lunedì 21 maggio 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 35




‘Sei proprio sicura di quello che stai facendo?’ mi chiede Arianna. 

Il nostro appartamento sembra il set di un film dell’ orrore ambientato nella redazione di un giornale di moda. Ogni angolo della casa è sommerso da scatole e pacchi. Chilometri di nastro adesivo sono stati usati per imballare, letteralmente, la nostra vita. Valigie piene di vestiti e scatole di scarpe piene di ricordi ammassati raccontano gli ultimi otto anni. 
‘In realtà, no’ ammetto a malincuore. 
‘E allora perché lo fai?’
‘Arianna, ammettiamolo, non cambierebbe nulla: praticamente vivo già da lui. E’ questa sensazione di definitivo che mi… soffoca’ 
‘Oh, per l’ amor del cielo, Filippa. Che discorsi sono? Sensazione di soffocamento? Non stai mica convolando a giuste nozze. Non hai un vestito da centomila euro nell’ armadio e oltre seicento persone che aspettano di vedertelo addosso’ scherza. 
‘Ma è come se ce l’ avessi. E se non dovesse funzionare? Se si accorge che non sono come mi ha immaginata? Non so cucinare, non so accendere l’ aspirapolvere, non so stirare una camicia’
‘Se fosse stato in cerca di una domestica, sono quasi certa, si sarebbe rivolto ad un’ agenzia specializzata’ conviene Arianna. 
‘Potresti rimanere seria per un secondo? Uno soltanto?’ la rimprovero. E’ più forte di lei: affronta la realtà con quel tocco di ironia che le permette di non perdere il controllo e di non lasciarsi andare alla confusione. 
La mia quasi ex coinquilina si sposta una ciocca di capelli rosso rame dietro l’ orecchio. Gli occhi celesti le luccicano quasi quanto il grosso brillante che porta al dito. 
‘Filippa io credo che Enrico sia certo di quello che fa’
‘E se la sua richiesta fosse solo dettata dalla gelosia per suo fratello?’ 
‘Non è la prima volta che ti chiede di trasferirti definitivamente da lui’ mi ricorda Arianna. ‘E, comunque, questo appartamento non va da nessuna parte. Non verrà riaffittato, non per il momento almeno. Io ho bisogno di un punto d' appoggio in centro e questa sarà sempre la tua stanza. So che è brutto da dirsi ma se le cose dovessero andare male tu hai ed avrai sempre un tetto sopra la testa a ripararti’ 
‘Io lo amo’ sospiro. 
‘E lui ama te. Ti ama nonostante tutto. Ti ama anche se non sai cucinare e se non sai stirare una camicia. Ti ama quando ridi e quando piangi. Ti ama quando la sera sei talmente stanca da non riuscire nemmeno a chiedergli come è andata la sua giornata. Di cos’ altro hai bisogno?’ 
La fisso negli occhi celesti e per un secondo non so cosa risponderle. 
‘Sai cosa ti dico, cara amica mia, l’ unica cosa che voglio in questo momento è un drink’ 
‘Lo sai che l’ alcool ha un sacco di calorie?’ dice Arianna con fare sorpreso. 
‘Meglio le calorie che i dubbi’ le rispondo laconica.
'Te l' ho detto che ho un vestito da cento mila euro nel quale devo necessariamente entrare?'
Di quella sera non ricordo più nulla.


‘Ci vediamo per cena?’ mi chiede Enrico mentre aggancio l’ orecchino di Bvlgari al lobo destro, di fronte lo specchio. 

‘Non posso. Dormo a Lugano stasera; Arianna ha l’ ultima prova del vestito e mi vuole con lei’ gli rispondo. 
‘Anche stanotte dormi fuori? Possibile che ne salti fuori una a sera? Una volta sei troppo stanca per tornare da Como e resti a dormire dai tuoi. Un’ altra volta hai fatto tardi per i preparativi del matrimonio e resti nel tuo appartamento. Adesso la storia di Lugano. Da quando abbiamo deciso di vivere insieme non hai mai dormito a casa nostra’ si lamenta. 
