per nottate come questa, mi sento quasi in colpa per avergli inferto una pena dimile. Sfilo l' intimo color champagne che avevo scelto per un finale di serata diverso da quello che abbiamo avuto, abbandono tutto per terra e corro sotto la doccia. Il getto d' acqua bollente mi rimette al mondo. Le goccioline mi rigano il corpo risvegliando le mie cellule. Enrico ha solo bagnoschiuma maschile e l' odore forte e agre di pino e sandalo mi ricorda la prima volta che abbiamo fatto l' amore, a Parigi. Non so quale sia stato il collegamento tra le idee ma mi torna in mente lo sguardo di Davide, privo di malizia, nell' ufficio di Ferdinanda. 
Metto il viso in direzione del getto d' acqua nella speranza che si porti via l' immagine di quegli occhi che, se non sei attento, li confondi con quelli di Enrico tanto si somigliano. 
Lo ammetto, sono davvero tentata di andare a cena con lui. C'è qualcosa nel suo fare spavaldo e non curante che mi affascina. Razionalmente sono consapevole che potrebbe peggiorare le cose tra me ed Enrico eppure c'è una vocina, dentro di me, tra lo stomaco e il cuore, che mi dice 'Vai, vedi cosa ha da dirti'. Mi sento come la protagonista di un cartone animato alla quale appaiono il diavoletto tentatore e l' angioletto custode sulle spalle. 
"Tutto ok?" chiede Enrico affacciandosi dalla porta del bagno. 
"Adesso si" 
"Hai fame?" chiede. Effettivamente l' ora della colazione è passata da un po' anche se è ancora presto per il pranzo e, ora che ci penso, io non mangio nulla da ieri. 
"Mangerei volentieri qualcosa" gli ulro di rimando mentre lascio che l' acqua si porti via i resti di schiuma. 
Sento la porta richiudersi. Giro lentamente le manopole dell' acqua fino a che anche l' ultima goccia è uscita. Metto un piede fuori in cerca delle ciabatte, come d' abitudine, poi mi guardo intorno e ricordo di non averne. Afferro un grande telo morbido, coordinato a quello che aveva Enrico intorno alla vita, e me lo lego intorno al corpo. Ravvivo i capelli bagnati davanti lo specchio, strizzo l' acqua in esubero ed esco dal bagno. Ripercorro il corridoio a ritroso in cerca della cucina lasciando piccole pozzanghere d' acqua ad ogni passo. 
Ritorno nel grande soggiorno dal quale sono entrata e mi rendo conto di non sapere dove si trovi la cucina. "Enricoooo" chiamo. 
"Al piano di sotto. Le scale soto oltre la porta d' ingresso" risponde una voce in lontananza. 
Oltrepasso la pesante porta di legno, bianca come il resto dell' arredamento, e raggiungo una larga scalinata a chiocciola. La scala finisce in un open space in cui padroneggia un' enorme cucina professionale. Ci sono addirittura tre forni e dieci uscite per il gas. Enrico sta armeggiando con una poltiglia giallognola dentro una ciotola d' acciaio appoggiato al piano dell' isola che ospita il piano cottura. La cucina è un misto di mosaico e acciaio scuro. Il blu e il giallo di migliaglia di piccole mattonelline di mischiano al freddo del metallo creando un effetto incantevole: mi metterei a cucinare se solo sapessi farlo! Il pavimento è un velo di mattonelle di ceramica blu notte che riprendono il colore della cucina. Un enorme tavolo da pranzo occupa parte dello spazio davanti la cucina. Uno... Due... Tre... Dieci... Venti! Conto le sedie, laccate di blu come il tavolo, che sembrano uscite dalle pagine dell' ultimo numero di AD. Moderne e ultraleggere segnano venti posti a sedere. 
"Wow" esclamo estasiata "sono finita nello studio della 'Prova del cuoco', vero?" domando. 
Enrico sorride mentre continua a sbattere energicamente il miscuglio nella ciotola che ha in mano. "Sto preparando le creepe" annuncia orgoglioso. 
"Le creepe? Quelle delizie francesi? Ohhh, aspetta, tu cucini?" sono esterefatta. 
"Mi hanno detto che sono anche piuttosto bravo. La mia specialità sono i primi ma posso prepararti un pranzo thailandese in un' ora, se solo lo desideri!" 
"Ti prego, sposami. Non mi serve sapere altro" gli dico in tono scherzoso.
Enrico lascia la ciotola sul piano al quale è appoggiato e alza lo sguardo. "Ok" dice serio. 
Un improvviso silenzio imbarazzato si impossessa della stanza. Non ha capito che scherzavo?
"Non faresti un grande affare" dico cercando di smorzare i toni. 
"Io credo che sarebbe l' affare migliore che potrei fare in tutta la mia vita!". Mi regala un sorriso di quelli che ti sciolgono il cuore come burro sul pane caldo e poi, imbarazzato, abbassa lo sguardo e riprende a sbattere l' intruglio per le creepe. 
Gli vado incontro e gli cingo la vita appoggiando l' orecchio sulla sua schiena. I miei capelli bagnati formano una piccola chiazza scura sulla camicia celeste che indossa. 
"Ti amo" dice accarezzandomi le mani intrecciate sulla sua vita. 
"Chissà perchè" gli rispondo. Sa bene che provo le stesse identiche cose. 

