martedì 8 novembre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 11




Avete presente quelle scarpe di Miu Miu dorate tutte ricoperte di minuscoli brillantini? Quanto sono belle? Ah se lo sono. "Io ti giuro che ti ammazzo" dico incollerita a Davide mentre mi fisso le suddette scarpe. Se l' avessi guardato in faccia avrei solo blaterato parole incomprensibili. Mi giro e me ne vado seguendo la scia di Enrico. Lo raggiungo sulla terrazza oltre il salone dove il ballo in maschera è in pieno svolgimento. 
"Stiamo insieme da ventidue giorni e questa è la terza volta che ti vengo dietro" dico ad Enrico che guarda la luna. Un punto enorme nel cielo scuro di Milano a fine novembre.
"Questa volta è diverso" 
"Non è cambiato nulla tra di noi". Sono immobile ad una decina di passi da lui. Le grandi vetrate alle mie spalle ci dividono solo metaforicamente dal mondo reale: chiunque può vederci. 
"No, nulla. Hai ragione Filippa. Che vuoi che sia l' oceano tra le nostre case"
"E' solo un fottuto colloquio. Non ho ancora nemmeno deciso se lo voglio fare"
"E' questo che credi mi faccia dare di matto? Cristo santo Filippa, ragiona" si volta verso di me, gli occhi iniettati di rabbia. 
"Avrei dovuto dirtelo subito" ammetto.
"Avresti dovuto. Ma evidentemente non è stato questo il tuo primo pensiero. L' unica cosa che ti importa è che nessuno venga a sapere di noi così puoi salvarti il culo con mia madre!" 
"Non essere meschino Enrico". Il suo tono cattivo mi punge proprio sui bordi degli occhi e piccole goccioline si formano sulla sottile linea di matita nera. 
"Dobbiamo essere discreti, e va bene. Me ne sono fatto una ragione: anche io ho faticato per affermare il mio nome come fotografo e so cosa vuol dire credere in qualcosa. Ho accettato di buon grado tutta questa pantomima perché mi piaci Filippa. Perché in te ho visto la genuinità di una persona normale. Non sei accecata dai fari di Vogue. Questa rivista è come un oppiaceo, come una droga. Ti risucchia tutte le energie, non ti fa vedere oltre. Ma tu, ai miei occhi, sei diversa. Tu fai cadere i fogli a terra e vieni a lavoro con le scarpe basse. Arrossisci se ti fanno un complimento e non hai bisogno di vantarti della tua bravura per arrivare in alto. Tu sei reale. O almeno così credevo. Non pensavo che arrivassi a mentirmi, a nascondermi le cose. Ho avuto donne che, per me, sono state come il sorbetto tra una portata e l' altra. A te ho dato l' anima: tu sei la mia portata principale. Credi che non sarei stato felice per te?" 
"Ho fatto domanda per quel colloquio prima ancora di metterci piede in redazione, prima di sapere com' eri. Non avrei mai immaginato che nel mio destino ci saresti stato tu. Non ho ancora dato una risposta perché tu mi hai fatto capire che c'è di più. Perché credi che non abbia dato di matto quando ho visto quella dannata pubblicità? Perché ti brillavano gli occhi quando guardavi quella foto. Perché mi interessa cosa pensi, cosa senti. Credi che mi sia importato così tanto, prima d' ora, di qualcuno tanto da permettergli di entrarmi in testa e farmi il lavaggio del cervello? Credi che se mi avessero chiamato un mese fa, prima che tu entrassi nella mia vita, non avrei fatto le valigie e sarei partita senza pensarci un secondo? Non avrei aspettato un solo fottuto secondo prima di salire sul primo aereo per gli Stati Uniti. Questa è l' unica cosa che dovresti notare: io sono ancora qui"
"Filippa che diavolo sta succedendo?". Ho la vista annebbiata dalle lacrime, intravedo la figura di Ferdinanda che viene verso di noi. Il nero del suo vestito è minaccioso tanto quanto la sua espressione. 
"Nulla" le dico asciugando con le dita il mascara che cola. 
La sua espressione si fa di colpo seria. "Enrico ti prego di rientrare" dice Ferdinanda con un tono di voce che non ammetterebbe repliche.
