venerdì 16 marzo 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 29



Sulle note di questa stupenda canzone. Enjoy it.
‘Ma come ti è sembrato? Ben fornito?’ mi chiede Arianna, curiosa, dopo aver ascoltato il racconto dettagliato dell’ Incidente Plum Cake, così ha rinominato l’ accaduto. 
‘Arianna!’ la riprendo inorridita. 
‘Sai com’è… Non mi era mai capitato di poter tastare le doti… artistiche, diciamo così, di due fratelli! Ho sempre usato un pennello alla volta’ ridacchia la mia coinquilina. 
‘Nemmeno a me. E non ho nessuna intenzione di provare certe esperienze adesso. Secondo te devo dirlo ad Enrico?’. 
Ho bisogno di un consiglio serio ma, a quanto pare, Arianna non è della stessa opinione. 
‘No, dannata ragazza, certo che no! Che cosa gli vorresti dire, poi? Ehy, ciao amore, quel figo di tuo fratello ha tentato di sedurmi con un dolcetto, che come sai per me sono un miraggio dato che tua madre è una fautrice accanita della taglia 40, e con il suo arnese. Però, dato che sono una brava ragazza, non ho voluto constatare di persona chi dei due è messo meglio!’. Arianna mi fa il verso imitando la mia voce. La sua scenetta mi strappa un sorriso e per un attimo non penso a Davide.
 Il volo di ritorno dagli Stati Uniti è stato un incubo. Ogni volta che tentavo di chiudere gli occhi immaginavo Enrico che entrava in cucina e vedeva Davide su di me. 
Le parole di Arianna mi rincuorano. In fondo, a rigor di logica, mi sono fermata prima che potesse accadere qualcosa di irreparabile. Eppure, da quando è successo, il suo odore non mi ha mai abbandonato. Il calore della sua pelle; la morbidezza delle sue labbra carnose; il suo tocco delicato sulla mia pelle nuda, li, sotto la sottile stoffa del pigiama, in quelle parti di me che dovrebbero essere proibite ad altri che non sono Enrico. Da quando è successo è come se Davide fosse costantemente seduto accanto a me; come se la sua essenza, tramite i sensi e i ricordi, mi riportasse alla mente la mia colpa. Ma, in realtà, qual è la colpa di cui mi devo macchiare? Averlo desiderato? Forse. Ma è stata solo la debolezza di un istante. Un misero, inutile, istante in cui la ragione- distrattasi un momento- ha lasciato il posto alla passione. Io non provo nulla per Davide. Lui è il fratello del mio uomo; nulla di più.
‘A cosa pensi?’ mi chiede Arianna, interrompendo quella lista infinita di colpe e non colpe che stavo scrivendo con il pensiero. 
‘Non lo so. Stavo decidendo con quale metro di giudizio misurare la mia colpa’ 
‘Che sciocca che sei, non siamo mica al Tribunale dell’ Inquisizione! Tu ami Enrico. State insieme da poco ed è normale un momento di sbandamento mentre gli equilibri non sono ancora ben assestati. Soprattutto se si presenta sotto forma di statua greca completamente sporca di farina! Dimentica quello che è successo. Anzi, per essere precisi, dimentica quello che non è successo e va avanti con la tua vita e con la tua relazione’.
Le sorrido e l’ abbraccio. I suoi morbidi boccoli rame profumano di balsamo. Devo essere stata davvero una brava persona, nella mia vita passata, per meritarmi un ragazzo eccezionale come Enrico e un’ amica unica e preziosa come Arianna. 
‘Comunque, non preoccuparti, so io cosa ti distrarrà da queste inutili farneticazioni da donna fedifraga!’ continua Arianna. Il tono della sua voce è, se è possibile, più eccitato del normale. Sembra che stia per annunciarmi chissà quale importante verità. 
‘Spara’ le dico sospirando. Le sue strane idee mi lasciano sempre a bocca aperta. 
Arianna arrotola la manica della felpa che indossa liberando le dita dall’ intreccio di cotone.
‘Tre carati e mezzo. Purissimo e bianchissimo. Taglio smeraldo. Bvlgari.’ Commenta mentre mi mette sotto il naso la sua mano sinistra. Un delicato cerchietto d’ oro bianco, su cui sono montati una fila di piccoli brillantini lucenti,  stringe tra le braccia un enorme solitario bianchissimo dal taglio rettangolare. La luce che emana quella pietra è stupefacente. 
‘Cristo santissimo’ esclamo. Quella pietra è grossa quanto un ciottolo da spiaggia. ‘E’ quello che penso?’ 
