martedì 19 aprile 2016

Giorno 110 - Questione di scelte - Racconto breve


Giorno 110 - 19 Aprile 2016

Roma - 15.56

Era nel momento in cui la sua scrivania si riempiva di carte e fogli e raccoglitori e atti notificati e da notificare che Ottavia odiava il suo lavoro. Non sapeva nemmeno come c'era arrivata alla fine dell' università. Anzi si. Lo sapeva benissimo. L' aveva fatto per lui, per Eugenio. Ottavia voleva fare l'ingegnere, mica l' avvocato. Ottavia voleva essere una persona diversa ma a ventotto anni, con una fede al dito e una bimba a casa che l' aspetta a queste cose non ci pensava più: svolgeva il suo lavoro con immensa dedizione, quasi fosse la sua vocazione, la sua aspirazione primaria. In realtà odiava profondamente essere un avvocato nonostante fosse il socio più giovane del suo studio. Ma allora come era arrivata così lontano a soli ventotto anni? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe andare indietro di anni e anni, dodici per l'esattezza, e ritornare, appunto, ad Eugenio. Gesù, quel nome, solo a pensarlo le venivano i brividi ancora adesso, dopo tutto questo tempo. Ma non era lo stesso nome inciso sull' oro giallo della fede che portava al dito, insieme a quella grossa pietra luccicante e tante altre cose costose racimolate in sei anni di matrimonio.
'Ottavia, l'atto Rossi è pronto?'
Una voce vicinissima, ma che per lei è lontana anni luce, la desta da quei pensieri. Dal pensiero di lui.
'Dammi il tempo di due piccole modifiche e te lo salgo io' riesce a dire. E sembra pure molto convincente.
Lei odia profondamente quando resta indietro sul lavoro. Nonostante lo detesti, detesta certamente di più non essere la migliore. E' così che la voleva Eugenio. E' così che si è ritrovata ad essere, da un giorno all' altro, la migliore. All' università, durante la pratica legale, contesa dai migliori studi della città a ventisei anni, socia a ventotto. Nel frattempo ha sposato Carlo, rampollo di una famiglia altolocata di Roma, impegnato in politica e nella filantropia e ha messo al mondo Cecilia, alla quale ha dato lo stesso nome nonna paterna perchè anche nel privato Ottavia è la migliore, senza mai perdersi. Le sue amiche del liceo, che la ricordano ai tempi di Eugenio, non si spiegano tutto questo. Cosa ne è stato della Ottavia casinista e senza testa?
Le squilla il cellulare. E' Carlo. In serata Ottavia partirà per un meating a Parigi e starà via tre notti. Tre notti lontana dalla sua perfetta casa al centro di Roma. Dalla sua perfetta figlia. Dal suo perfetto marito.
'Amore, ancora in studio? A che ora hai il volo? Il traffico sul raccordo è incredibile, rischi di non farcela' la incita lui.
'Sono perfettamente organizzata' lo fredda lei. E' più acida di quanto non avesse voluto. Ma è sempre così quando è sotto pressione, e in quel momento lo è oltre ogni aspettativa, E Carlo lo sa. Lui sa sempre tutto.
'Ci sentiamo appena atterri' e chiude li. Lui lo sa. Sa sempre tutto.

Parigi - 23.34

Cristo se era distrutta. Non vedeva l' ora di togliersi quei maledetti pantaloni e quelle maledette scarpe e dormire. Dormire quelle poche ore che le erano concesse prima di affrontare la giornata che ne seguiva. Diciamoci la verità, Ottavia era brava ma le trattative non erano il suo forte: si era talmente rintanata dietro quei vestiti da sapientona che non riusciva più ad uscirne e non sapeva come accettare che qualcun altro potesse saperne più di lei. Come fai a mediare con qualcuno se non gli concedi nemmeno il beneficio del dubbio che anche lui possa saperne qualcosa.
Sapeva tutto dell' azienda che stavano acquisendo. Ne sapeva più lei che l' AD in persona, ne era certa.
Arrivata al lussuoso hotel, nella sua splendida suite con il naso sulla Torre Eiffel, si spoglia e si infila completamente nuda sotto il pesante piumone. Il resto non se lo ricorda.