‘A casa tua. E, non per essere pignoli, ma hai deciso che saremmo andati a vivere insieme’ sottolineo. Prendo la borsa ed esco dalla stanza senza ascoltare la sua replica. I tacchi delle mie nuove Sergio Rossi di vernice blu bacchettano il marmo bianco delle scale senza pietà. Il soggiorno e l’ ingresso sono pieni di pacchi: la ditta di traslochi ha consegnato gran parte della mia roba più di una settimana fa e non ho ancora messo a posto nulla. 
Avete mai notato come diventano confusi i confini della realtà quando si agisce contro volontà? Ogni cosa diventa sfocata, ogni pensiero pasticciato, ogni azione poco chiara. 
In questo momento è così che mi sento: trasportata dagli eventi. 
Ho acconsentito a trasferirmi a casa di Enrico senza volerlo davvero. No, riavvolgiamo un attimo. Non è che non voglia vivere con lui è che avrei preferito che non mi fosse imposto. Ho sempre scelto liberamente, nella mia vita, e sono fuggita lontana chilometri dalle scelte imposte. Difatti non sono un dannato avvocato. 
Volevo che questa scelta fosse spontanea: un epilogo naturale per due persone che sono felici di stare insieme e non uno stupido contentino in un momento in cui la gelosia la fa da padrona. 
Allontano quel pensiero, come ogni mattina da quando vivo ufficiosamente qui (i miei non lo sanno ancora), e prendo una boccata d’ aria fresca. Marzo è alle porte e Milano si sta togliendo il cappotto in favore di un trench leggero in vista della primavera. 
Devo ammettere che non dover prendere nessun mezzo di trasporto per arrivare in redazione è uno dei motivi per i quali non sono ancora esplosa. 
Arianna mi ha detto che mi sto comportando come una bambina capricciosa. Sostiene che non è fondamentale il modo, quanto il risultato ma non posso che non essere d’ accordo. Se fosse così, se vivessimo in questa perenne convinzione che il fine giustifica davvero i mezzi, non ci sarebbe più poesia, romanticismo. Che senso ha l’ amore senza questi ingredienti? Datemi pure della sciocca, della sognatrice e dell’ infantile ma per me certe cose devono andare così. Allora aboliamo gli uomini in ginocchio durante le proposte di matrimonio. Bandiamo le lacrime durante gli anniversari e i mazzi di rose rosse a San Valentino. Viviamo l’ amore come una serie di compromessi; come se stessimo rispettando un contratto o stessimo recitando la sceneggiatura malata di un Cupido ubriaco ed impegnato a grattarsi la pancia, che si annoia a fare il suo lavoro. Alla fine della storia io voglio ricordarmi quei momenti che mi hanno fatto formicolare la pancia; voglio poter raccontare ai miei nipoti di quella volta che ho visto l’ emozione dell’ attesa di una risposta negli occhi di Enrico e non il risultato di una sciocca ripicca nei confronti di suo fratello. E, come se non bastasse, chi mi assicura che Enrico voglia fare sul serio questo passo? Quello che crede di aver visto in piscina, a Gibilterra, ha inevitabilmente smosso qualcosa nella sua sicurezza che l’ ha fatto vacillare. E se mi avesse chiesto di trasferirmi da lui solo per colmare qualche lacuna? Solo per dimostrare che io sono sua e che Davide non può avermi?
Mi faccio strada verso gli ascensori. Per un attimo avevo dimenticato che oggi torna Anita. Il giornale è uscito in edicola puntualmente e, se tutto va bene, non saprà mai che cosa è successo con quelle maledette fotografie. 
Lara Ferrandi s’è data malata ed è più di una settimana che non si fa vedere. Sinceramente non so come comportarmi. Dovrei denunciare il suo operato ad Anita? Stare zitta? Prenderla a mazzate? L’ ultima ipotesi è quella che mi aggrada di più, lo ammetto. Spiderman diceva che ‘da grandi poteri derivano grandi responsabilità’ e mi sa che aveva ragione. Non devo salvare il mondo, a differenza sua, ma ammettiamo che Anita ha il potere di annientarmi solo con lo sguardo. 
Sospiro. 
Senza nemmeno rendermene conto sono già seduta alla mia scrivania. 