‘Dipende. Se stai pensando che ho dato di matto e ho rubato un anello a mia madre perché voglio venderlo e scappare in Jamaica, allora no, non è quello. Se stai pensando, invece, che la tua migliore amica, nonché coinquilina da otto lunghissimi anni presto andrà a vivere da un’ altra parte perché ha ricevuto la proposta di matrimonio più romantica del mondo; allora, beh, mi sa che ci hai preso!’. Arianna mi travolge di parole. Sento alcune goccioline salate di commozione scendermi attraverso le guance. Fisso quell’ enorme pietra dura arroccata sul suo anulare e non posso far altro che essere felice per lei. L’ abbraccio di nuovo mentre lei lancia un urletto di gioia. 
‘Non vedevo l’ ora che tornassi da New York per potertelo dire di persona!’ esclama.
‘Cavolo, non sapevo foste già a questo punto! Il matrimonio è una cosa seria! Sei sicura di quello che fai?’ le dico quando riacquisto un minimo di lucidità. Non vorrei sembrare una guastafeste o una rosicona. Beh, un po’ rosicona si! Quell’ anello è da sogno. 
‘Sei stata così distratta negli ultimi tempi!’ mi rimprovera Arianna ‘Tra Enrico, Vogue, Davide, tua sorella e tutto il resto avevi sempre la testa da qualche altra parte. Negli ultimi due mesi, poi, praticamente non ti ho mai visto se non di sfuggita o legata ad un letto d’ ospedale dall’ altra parte del mondo! Io e Luca ci conosciamo da una vita. Nell’ ultimo anno ci siamo avvicinati e pian piano abbiamo scoperto di non poter fare a meno l’ uno dell’ altra. E’ vero che stiamo facendo tutto di corsa ma non siamo più dei ragazzini. Io ho quasi trent’ anni, un lavoro… Che cosa devo aspettare?’
Un pensiero veloce mi attraversa il cervello. ‘Ari, non sei incinta, vero? Oh, Cristo. Sei incinta?’ 
‘No’ sbuffa ‘ma che sciocchezze. Il mio futuro marito è un ginecologo, vuoi che non sappia come evitare certe sorprese? Non sono incinta, sono solo molto felice’ 
‘E innamorata’ aggiungo. 
‘E innamorata’ conferma.


Gli ultimi giorni dell’ anno si susseguono frenetici. Il matrimonio di Arianna è l’ unico argomento di discussione concesso in ogni occasione. Sua madre è eccitata come una bambina all’ idea di organizzare il matrimonio della sua unica figlia. Conoscendola, nulla sarà lasciato al caso: se solo potesse, farebbe resuscitare Pierre Hermé per la torta!
Il vestito di Arianna verrà commissionato a Giorgio Armani, che veste personalmente Lady Arleene da anni, con una linea esclusiva a lei dedicata, e rimarrà un segreto assoluto fino al giorno delle nozze tranne che per Arianna, sua madre e me. Il solo pensiero di poter stare a stretto contatto con uno dei maestri della moda italiana e mondiale mi ha fatto accettare di buon grado di buttarmi a capofitto negli assurdi preparativi di questo matrimonio. Il solo fatto di poterlo vedere disegnare mente ha me nella sua testa; mentre accarezza con il pensiero le mie forme e vi poggia sopra strati di tulle; pizzo; macramé o altre stoffe leggere dai colori tenui, vale tutto lo sforzo. E, credetemi, stare dietro a Lady Arleene non è facile.
Io continuo a non capire la fretta che abbiano Arianna e Luca: hanno fissato la data delle nozze per il sedici di marzo. A conti fatti mancano meno di tre mesi! Ormai scruto i cambiamenti d’ umore e di peso di Arianna come fossi un segugio. Lei continua a ripetere che non si tratta di un matrimonio riparatore ed ormai inizio a credere alle sue parole. Me l’ avrebbe detto se fosse incinta.
Un arredatore giapponese, tale Historiuchi Yamammaki, è stato selezionato tra un centinaio di concorrenti per far parte del team di architetti e arredatori che si occuperanno di rendere piacevole ed accogliente il nido da quarantaquattro stanze, tredici bagni, due cucine e due piscine, di cui una interna, dove andranno a vivere gli sposi dopo il fatidico si. Pare che questo Yamammaki sia un genio delle luci e Lady Arleene non ha voluto sentire ragioni: se lui è il migliore al mondo, sarà lui che si occuperà della casa. Questo matrimonio costerà, a conti fatti, più dello stipendio annuale di Anita Lozzani. E cavolo se guadagna bene la mia cara suocera! Che burlona che sono! Chissà cosa penserebbe di me ed Enrico la mitica signora Lozzani. Dopo aver lasciato la casa dei Carrisi, a New York, abbiamo pregato tutti di mantenere il massimo riserbo sulla notizia: è giusto che Anita, se mai verrà a saperlo, lo senta uscire dalle nostre bocche. Il solo pensiero di confessare ad Anita Lozzani  che vedo suo figlio e che ho passato il Natale con la nuova famiglia del suo ex marito mi fa tremare le ginocchia. Preferirei, piuttosto, ballare la samba su un lastricato di ceci bollenti! Al solo pensiero dei suoi occhi gelidi di disappunto un brivido freddo mi percorre la schiena.