Parigi - 9.00

Ottavia è nella sala conferenze dell'hotel. Gli avvocati della controparte sono in ritardo di trenta minuti e questo per lei è inaccettabile. Se fosse per lei se ne sarebbe già andata ma ci sono i suoi capi e quella mediazioni, per loro, è più importante di quanto non diano a vedere. Ci sono in ballo milioni di euro e il suo compenso sarà il più alto mai percepito.
'Perdonate il ritardo, Parigi è un casino durante la settimana della moda' sente alle sue spalle.
Ma che modo di presentarsi è ad una riunione di lavoro?
La sua pelle ha vibrato al suono di quelle parole. O era al suono di quella voce.
Si gira lentamente e capisce perché tutto ha cominciato a girare.
I loro occhi si incrociano.
C'è così tanta elettricità intorno a loro che potrebbero illuminare la Torre Eiffel.
'Ottavia? Sei con noi?' le chiede bonariamente il suo capo. Evidentemente si erano fermarti a guardarsi due secondi di troppo.

Parigi - 18.30
'Ottavia, aspetta...'
Quella stra maledettissima riunione è finita e Ottavia si è fiondata fuori dalla sala conferenze senza salutare nessuno. Voleva solo uscire di li e finire quella giornata assurda. Quando aveva pensato a lui? Meno di ventiquattr'ore prima. E l'aveva maledetto per averla fatta diventare tutto ciò che non era; tutto ciò che non voleva diventare. E poi, così, come se il destino volesse prendersi gioco di lei, Eugenio era li, a dieci passi dal suo naso. Elegante nel suo vestito da tre mila euro. La cravatta annodata a quel fascio di muscoli tesi che componeva il suo collo. I capelli color del gianduia. Le dita lunghe che sul suo corpo hanno indugiato mille e più volte. In un' altra vita, però.
'Ottavia, fermati!' dice con un tono di voce che non le piace. Con quella autorità di chi crede che tutto gli sia dovuto.
Ottavia, a quel comando, accelera il passo verso l'ascensore. Non si fermerà. Non parlerà con lui.
Che atteggiamento stupido, il suo. Lo deve ammettere a se stessa. E poi, di nuovo, quelle dita su di lei. Il suo polso destro è in trappola. La pelle le brucia la dove tocca la sua. Il viso le formicola. Le ginocchia non rispondono più ad alcun comando. E' costretta a fermarsi o cadrà a terra come farebbe un sacco di patate.
Si volta e gli punta gli occhi addosso.
'Che diavolo vuoi Eugenio? Che ci fai qua?'
'Ci lavoro' risponde divertito.
Ed eccolo la, il solito Eugenio. Il solito bastardo arrogante.
'Non avevi lasciato gli studi?' chiede lei sarcastica. Aveva lasciato l'università. Aveva lasciato lei. Otto anni prima. Evidentemente era ritornato sui suoi passi, su alcuni, almeno.

Parigi - 00.36

'E quindi poi hai sposato quel Carlo. Non credevo l' avresti fatto sul serio. Eri così selvaggia, così affamata del mondo che tutto avrei pensato di trovarti infilata nei panno di una donna in carriera con il lavoro dei sogni, il marito dei sogni e la famiglia dei sogni.'
'Perché mi hai lasciato?'
Non voleva chiederglielo. Dopo otto anni se ne era fatta una ragione, perlomeno non ci pensava più. Aveva accantonato i dubbi di quella rottura senza spiegazioni e si era rimboccata le maniche. Era diventata quella che nessuno si aspettasse potesse diventare. Aveva messo in gioco se stessa senza concedere al dolore di prendersi nemmeno un secondo. Una macchina di ghiaccio impostata e letale.
Ma adesso aveva la sua occasione di sapere. Era li, davanti a lei, adulto nel suo vestito francese, e le parole le erano uscite così.
'Perchè sono un idiota'
Cos'era quel lampo nei suoi occhi bruni? Pentimento? Rimorsi?
'Ti ho lasciato perché ho avuto paura. Perché ti ho spinto al limite e quando era il momento di lanciarsi insieme nel vuoto della vita me la sono fatta addosso. Ti ho lasciato e ho perso tutto'
Ma l' aveva persa davvero?




  You are beautifull - James Blunt

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