martedì 15 marzo 2016

Giorno 75 - Figlio mio, devo andare a lavurà!

Giorno 75 - 15 Marzo 2016

Si è scatenato il solito putiferio dopo che alla Meloni è stato detto di stare a casa a far la mamma piuttosto che il sindaco di Roma. Si è scatenato un putiferio in cui le femministe gridano indegnate contro il solito pensiero sessista e retrogrado. Si è scatenato il putiferio come se stare a casa e fare la mamma fosse una brutta cosa.

Io sono stata a casa con mia figlia sette mesi e sono stati i mesi più belli della mia vita, lo dico con estrema convinzione. È stato tutto difficile, nuovo, stressante fisicamente e psicologicamente ma estremamente bello e gratificante. Ogni progresso di mia figlia per me è stata una vittoria che mi ha regalato gratificazione e sorrisi. Ogni nottata in bianco è stata massacrante come un turno di dodici ore all' ospedale. 

E, anche se è verissimo che la gravidanza non è una malattia, è comunque un periodo delicato nella vita di una donna e mi fa ridere che un uomo lo capisca più di una donna stessa. 

In più, ho letto un articolo di Vanity Fair in cui si asserisce che una donna è perfettamente in grado di tornare a lavoro già una settimana dopo il parto. Beh, non so che tipo di parto avete avuto voi, ma io una settimana esatta dopo il parto non riuscivo ancora nemmeno a mettermi in piedi per bene. Avevo i punti che tiravano ed ero talmente imbottita di anti dolorifici che se solo mi fossi messa alla guida sarebbe stato un disastro. Ma più che fisicamente, per me sarebbe stato impensabile moralmente: staccarmi dalla creatura era inpossibile. Così piccola, così dipendente.

Ma non è tanto questo il punto quanto il fatto che in Italia, a differenza di molti altri paesi europei e non, la maternità non è tutelata. Se sei dipendente devi rientrare al terzo mese di vita del bambino e se eserciti la libera professione, beh, sono letteralmente cazzi tuoi. Qui o scappi a lavoro appena finita la maternità obbligatoria, vista come una sorta di contentino e non un diritto vero e proprio, o lo perdi. 
E poi ci chiediamo perché quella dei nostri figli sarà la generazione dei figli unici.

Io potevo rimanere a casa fino al primo anno compiuto di mia figlia ma ho deciso di rientrare dopo il periodo obbligatorio. 
Per necessità? Per volontà? 
Per entrambe. 
Voglio lavorare perché ho studiato per diventare quello che sono. Ho buttato sangue e sudore. Voglio lavorare perché mia figlia un giorno crescerà e vorrà una mamma serena e realizzata e per me il lavoro è realizzante. 
Voglio lavorare perché non mi va di chiedere a nessuno i dieci euro per comprarmi gli stracci da H&M e per rispondere a mio marito che la roba che compro da Tiger non sono cianfrusaglie inutili! 
Quindi per scelta e per necessità (visto che non ho ancora ereditato una catena alberghiera ma ci stiamo lavorando). 
Voglio dare a mia figlia tutto e anche di più e questo posso farlo solo lavorando. 
Ci sono giorni che esco di casa che la Pupina ancora dorme e torno che lei è già a letto per la notte. Ci sono giorni in cui vorrei solo mettermi a letto per quanto sono stanca e invece gioco all' aeroplanino per farla mangiare. Ci sono giorni in cui la casa con la bambina mi sembra una prigione bianca e non vedo l'ora che inizi il mio turno. Ed questo il succo di tutto: la donna è costretta all' equilibrio, a fare il doppio del lavoro rispetto a 50 anni fa e ad aver riconosciuto poco o niente. 

Robi 



15 Marzo 2016 - Tanto poi ritorno da te. 

Come mai - 883








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