‘Torni a casa con me?’ chiede Enrico. Si affaccia, piegando
il busto, alla porta del mio ufficio. Sorride.
Alzo lo sguardo dal computer e sfilo gli occhiali da lettura. Sgranchisco le
gambe. Da quante ore sono seduta a questa scrivania? Troppe, senz’ altro. Sfilo
le scarpe altissime di Gucci dai piedi e mi alzo dalla sedia. In ufficio ci
siamo solo noi: Anita non approverebbe mai che una delle sue dipendenti giri
per gli uffici senza scarpe.
‘Ne avrò ancora per due ore’ gli rispondo amareggiata. Il numero di giugno è in
chiusura il che significa che bisogna controllare e ricontrollare tutto almeno
quindici volte prima di far vedere il book definito ad Anita.
‘Sono quasi le nove di sera’ piagnucola Enrico.
‘Lo so e mi dispiace ma sai quanto sia frenetico questo periodo del mese.
Abbiamo fatto avanti e indietro da Parigi e Londra cento volte per il servizio
di punta e sembra che ci sia ancora qualcosa che non va’ gli spiego.
Mi avvicino alla finestra del mio ufficio e fisso la piazza illuminata sotto di
me. Il sole ha lasciato il cielo da pochissimo e i lampioni formano una lunga
scia che si perde dietro l’ angolo. Casa nostra è dall’ altra parte della
rotonda, oltre l’ agenzia di viaggi alla fine della strada.
Enrico si avvicina e mi abbraccia. Mi accarezza le braccia, delicatamente, con
la punta delle dita. Fa scivolare piano i suoi polpastrelli sulla pelle nuda.
‘Mi piace questo vestito’ mi sussurra sul collo.
‘E’ di Marchesa’ dico sorridendo.
‘La stoffa è eccellente’ dice accarezzando la cerniera che si allunga sul mio
fianco sinistro. Su e giù, senza abbassarla.
‘Il miglior pizzo francese, cucito a mano e adagiato su una sottoveste di
pregiatissima seta di cotone’ spiego.
‘Anche il colore è divino’ riprende Enrico. Con un braccio mi cinge la vita
mentre con l’ altro mi accarezza. Dal collo fino al polso, piano.
‘Ho sempre pensato che il rosso fragola mi stesse d’ incanto. Devono essere i
capelli scuri’ lo assecondo.
‘Si, sono decisamente i capelli scuri, Filippa’ la sua mano si ferma sulla mia
coscia. Sento la pelle riscaldarsi. L’ orlo del vestito si alza visibilmente al
suo tocco. Le sue labbra carnose si divertono sul mio collo. Con le mani sposta
i capelli e pian piano capisco dove vuole andare a parare.
Sembra passato un secolo dall’ ultima volta in cui ci siamo lasciati andare
così, spensierati e incoscienti.
La cerniera del mio bellissimo vestito rosso fragola di Marchesa si abbassa
sotto le sue mani. Enrico mi fa voltare senza spostarsi di un centimetro. Il
suo corpo scolpito, il suo alito fresco, la sua eccitazione, le sue mani, la
sua voglia… tutto è su di me, desideroso.
Ci lasciamo andare peccaminosi sul divanetto in pelle scamosciata color
champagne, che ho ordinato il giorno stesso della promozione e che sto ancora
pagando.
Se penso all’ anno appena trascorso mi sembra tutta una
follia. La mia vita è cambiata nel giro di un secondo. Anita Sozzani, direttore
di Vogue Italia e detentrice indiscussa di potere nel regno del fashion system,
ha mosso le mie sorti come il burattinaio di un teatrino. Ha cambiato i miei
stracci in abiti di sartoria. Ok, non esageriamo, durante il mio colloquio per
lo stage indossavo Prabal Gurung: un abitino di lana grossa verde smeraldo! Ha
deciso che il mio nome meritava un posto sulla Walk of fame. Non la banalissima
strada di Hollywood su cui io ed Enrico
abbiamo passeggiato quest’ estate come due turisti; con tanto di cappellino per
il sole e crema protettiva sulle spalle e sul naso. No, non quella. Anita ha
inciso il mio nome sulle quella lunga strada a tornanti che porta all’ Olimpo
della moda: Vogue. Ho stretto la mano di Karl Lagerfeld; ho pranzato con Carolina
Herrera che mi ha rivelato il segreto della sua famosa torta di mele: una
spolverata di cannella prima di infornare; Ho passeggiato per Parigi al braccio di Valentino; ho visto sfilare le modelle più belle del mondo, snodate e
ondeggianti sulle loro gambe chilometriche. Ho toccato le fotografie scattate
dai migliori e indossato le creazioni di visionari artisti.