Vedo Thomas attraversare l’ open space con alcune sacche porta abito in braccio. Lo fermo. 
‘Notizie di Lara?’ chiedo noncurante. 
‘No. Nessuna. Sta ancora male’ dice lui con sguardo colpevole. 
‘Dev’ essere un virus parecchio resistente’ commento sarcastica. 
‘Con tutte le porcherie che mettono nel cibo’ mi spiega Thomas. Ondeggia la testa da un lato e dall’ altro come se stesse cercando di convalidare la sua tesi ai miei occhi. 
‘Thomas rintraccia Lara e dille che la voglio nel mio ufficio non più tardi di questo pomeriggio’ dico. Il mio tono lo mette in allarme. 
‘E’ successo qualcosa?’ chiede lui. 
‘Mi vuoi dire che non ne sai nulla?’ indago ‘voi due siete come il gatto e la volpe’. 
‘Cercherò di rintracciarla’ mi assicura con la coda tra le gambe. Esce dal mio ufficio in fretta e furia. 
Sulla scrivania sono accatastate cartelle su cartelle. Raccoglitori di foto e proposte di collaborazioni. 
Il mio cellulare intona la marcia nuziale. E’ Arianna; le ho assegnato questa suoneria da quando ho saputo che si sposa. 
‘Qui testimone della sposa’ rispondo. 
‘Vieni a dormire a Lugano stanotte?’ chiede senza nemmeno salutare. 
‘Si, se non è un problema. Se no rimango in centro. Anche se, a pensarci bene, nel nostro appartamento non ho quasi più nulla. Ma tu come lo sai?’ 
‘Me l’ ha detto Enrico. Stai facendo ammattire quel ragazzo con queste fughe notturne’ 
‘Lo so ma non voglio litigare con lui’ piagnucolo. 
‘Sei una codarda. Ti aspetto per le sei e mezza in ospedale e ti do un passaggio in macchina’ 
‘Grazie mille Arianna’ so che ha capito. 
‘Qui la sposa. Passo e chiudo’ riattacca. 
Perché Enrico ha chiamato Arianna? Pensa che passi le notti con Davide? 
Il telefono sulla mia scrivania suona. 
‘Filippa vieni immediatamente nell’ ufficio di Anita’ tuona con ferocia l’ assistente del mio capo. 
Non so perché ma un brivido di terrore mi percorre la schiena. Ripercorro mentalmente tutto il mio operato da quando ho avuto la promozione. Ho fatto qualcosa di male? Non lo so. In questo momento il mio giudizio è talmente annebbiato dal terrore che non riesco a ragionare lucidamente. 
Mi affretto verso l’ ufficio del direttore. Attraverso l’ open space: tutti sembrano normalmente impegnati nelle loro attività. 
Spio furtivamente attraverso le vetrate che danno sull’ ufficio di Anita e la vedo. Lei, la maledettissima stronza che mi stava bruciando la carriera. Stretta in un fasciante tubino rosso fuoco di J. Mendel, Lara Ferrandi è accovacciata su una delle due sedie che gesticola animatamente. 
Che diavolo starà dicendo ad Anita?
Busso ferocemente sulla porta di vetro dell’ ufficio di Anita ed entro senza aspettare il permesso dall’ interno. 
‘Anita, mi ha fatto chiamare?’ chiedo nervosamente. Rivolgo un sorriso maligno e compiaciuto a Lara e mi siedo accanto a lei. 
‘Filippa, Lara mi stava raccontando del disastro delle foto. Perché non mi hai detto nulla? E’ gravissimo quello che è accaduto’
Sono senza parole. La faccia tosta di questa ragazza è inimmaginabile. Se ne sta li, composta, con le gambe accavallate e le mani giunte in grembo a fissarmi. Mi punta addosso quelle due lanterne finto celesti con fare innocente. 
‘Non possiamo permetterci distrazioni di questo genere’ riprende Anita ‘ogni servizio fotografico proposto su Vogue porta al giornale migliaia di euro. Se qualcosa dovesse andare storto sono io che ne rispondo con i piani alti. Lara mi ha detto che non avevi idea di dove fossero le foto’ 
Mi gira la testa. Sento la rabbia che mi esplode dentro. La bile mi sta salendo al cervello e ho la vista annebbiata. Non so cosa mi trattenga, ferma ed immobile, fredda come il ghiaccio, dall’ avventarmi alla sua giugulare. Quella lurida puttanella. 