"Ferdinanda stai fuori da questa cosa". Enrico risponde incarognito. I decibel delle loro voci sono troppo alti: chiunque potrebbe sentirli.
"Enrico a me non importa un fico secco di chi diavolo sei figlio. Finite questa conversazione ora prima che il futuro di Filippa sia compromesso. Entra immediatamente!" 
"Questa, se permetti, è una conversazione privata fra me e la mia ragazza" comincia Enrico.
Oh cielo. Ha detto ragazza? Mi sento mancare. 
"Ragazza?" Ferdinanda è furiosa. Il suo volto di ceramica sembra che le stia per crollare in mille pezzi. Sta per esplodere. "Tu hai una storia con il figlio della Lozzani? Dico io, sei fuori di testa?"
Ehm, sai Ferdinanda, io te lo volevo dire davvero che sto il figlio della Lozzani ma tra una cosa e l' altra mi è passato di mente... penso a come giustificarmi ma non ne ho il tempo. 
"Non sono affari tuoi" la riprende Enrico brusco. 
"Non sono affari miei? Oh si che lo sono signorino. Questa è la mia stagista e se lei fa un casino sono io che ne rispondo con tua madre. Sono io che ci metto la faccia. Come diavolo v'è venuto in mente? Questa cosa deve finire. Deve finire ora" 
Un tuffo al cuore è tutto quello che sento. Cristo Santo, in che casino mi sono messa? 
"Ferdinanda te lo dico per l' ultima volta: tu in questa storia non ci devi entrare. Non vorrei essere rude ma ti chiedo di rientrare. Lasciaci soli". Enrico si pone tra me e Ferdinanda come uno scudo. 
"Enrico non fare il ragazzino, levati di mezzo e lasciala passare" intima Ferdinanda "Filippa entra immediatamente".
Mi ritrovo immobile tra due fuochi, tra la mia vita sentimentale e quella lavorativa. Sapevo che Ferdinanda avrebbe dato di matto se l' avesse scoperto. Che cosa devo fare? 
Enrico e Ferdinanda continuano a discutere. "Tu non ti puoi permettere di mettere a repentaglio la reputazione delle persone. Sei un ragazzino viziato!" grida Ferdinanda. 
"Come diavolo ti permetti? Che ne sai tu? Attaccata a quella scrivania con le unghie e con i denti. Filippa non è roba tua!" 
Il loro tono di voce è fuori controllo, ormai. I gesti volano: sembra quasi che si vogliono picchiare scaricando l' uno sull' altra le loro frustrazioni. 
Poi succede tutto in un secondo. I pugni di Ferdinanda si stringono con una forza inaudita. Piccole venature blu le attraversano la pelle lattea delle braccia. E' più pallida del solito quando si accascia a terra tenendosi il ventre. Assisto alla scena come se fossi fuori dal mio corpo. Non è possibile che stia succedendo sul serio. 
"Enrico chiama un' ambulanza, subito. Ferdinanda è incinta di poche settimane!" dico in preda al panico. 

Ferdinanda è rimasta sedata per tutta la notte. Sono stata accanto a lei: non me la sono sentita di tornarmene a casa. Enrico è qui con me divorato dai sensi di colpa. 
Ho il trucco scolato e sembro una maschera di cera vicino ad una candela. Vorrei strapparmi il vestito dorato di dosso: tutti quei bagliori al contatto con la luce al neon del reparto di ginecologia del San Raffaele mi stanno accecando. 
"Non è colpa tua" continuo a ripetere ad Enrico. La sua testa è appoggiata nell' incavo del mio collo da ore, non sento più il braccio mentre gli accarezzo -ormai meccanicamente- i capelli. 
Sono da poco passate le sei di mattina quando decido di chiamare Arianna. Lei lavora in questo ospedale e, sicuramente, avrà modo di farci sapere qualcosa.
"Ari dove sei?" le chiedo. 
"Sto parcheggiando adesso. Il tempo che mi infilo il camice e salgo subito da voi". Attacca. 
Arianna arriva dopo un lasso di tempo che sembra interminabile. I capelli rossi, legati con un mollettone sulla nuca, le scendono lungo le spalle ma le lasciano il visto libero. Non ha un filo di trucco addosso e la pelle bianca attorno agli occhi ospita l' intero reparto valigeria di Louis Vuitton. 