Il pomeriggio trascorre tranquillo tra una coccola a letto e un po' di zapping in tv. Sono cose che abbiamo fatto già altre volte eppure sembra come se fossimo in vacanza dalla vita. Il suo appartamento è ancora un posto nuovo per noi come coppia e ci stiamo godendo a pieno questo giorno. 
"Dovrebbe essere tutti i giorni così" annuncia Enrico. 
"Per me va bene ma basta più fughe in ospedale in piena notte!" 
"Sono d' accordo. Domani sera mia madre darà una cena con alcuni amici e devo andare per forza. Mi sarebbe piaciuto che ci fossi anche tu ma non te lo chiedo nemmeno di venire" 
"Quindi domani sera hai un impegno?" la mia voce è allusiva e strana, nel mio cervello s'è mosso un pensiero ma non sono riuscita a fissarlo.
"Si. Avevamo qualcosa in programma che mi sono dimenticato?" chiede Enrico spaesato. 
"No, no. Nessun programma"
"Sicura che non vuoi venire con me?" 
Un serata a casa di Anita Lozzani che non sa che sto con suo figlio? No grazie. Passo. Se e quando accadrà una cosa del genere non voglio essere nemmeno cosciente. 
"Sicurissima" mi limito a dire. 
Ed ecco che tornano l' angelo custode e il diavoletto. 
Diavoletto tentatore: Potresti andare a cena con Davide, vedere cosa ha da dire. Enrico non lo saprebbe mai. 
Angioletto Custode: Enrico lo scoprirebbe subito. Davide è talmente in collera con la sua famiglia che non si lascerebbe mai scappare l' occasione di spiattellare al fratello che hai accettato un appuntamento con lui.
Diavoletto tentatore: Davide vuole raccontarti i motivi dell' astio con suo fratello. Non sei curiosa? 
Angioletto Custode: Enrico non ti perdonerebbe mai questa leggerezza. Sei disposta a perderlo?
"Ahhhh silenzio!" dico a voce alta. 
Enrico sgrana gli occhi e mi guarda come se fossi matta. "Con chi ce l' hai?" chiede. 
"Ehm... Ero sovrapensiero"

Mail 
From: Filippina@Vivamail.com 
To: Dcarrisi@Vivamail.com
Oggetto: Ci vediamo domani sera alle nove al tuo albergo, andiamo in un posto fuori Milano che conosco. Serve la macchina ma io non ho la patente. 
Filippa. 
P.S.: Non farmi pentire della mia decisione. Un' altra sparata come quella dell' altra sera e ti giuro che non esisterà un solo angolo al mondo in cui ti potrai sentire sicuro. 

La risposta non tarda ad arrivare. 

Mail
From: Dcarrisi@Vivamail.com
To: Filippina@Vivamail.com 
Oggetto: Ho la macchina. A domani, D.
P.S.: Grazie. 

Che il cielo me la mandi buona. 
Continua... 


Questa sono io che rileggo il capitolo usando un Thephotocabine.com  



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3 commenti:

  1. Meraviglia di capitolo! La parte in cui dice di essere innamorata e di come sia strano che Enrico sia entrato nella sua vita mi ha fatto venire i brividi.
    Veramente,per quanto senza colpi di scena,è il capitolo che preferisco :)

    Speriamo bene con Davide,a me convince sempre troppo poco,si vedrà!

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  2. Concordo con thefashioninsideofme
    è uno dei capitoli più belli!!
    No ti prego, Davide non può finire da qualche parte?!
    Viaaaaa Grrr-

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  3. Te l'ho già detto che crei dipendenza???? Complimentissimi e continua a scrivere TI PREGO!!!!!!

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