‘Forse, Anita, dovrebbe chiedere a Lara dove Roni ha trovato quelle fotografie’ comincio cercando di apparire il più calma possibile. E, vi giuro, non è semplice. Se non mi fossi trovata in un ufficio dalle pareti trasparenti, davanti il mio capo non che madre dell’ uomo con il quale condivido una casa, non so cosa avrei fatto a quella finta bionda. Si da malata per una settimana e poi riappare magicamente quando torna Anita per raccontarle delle foto? Ma che faccia tosta. 
‘Roni? L’ amico di mio figlio Davide?’ chiede Anita stranita. 
‘E’ stato grazie a lui che abbiamo ritrovato le foto in tempo. Ha salvato l’ uscita del giornale. Dopo che il book era stato approvato e consegnato a Gerome io mi sono dovuta assentare per qualche giorno per… problemi personali’ spiego ad Anita. 
‘Spero nulla di grave’ conviene lei. Il suo tono ha un che di strano; come se sapesse dove mi trovavo.
Lara inizia a contorcersi sulla sedia. Finalmente comincia a sparire quell’ aura di sicurezza dal suo volto. 
Racconto ad Anita, non tralasciando nulla, quello che Roni ha scoperto. Le foto erano sparite dal book approvato e le copie erano state magicamente ritrovate sul portatile di Lara che era poi sparita fino a questo momento. 
Anita soppesa le mie parole e rotea gli occhi. ‘Tutto questo è grottesco’ commenta. 
‘Sono assolutamente d’ accordo. Avevo intenzione di parlare con Lara prima di disturbarti ma vedo che lei mi ha preceduto senza che io avessi la possibilità di chiarire. Ovviamente questo non è il clima nel quale ho intenzione di lavorare. Devo potermi fidare dei miei collaboratori. Devo poter affidare foto ma centinaia di migliaia di euro a Lara e Thomas senza il terrore di vederle sparire per scaramucce o invidie’ ammetto. 
Lara è una lastra di vetro freddo. Il suo sguardo vitreo è fisso su Anita. Ondeggia le pupille come l’ imputato che aspetta il verdetto del suo processo. Si trova in quel punto di mezzo tra la sentenza di ergastolo e quella di libertà. 
‘Pensi di poterti ancora fidare di lei?’ mi chiede Anita. Sembra davvero costernata, indecisa su quale strada intraprendere. 
‘No’ le rispondo secca. 
‘Io mi fido del tuo giudizio, Filippa. Ho completa fiducia in te’ sospira Anita. 
‘Che cosa vorrebbe dire, Anita?’ sbotta Lara. Si mette in piedi e sbatte le mani sulla scrivania di Anita. La spessa lastra di vetro trema sotto la rabbia della ragazza. Le vene bluastre che le attraversano le braccia si gonfiano di rabbia e tremano. 
‘Dovremo porre fine alla tua collaborazione con la rivista prima del tempo. Non posso permettere che succedano più cose del genere. Questo non è un gioco, ragazzina’ dice Anita severa. Il suo tono di voce non ammette repliche ma non si scompone di una virgola. Ha le mani giunte ad uno schiocco di dita dal viso. L’ indice della mano destra è alzato e si appoggia, di tanto in tanto, alle labbra.
‘Lei non mi può licenziare o io la denuncio’ ringhia Lara. La pelle del viso è tirata. Un pallido rossore le invade il volto. 
‘Accomodati’ le risponde Anita noncurante. 
‘Me la pagherai, stupida ragazzina arrivista. Sei solo una sciocca se pensi che questo non avrà conseguenze. Tu non ti meriti quel posto di lavoro, io sono la migliore! Il fatto che i figli di Anita stravedano per te non ti salverà quando mi vendicherò. Stupida raccomandata’ Lara mi scaraventa addosso una serie di ingiurie ed auto celebrazioni fino a che Anita non la ferma. 