Mi alzo dal divanetto e le vado in contro. "Come stai?" chiede mentre mi lascio andare alle lacrime sulla sua spalla. Il mascara cola sul suo camice immacolato: misto a quell' acqua salata i miei sensi di colpa e le mie preoccupazioni. 
"Vado a chiedere al medico di guardia che notizie ha" dice lei. Enrico mi viene in contro e mi sorregge per i gomiti: di colpo sento addosso la stanchezza. La stanchezza per la notte in bianco appena trascorsa cercando di calmare Enrico. La stanchezza data dallo stress di questo lavoro che ho desiderato con tutte le mie forze. La stanchezza che provocano i sensi di colpa per le bugie e i sotterfugi. Volevo solo vivermi la mia storia senza che nessuno si intromettesse ed invece il mio castello è crollato, come se fosse fatto di carte, al primo soffio. 
Arianna torna nella stanza dove Ferdinanda dorme in una maniera che sembra angelica accompagnata da un tipo che avrà pochi anni in più di Enrico. Indossa una tutina da dottore verde scuro e un camice bianco. All' altezza del cuore un piccolo nastrino rosa ripiegato in due è fissato sul camice con una spilla da balia. Sotto il nastrino una targhetta. 'Dott. Luca Di Rosi. Ginecologia e Ostetricia' recita la placchetta dorata. 
"Filippa, Enrico, voglio presentarvi Luca Di Rosi. Un collega e anche un carissimo amico d' infanzia. Adesso provedderà a svegliare Ferdinanda e controlleremo che sia tutto secondo norma" 
Luca ci stringe le mani e si presenta spiegandoci perché hanno preferito non svegliare subito Ferdinanda e tenerla sotto osservazione tutta la notte. 
"La signora Colacicco è arrivata qui da noi in uno stato di semi incoscienza. Presenta un feto di dodici settimane ma, anche se potrebbe non avere nessun problema fino alla nascita del bambino, consiglio di tenerla a riposo qualche settimana. So che le ultime statistiche vogliono che le donne si ritrovino a fare il primo figlio in età molto adulta ma la signora ha quasi quarant' anni e conduce una vita che la sottopone ad un livello di stress non salutare per il bambino. Mi sapete dire qualcosa del marito?" chiede Luca.
"E' sola. Qui a Milano non ha nessuno, che io sappia" gli rispondo. 
Luca si acciglia un attimo e appoggia il pollice sul mento mentre con l' indice si accarezza le basette. "Questo è un fatto che favorisce la mia tesi" commenta.
"Il bambino?" chiede Enrico. 
Ferdinanda interrompe la discussione con un colpetto di tosse. Apre gli occhi sbattendo freneticamente le palpebre. I capelli castani le scendono lungo le guance incorniciando il viso provato dalla nottata. "Filippa" biascica. 
"Signora Colacicco, buongiorno" comincia Luca "si ricorda perché è qui?" 
"Perché la mia stagista ha combinato un casino" dice Ferdinanda usando un tono leggero. "Il mio bambino?" chiede. Nei suoi occhi c'è aspettativa mista a terrore. Muove leggermente il braccio al quale è attaccata la flebo e se lo porta al ventre. Piccole goccioline di liquido attraversano il tubicino di plastica trasparente. 
"Adesso facciamo una veloce ecografia di conferma ma dovrebbe essere tutto a posto. Quando è arrivata qui ieri sera abbiamo controllato tutti i parametri e, fortunatamente, la caduta non ha provocato danni" 
Un sospiro di sollievo unanime accarezza quella stanza d' ospedale. Luca aiuta Ferdinanda a spostare la camicia da notte liberando la sua pancia appena accennata. Prende una bottiglietta che contiene una gelatina azzurro pallido e ne spreme un pochino sul ventre di Ferdinanda. "Sente freddo?" chiede Luca. 
"No, è tutto ok!" risponde il mio capo impaziente di vedere il suo piccolino. 
Luca prende il sondino e lo posa delicatamente sul corpo di Ferdinanda. Sullo schermo si intravedono macchie blu, nere e azzurrine. Nulla di definito. Poi nessuno respira più. Un suono ritmico e forte accarezza il mio udito. Tutti ascoltiamo quella nuova vita che si fa sentire forte. "Ha un bel cuoricino" dice Arianna allegra. Lei ha una passione viscerale per i bambini, anche per quelli che sono ancora solo un mucchietto di cellule. 