Ho lavorato anche quindici ore al giorno pur di non deluderla. Ha creduto in me
in un modo del tutto inaspettato: con il cuore. Ma di questo, forse, vi
racconterò un’ altra volta.
Il mio cellulare canticchia, è un sms. E’ Ferdinanda. Da quando è diventata
mamma, sei mesi fa, non fa altro che invitarmi ad eventi legati all’ infanzia.
Mi fa gli auguri per l’ anno nuovo. Ha mandato una foto del piccolo Elia con
addosso solo un pannolino rosso. Sorrido di quell' immagine e, silenziosamente, la ringrazio per aver creduto in me.
Il mio cellulare suona ancora: la mezzanotte in Italia è vicina e tutti si fanno
gli auguri. E’ Arianna. Vi ho detto che si è trasferita in Namibia? Da non
crederci. A Lady Arleene è venuto un colpo, povera donna. Arianna e Luca hanno
deciso di finanziare un progetto umanitario che prevede la costruzione di una
scuola elementare e, udite udite, di un ospedale pediatrico. Arianna blaterava
di questo sogno da una vita ma, mai e poi mai, avrei creduto che prendeva armi
e bagagli e si trasferiva in Africa! Due mesi dopo il matrimonio erano già su
tutti i giornali: hanno organizzato feste e party di beneficenza ed hanno
coinvolto nel loro progetto visionario i nomi più pomposi del mondo: Trump,
Gates, Zuckeberg; divi del cinema e aristocratici inglesi riuniti nella loro
meravigliosa casa alle porte di Milano. Alla fine dell’ estate ci siamo
salutate, partivano per la Namibia e non si sa quando avrebbero fatto ritorno.
Arianna ha il cuore grande come il suo conto in banca e insieme a suo marito
cambieranno le sorti di moltissimi bambini.
‘Buon anno. Goditi la neve di New York e organizzati presto per raggiungermi.
Un bacio, Arianna. P.S.: Non preoccuparti, non ho smesso di laccarmi le unghie:
sarà pure l’ Africa nera ma la mia migliore amica rimane sempre un pezzo grosso
di Vogue’ recita il suo sms.
Una lacrima mi riga il viso ma è solo nostalgia. Sotto di me il traffico della
Grande Mela. Non ve l’ ho detto? Abbiamo deciso di concludere quest’ anno
esattamente dove è cominciato. Il padre di Enrico non è stato molto bene
durante l’ inverno; mi sembra di aver capito che c’ entrasse il cuore ma ora è
tutto sistemato. Ci siamo davvero spaventati, soprattutto Ina. Ha perso quasi
il controllo al pensiero di non avere più il marito accanto. Non vi nego che
vederla in quelle condizioni, con i capelli stretti in una coda di cavallo, la
pelle bianca e tirata e l’ espressione invecchiata di cent’ anni mi ha fatto
riflettere. Ogni giorno, quando usciamo di casa, rischiamo di non farvi più
ritorno. Ci addentriamo nei meandri di quel labirinto pieno di insidie che è la
vita, inconsapevoli di dove ci porterà il prossimo passo. E forse è questo che mi
spaventa più di tutto dell’ amore: la possibilità di perdere quell’ unica persona
che ha in mano il mio cuore. Si sopravvive a cose del genere? Spero di non
doverlo mai scoprire.
Ina era devastata, procedeva per inerzia e l’ unica cosa da fare era venire in
suo soccorso. Tra settembre e novembre, ho accumulato così tante miglia aeree,
per raggiungere la famiglia Carrisi a New York nei week end, che l’ Alitalia mi
ha regalato un viaggio per la Nuova Zelanda.
Ma, come si dice, non tutto il male viene per nuocere. Enrico e Davide si sono
trovati, spalla a spalla, a fronteggiare il dolore e la possibilità di
ritrovarsi soli e questo non solo li ha riavvicinati, ma ha permesso loro di
riscoprirsi. Enrico non torna a Milano da ottobre e questi mesi insieme al
fratello sono stati unici. Posso dire che ve l’ avevo detto? Lo dico. Io l’
avevo detto. Quei due avevano solo bisogno di parlare. Magari non di tutto, è
ovvio. Enrico non sa del piccolo incidente di un anno fa tra me e suo fratello
e, forse, è meglio così. Hanno scoperto che le loro vite, ognuno con un
genitore diverso, sono state completamente diverse sul piano gestionale, eppure
estremamente simili sul piano emotivo. Si sono sentiti soli tante volte e tante
volte hanno sperato che l’ altro genitore tornasse nella loro vita. E mentre
Davide frequentava le scuole migliori d’ America, Enrico lottava per ammettere la
sua bravura come fotografo. Davide diventava un mago della finanza; Enrico un
fotografo eccezionale. A Davide mancava Anita; ad Enrico il padre. Sono
cresciuti colmando le mancanze dei genitori, separati dall’ unica cosa che li
doveva unire: la solitudine.