‘E’ ora di andare’ dice. I suoi occhi di ghiaccio sono severi, ipnotici quasi. Lara afferra uno dei ninnoli di cristallo sulla scrivania di Anita e lo scaraventa a terra. Sobbalzo. Anita, invece, non si scompone. E’ fredda ed impassibile come una statua di marmo. 
Lara lascia l’ ufficio sbattendo nervosamente i tacchi sul pavimento di granito grigio pallido. 
‘Grazie per avermi creduto’ dico ad Anita. 
I suoi morbidi capelli biondi le ricadono i riccioli arruffati lungo le spalle. E’ appoggiata sul piano trasparente della sua scrivania che non sembra nemmeno accorgersene, tanto è leggera. Minuta, stretta del suo austero tubino rosso rubino di broccato, un personale regalo di Karl Lagerfeld per il suo compleanno, sembra spaesata da quello che è appena successo. 
‘Filippa, le sorti di Vogue sono il mio unico interesse. Davide mi aveva già messo al corrente di tutto la sera stessa che siete tornati a Milano da Gibilterra. Hai gestito la situazione come una vera professionista e ti sono grata per questo. Ho la certezza di poter contare sulla tua lealtà ed è questo il motivo per il quale ti ho appena concesso la mia. Voglio essere chiara su una cosa: a me non interessa con chi vai a dormire la sera. Non me ne importa se tu ti infili nel letto di uno diverso ogni notte purché il tuo lavoro qui sia irreprensibile. Ma mi importa di Enrico. E mi importa ancora di più di Davide. Non ho un rapporto confidenziale con lui, e credo tu ne sia al corrente. Non so cosa gli passi per la testa e perché si dia tanta pena per te. Non fraintendermi, sei una splendida persona e nessuno ne sta dubitando ma tu stai con Enrico. E questa è una cosa che lui deve tenere ben presente tanto quanto non devo curarmene io. Tu hai avuto questo posto di lavoro perché te lo meriti e non perché mio figlio si è infatuato di te. In questa rivista ci sono i vent’ anni più faticosi della mia vita, non si diventa Anita Lozzani senza rinunce. Ho rinunciato alla mia famiglia, alla mia vita, per seguire questo cammino. Ho perso il sonno e la ragione, in certi momenti, per far si che Vogue fosse eccellente. Nessuno può e deve permettersi di mettere in dubbio il mio giudizio. Nessuno’ 
Anita gira intorno alla scrivania e si va a sedere sulla sua poltrona di designe. 
Vorrei dire qualcosa ma, sinceramente, non mi viene in mente nulla. Ho la testa sotto sopra. 
‘Puoi andare. Mi pare che tu abbia un fotografo da contattare per quel servizio sui pois’ conclude Anita. 
Esco dal suo ufficio, quasi in punta di piedi, e mi chiudo la porta alle spalle. Sento il suo sguardo bruciarmi sulla schiena.


Anche questa giornata è finalmente volta al termine. Controllo l’ orologio, sono le sei del pomeriggio. Devo fare in fretta se voglio arrivare puntuale all’ appuntamento con Arianna. Prendo il cappotto e la borsa e mi fiondo agli ascensori. Saluto con un gesto della mano i pochi avventori dell’ open space ed entro dentro il gabbiotto mobile. Ho la testa pesante e fatico a tenere gli occhi aperti. Comincio a risentire di tutto lo stress della giornata. 

Mi torna in mente Lara Ferrandi. Così accecata dall’ invidia da essersi scavata la fossa con le sue stesse mani. Non le importava un fico secco di tutto il lavoro che c’ era dietro quelle fotografie. Avrebbe lasciato che il giornale uscisse in edicola con sedici pagine bianche pur di  non ammettere di essere stata lei a far sparire quelle foto. Per guadagnarci cosa, poi? Anita mi avrebbe licenziato? E allora? Se l’ avesse voluta per il posto di Ferdinanda l’ avrebbe scelta. Detesto queste genere di cose; detesto la competizione quando non porta nulla di buono; quando non è stimolante e costruttiva.
Mi incammino fino alla piazzola dei taxi, in piazza Cadorna, oltre la stazione ferroviaria, e mi metto in fila. 