Mi appoggio al petto di Enrico: la lunga attesa è finita. Ferdinanda e il suo piccolo stanno bene, al resto ci penseremo domani. 
Luca e Arianna si congedano tornando ai rispettivi lavori. 
"Ferdinanda mi dispiace da morire" dice Enrico quando siamo rimasti solo noi tre.
"Ragazzi è stato solo un calo di pressione, non c'è motivo che voi vi sentiate in colpa. Da quando sono incinta so bene cosa significa essere guardinga. Non avevo mai immaginato di non riuscire a gestire la mia vita privata, di essere completamente risucchiata dagli eventi ed è per questo che capisco quello che sta succedendo a voi ma, Enrico" dice rivolgendosi al mio ragazzo (suona ancora così strano) sfatto dalla nottata "tu sai meglio di me che questo complicherebbe molto le cose a Filippa in redazione. Attirerebbe e chiacchiere e pettegolezzi e non so fino a che punto tua madre non la vedrebbe come un' arrampicatrice"
"Ed è per questo che abbiamo deciso di non dire nulla a nessuno fino a che il suo stage non sarà finito" dice lui. La sua voce è monocorde. 
"E il fatto dell' America" mormoro io. In realtà ascoltavo solo distrattamente la loro conversazione, il mio pensiero era volato oltre oceano. 
"America?" chiede Ferdinanda "di che parli?"
"Avevo fatto richiesta per il colloquio per il posto di junior editor a Vogue America e un paio di giorni fa mi hanno mandato una mail: vogliono vedermi i primi di dicembre. I miei quarantacinque giorni a Vogue sono quasi finiti" le spiego. 
"Filippa per noi sei una grande risorsa e mi dispiacerebbe perderti ma solo tu sai cosa è meglio per te. Solo tu sai dov'è casa tua".
Il problema è proprio questo: io non so più niente. Immaginavo questi quarantacinque giorni a Vogue come il preludio alla realizzazione del mio sogno di sempre. Nemmeno nei miei migliori sogni, o peggiori incubi, vedremo, avrei immaginato di innamorarmi. E' proprio vero che il miglior modo di far ridere Dio è raccontargli i tuoi piani per il futuro. 
Io ed Enrico salutiamo Ferdinanda che si assopisce, il dottore vuole tenerla a riposo ancora qualche giorno e preferisce che lei resti in ospedale. 
I lustrini del mio vestito adesso sembrano quasi spenti nella luce fioca di una mattina nuvolosa. E' novembre e siamo a Milano: c'è da aspettarsi mattine così, un po' spente. Enrico mi poggia la sua giacca sulle spalle e ci incamminiamo verso il bar dell' ospedale.
Il braccio di Enrico sulla mia spalla è l' unico posto che in quel momento riconosco come casa. 
"Mi sono innamorata di te" gli dico fermandomi di botto. 
Lui mi sorride e apre la bocca ma prima che possa dar fiato alle sue parole gli metto un dito sulle labbra per zittirlo. Se mi dovesse fermare forse non troverei mai più la forza di lasciare che siano i miei sentimenti a parlare per me, a decidere per me. 
"L' ho fatto con il cervello accettando chi sei in primo luogo razionalmente. Mi sono innamorata di te con lo stomaco e finalmente ho capito cosa sono queste benedette farfalle di cui tutti blaterano. Mi sono innamorata di te con le mani quando lascio che accarezzino le piccole rughe che ti si formano intorno agli occhi quando pensi. Mi sono innamorata con l' anima della tua essenza anche quando scappi dal tuo passato, da me. Mi sono innamorata con il cuore come non ho mai fatto prima e sono spaventata da questa cosa, sono spaventata da..."
"Sei spaventata da quello che abbiamo e dalla possibilità di perderlo" mi completa lui come se mi avesse letto nella mente "ma lascia che ti dica una cosa: fino a che guardiamo nella stessa direzione nulla di tutto questo andrà perso".
Mi prende il volto tra le mani e mi accarezza delicatamente. Sembra la scena di un film horror e d' amore insieme: trucco scolato e vestiti inadatti per la fredda e anonima mattina misti a sguardi carichi d' aspettative e cuori che hanno scoperto di battere all' unisono.
Continua...

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