venerdì 2 settembre 2016

Giorno 244 - Cara Robi...

Giorno 244 - 2 Settembre 2016 

Cara Robi,
ho letto la tua lettera al Ministro Boldrin e ho sorriso. E ho pianto. 
Se mi permetti, voglio rubarti due minuti per raccontarti la mia, di storia. 

Mi chiamo V., ho trentasette anni e sono sposata da undici con un uomo fantastico. Talmente fantastico che è ancora assieme a me nonostante tutto. nonostante io sia rotta. La prima a dirmelo fu sua madre, più o meno tre anni dopo il nostro matrimonio, quando non c'erano ancora bambini. Lui, mio marito, figlio unico. trattato come un principe in casa sua, doveva dare un erede a tutti i costi. 
Io ho cominciato a lavorare giovanissima: dopo la laurea in economia a ventitrè anni riuscì ad entrare in una banca prestigiosa, dove lavoro ancora adesso. Il mio stipendio è buono. Le mie ore sono giuste. Avrei avuto tutto il tempo di dedicarmi ad un bambino. Anche due, se non tre. Due anni dopo, quando avevo ventisei anni, io e il ragazzo con cui stavo dal liceo, ci sposammo.
Io volevo dei bambini, è ovvio. Mia madre voleva dei nipoti. Mia suocera pretendeva dei nipoti. Così iniziammo ad avere dei rapporti completi per gioco già durante il viaggio di nozze in Grecia.
Un anno dopo non c'era ancora nessun bambino.
Mi dicevo: non preoccuparti, arriverà, sei giovane. 
Tre anni dopo, durante una cena con le nostre rispettive famiglie e mia cognata, sposata con mio fratello da meno di un anno, con un bambino tra le braccia, arrivò per la prima volta la fatidica frecciatina. 
"Hai quasi trent' anni, che stai aspettando?" 
Cosa stavo aspettando? Io stavo aspettando che un bambino venisse a benedirci. Questo stavo aspettando. Calarono gli sguardi e così io e mio marito decidemmo di affidarci ad uno specialista.
Il risultato fu che non c'era nulla che non andava. Sia io che lui eravamo perfettamente funzionanti.
E mentre intorno a me crescevano le pance delle mie amiche, dentro di me cresceva solo la tristezza. Io un bambino lo volevo. Lo volevo a tutti i costi. 
A quelle che dicono che un bambino non lo vogliono, che sono complete così io ci credo sempre poco. Quelle scuse le ho usate anche io. Miliardi di volte. 
Sono troppo presa dal lavoro adesso.
Stiamo bene così.
Vogliamo goderci il matrimonio.
Vogliamo viaggiare.
E tante altre stupidaggini che vogliono dire solo una cosa: bambini non ne stanno arrivando.
Ho incominciato a piangere silenziosamente ogni mese. Ad ogni ciclo, una nuova sconfitta. Ad ogni mestruazione un colpo al cuore. Cosa diavolo c'era che non andava in noi?
Mio marito mi stava accanto, mi sosteneva al meglio delle sue capacità, ma lo vedevo che anche lui era deluso. Gli uomini desiderano un figlio più di noi: per loro è una sorta di istinto animale la paternità, è una continuazione di loro stessi, del loro nome, della loro specie.
A trentadue anni suonati e con sei anni di tentativi falliti alle spalle decidemmo di affidarci ad uno specialista della fertilità e li cominciarono i due anni più brutti della mia esistenza. Due anni bui fatti di siringhe, di ormoni, di speranze vane, di dolore ad ogni parte del corpo. Ero diventata l'ombra di me stessa. Della V. che conoscevo e conoscevano tutti era rimasto poco o nulla.
Ero diventato un colabrodo privo di vita.
Due anni lunghissimi fatti di bombardamenti ormonali e silenzi. Di dolore e sconfitta.
Perché non ottenni nulla. Non riuscì mai a rimanere incinta. Mai.
Ovviamente i commenti di quelli intorno a noi si sprecavano.
Non vi siete divertiti abbastanza? Ci chiesero un giorno. Non è ora di mettere su famiglia?
In quei due anni e nei quattro precedenti lo stato che oggi ci invita a procreare dov'era? Io ho speso tutti i miei risparmi in cure che si sono rivelate solo inutili. Ho speso tutte le mie energie senza poterne parlare mai liberamente con nessuno. Ho messo a repentaglio il mio matrimonio ossessionata da una famiglia che non avrei mai avuto. Perché una coppia non è una famiglia: una famiglia sono i figli. Non mi vergogno a dirlo. Venite a spiegarlo a me il ticchettio dell' orologio biologico. A me che ci tento in tutti i sacrosanti modi da quando avevo ventisei anni. 
Oggi ho trentasette anni. Non ho figli.
Mi trincero ancora dietro quelle scuse.
Stiamo bene così è la frase che ripeto ormai con la stessa bravura di un attore di Hollywood. 
Ma io mi sento una fallita.
Voglio un bambino.
Adesso, da un anno, abbiamo iniziato l'iter dell' adozione e sai qual è la prima cosa che ci hanno detto? Che non siamo abbastanza giovani per avere un neonato e che quindi quella strada è praticamente non percorribile. Se siamo fortunati fra due anni, dopo controlli economici e fiscali, dopo colloqui con stupidi psicologi che ti fanno stupide domande, dopo miliardi di firme su fogli inutili, forse, e sottolineo forse, riusciremo ad essere messi in lista d' attesa per un bambino di cinque anni o più.
Poi un bel giorno ti alzi e vedi una campagna pubblicitaria che elogia alla fertilità. A mangiare bene. A fare sesso. Io sto bene fisicamente ma questo bambino non è mai arrivato. Ho rovinato la vita a mio marito che mi è rimasto accanto nonostante tutto ma che mai e poi mai vedrà suo figlio giocare a calcio o laurearsi o accompagnerà sua figlia all' altare.
Leggo negli occhi di mia suocera lo sdegno per non essere stata donna.
E sono ancora qua a dire 'Stiamo bene cosi' mentre invece vorrei urlare fino a togliermi il fiato. 

Grazie per avermi ascoltato.
E continua ad essere la mamma che sei. 
E continua a farci ridere con i tuoi racconti. 

V.



Oggi ho deciso di regalare questo spazio giornaliero ad una donna che ha sofferto tutto quello che poteva per diventare madre. Perché non è così facile e scontato per tutte, sa caro Ministro.
Ho deciso che valeva la pena che anche la sua storia venisse raccontata per dar voce a tutte quelle donne che camminano in mezzo a noi con un sorriso stampato in faccia, sotto un rossetto ben steso, e dentro hanno la guerra. Io sono fortunata. Lo so. E spero che, un giorno non così lontano, cara V., tu possa scrivermi ancora e darmi una buona notizia. Quella buona notizia. 

Robi. 



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