‘Hai bisogno di un passaggio?’ mi chiede una voce familiare, alle spalle. 
Mi giro e sospiro. 
Enrico, stretto in un giubbotto di pelle marrone scuro, con il collo avvolto in una morbida sciarpa di lana pregiata, mi sorride. Mi sorride in quel modo romantico e compiaciuto di chi ha appena sorpreso la donna che ama. 
‘Mi porti a Lugano?’ gli chiedo maliziosa. 
‘Ti porto dovunque vuoi’ mi risponde. Mi tende la mano affusolata. Poggio la mia sulla sua. Il suo tocco delicato stringe le mie dita e, per un secondo, rivedo dentro i suoi occhi la stessa voglia di me che aveva quando ci siamo visti la prima volta. Per un secondo mi dimentico perché sono seccata con lui. Ha questo potere ipnotizzante che mi fa scordare tutto. 
Lo seguo fino alla sua jeep, in silenzio, mano nella mano. Chi ci guarda dall’ esterno vede una coppia. Due persone che si sono scelte e che guardano la fine di un altro giorno insieme. 
Il traffico per lasciare il centro di Milano è impressionante. Rimaniamo quasi un’ ora in fila prima di poter prendere la statale verso la Svizzera. 
‘Mi spiace di averti messo davanti al fatto compiuto’ dice ad un tratto. 
Sotto di noi, il lago di Como luccica baciato dai raggi di una luna tonda e piena. Le montagne che gli fanno da cornice, si tuffano nell’ acqua scura in un abbraccio quasi incantato. L’ acqua si plasma accondiscendente sulle rocce, ondeggiando di tanto in tanto, spinta dal vento. Le casine, talmente piccole viste da quassù, sono illuminate. Nessuna barca rompe quella lastra flessibile e blu. 
‘Mi sono sentita forzata’ gli confesso.
‘Lo so’ 
‘Non credere che sia perché non voglio vivere con te o perché c’ entri qualcosa Davide. Ti amo Enrico. Ti amo come non ho mai fatto ma non voglio che questo condizioni le mie scelte; non voglio assecondare i tuoi deliri solo per farti contento. Come non voglio che le tue vengano consigliate da amiche cattive quali gelosia ed insicurezza’ 
‘Vedere le mani di mio fratello sulla tua schiena mi ha fatto impazzire. Non ci ho visto più, avevo bisogno di marcare il mio territorio. Capisci che intendo?’ mi chiede Enrico. 
‘Non hai bisogno di marcare nulla. Non sono una tua proprietà, non hai bisogno di sguinzagliare i carrarmati, non è una partita di Risiko tra te e Davide alla conquista del territorio Filippa. Io resterò con te fino a che lo vorrò. Fino a che averti vicino mi farà stare bene. Nel momento in cui questo non sarà più così e scoprirò che il mio cuore non appartiene più a te, sarai il primo a saperlo. Te lo prometto’ gli dico nella maniera più onesta che conosco. 
Siamo a due passi da Lugano. Le montagne svizzere ci danno il benvenuto avvolte da una coperta di cielo e stelle. 
‘Torniamo a casa?’ gli chiedo. 
‘A casa nostra?’ 
‘A casa nostra. Ma sappi che quegli orribili monili di legno scuro che hai in soggiorno spariranno presto’ scherzo. Beh, in realtà, mica tanto: quelle due orribili statuette piene di corna e spuntoni sono davvero inquietanti. 
‘Me le ha portate Anita la prima volta che è stata in Kenya, dieci anni fa’ protesta. 
Gli stringo la mano, avvinghiata al cambio. Lui se la porta alla bocca e vi poggia su le labbra. 
Non volevo niente di più di questo: che la decisione di vivere insieme fosse spontanea. Era chiedere la luna? No, appunto. 



‘Ti ha detto Arianna di venirmi a prendere?’ gli chiedo mentre avvolge le due statuette africane in morbidi panni di cotone per non rovinarle. 
Enrico alza lo sguardo e mi sorride. 
‘Tienitela stretta, quella ragazza ti vuole molto bene’ conviene lui.

Continua... 
 


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