Tra me e Davide è rimasto un alone di freddezza che preferisco non rompere.
Troppe volte mi sono ritrovata, stretta a lui, a dover combattere con una
voglia che non voglio scoprire che natura abbia. Passione? Evasione? Sesso?
Attrazione? Non di certo amore.
Abbasso lo sguardo sulla strada. Il semaforo alla fine della strada sotto di me
diventa rosso. Una fila di taxi gialli, intervallati da qualche sporadica
macchina, si ferma. I fari degli stop illuminano i fiocchi di neve che cadono
leggeri. La temperatura, la fuori, sarà di parecchi gradi sotto lo zero.
L’ amore è un'altra cosa. L’ amore è quello che c’è tra me ed Enrico. E’ quel
battito leggero d’ ali fra lo stomaco e l’ intestino. E’ la stima
incondizionata e la fiducia cieca. E’ come la fede. E’ inspiegabile. E’
scegliersi ogni giorno; allo scoccare dell’ alba fino alla mezzanotte. Ed è di
più. E’ la quotidianità di due persone che condividono un tetto. E’ la lista
della spesa e quella delle cose da aggiustare. E’ decidere insieme dove andare
in vacanza e quando andare a cena dai miei. E’ programmare una cena elegante in
un ristorantino del centro e mandare all’ aria tutti i piani solo perché si ha
voglia di fare l’ amore. E’ decidere di farsi separare dall’ oceano, impazzendo
per la mancanza, solo perché è giusto così. E’ il profumo di caffè alla mattina
e l’ odore della pizza la sera. In quelle sere in cui, dopo dieci ore in un set
fotografico, l’ unica cosa che vuoi è stendere le gambe sul divano ed
incrociare le sue, magari litigando per il telecomando.
E’ essere nudi e non provare imbarazzo. E’ guardare quel punto nel cielo che si
chiama futuro e decidere di volerci arrivare insieme.
‘Ehy, tesoro, sei pronta?’ mi chiede Enrico. I miei pensieri si disperdono nei
suoi occhi verdi. La barba lunga, in pieno stile newyorkese, gli incornicia le
mascelle.
‘Devo solo mettere le scarpe’ gli dico sorridendo. Stringe tra le mani una
tazza di quella brodaglia marroncina che qua chiamano caffè. Abbiamo deciso di
andare a Time Square, con i fratelli più piccoli di Enrico, a vedere la palla che
cade. E’ la prima volta che assisto a questo evento. Avremo dei posti d’
eccezione grazie ad alcune conoscenze di Alfredo Carrisi.
‘Dovresti mettere anche un maglione più pesante; ho appena sentito alla CNN che
questa sarà la notte più fredda degli ultimi venti anni’ mi suggerisce Enrico.
Gli sorrido. Stretto nel suo maglione a trecce di lana. I capelli corti, la
barba lunga, il sorriso contagioso. Dentro i suoi occhi, tutto quello di cui ho
bisogno. Gli sorrido, ancora, come una bambina.
Prendo il maglione di Missoni che mi ha regalato Margherita Missoni in persona
per Natale e lo metto sopra la maglia che indosso.
‘Andiamo’ gli dico.
Mi tende la mano. Poso la mia sulla sua. Per questa volta e per le prossime
mille.
Con affetto, Filippa.
Continua...
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Oddio..lacrimuccia *_*
RispondiEliminaquel continua mi da speranza però, che intenzioni hai Robi?
Oddiooooooooooo....prima scrivi The End e poi continua..... Ci strazierai tutti quanti fino a che non chiarirai questo dubbio amletico!
RispondiEliminaAlessandro - http://www.thefashioncommentator.blogspot.it
si ok, davide ed enrico hanno fatto pace... ma davide resta sempre antipatico :D
RispondiEliminacontinua?? allora la mia idea della seconda stagione forse era giusta!!
Continua?????.....grazie :))))))
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