Una cosa positiva in tutto questo strano trambusto al sapore di confetti bianchi e pregiati merletti veneziani è che non penso continuamente al fatto che manca sempre meno al giorno fatidico. Oh no. Allontano il pensiero immediatamente. Non posso permettermi che la mia testa partorisca l’ idea, anche solo per un misero ed insulso istante, che potrei non ottenere il posto a Vogue.
Che cosa farei? Non ci voglio nemmeno pensare.
‘Ce l’ hai fatta finalmente’ dice Enrico mentre poggio a terra tutto quello che ho in mano.
Arianna mi ha supplicato di accompagnare lei e sua madre a scegliere il tovagliato per il ricevimento. E’ stato un pomeriggio assurdo e ho spinto ogni secondo, purché passasse in fretta, per poter tornare a casa, da Enrico.
‘Lady Arleene ha fatto uscire a quella povera cameriera oltre cinquecento tipi di tovaglie. Cinquecento. Non scherzo. Sono passata da casa a prendere un cambio per domani, spero non ti dispiaccia avere una coinquilina per un paio di giorni’ ammicco indicando la borsa ai miei piedi.
‘Sai che sei la benvenuta’. Enrico prende la borsa da terra e la porta in camera da letto. Lo seguo. Sfilo le scarpe in velluto burgundi e le abbandono alla fine del corridoio. Ho un mal di piedi atroce.
‘Arianna rimane a dormire dai genitori per adesso: sua madre le ha fissato un appuntamento al secondo e tra gli impegni di lavoro e quelli per il matrimonio non ce la fa a tornare in centro a dormire. A me non va di rimanere in quel grande appartamento da sola’ piagnucolo.
‘Puoi stare qui tutto il tempo che vuoi, lo sai’ mi rassicura Enrico.
Quando la storia del matrimonio è venuta fuori Enrico ha accennato al fatto che potrei decidere di rimanere definitivamente da lui dopo che Arianna sarà andata. Io ho dribblato l’ argomento con l’ abilità di un calciatore professionista.
No, non per i motivi a cui state pensando voi. Davide non c’ entra nulla.
Mi trovo in un momento della mia vita in cui tutte le mie certezze vacillano, crollano addirittura, e non sono assolutamente in grado di prendere alcun tipo di decisione sensata adesso.
Arianna che si sposa, così, dall’ oggi al domani, e se ne va dalla nostra casa. Quella stessa casa che per me ha rappresentato un punto di svolta in un momento in cui tutta la mia famiglia era contro di me e contro la mia scelta universitaria. Vivere con lei, in questi otto anni, è stato meraviglioso. La paura del cambiamento mi fa contorcere le budella. Ma, più di tutto, mi spaventa perdere lei. Averla lontana. Lontana chilometri; impegnata nel suo nuovo ruolo di moglie di uno dei rampolli più facoltosi dell’ Italia del nord. Impegnata con il lavoro e con i progetti di famiglia. Talmente impegnata da non poter essere li per me tutte le volte che mi sentirò sull’ orlo di un precipizio. Come ora.
So bene che tutte queste incertezze derivino dal fatto che mancano trentasei ore al giorno del giudizio. Questo è il momento in cui si vedranno i frutti della mia semina. Se ce ne saranno, ovviamente. Sto cercando di reagire al meglio ma sono certa che se non dovessi essere scelta per il lavoro non la prenderei così bene come voglio far credere.
‘La smetti di pensare a mia madre? Se vuoi metterti l’ anima in pace basta solo che io alzi il telefono e chieda. Sai che posso farlo’ mi dice Enrico. Me lo ripete da quando siamo tornati a Milano. ‘Sei persa, distante. Se vuoi sapere se avrai il lavoro basta che tu lo chieda. Non ce la faccio più a vederti così. Hai gli occhi stralunati; non dormi da quando siamo tornati dagli Stati Uniti e ti sei buttata a capofitto in questa farsa del matrimonio. Sei stanca, spenta’
‘Mi ero persa di nuovo nei pensieri, scusa’ mi giustifico con lui. Di nuovo.
‘Volevo sapere se ti andava di cenare, te l’ ho chiesto tre volte. Filippa, inizio seriamente a preoccuparmi. Non resisti altri due giorni così: cadi malata prima’
Le sue mani sono sulle mie spalle. A New York sembrava tutto così facile. Eravamo distanti anni luce dalla realtà. Tornare a Milano e scontrarsi con la realtà del cambiamento è stato faticoso, lo ammetto. E, purtroppo, Enrico ne sta risentendo molto. Lo vedo preoccupato, agitato per me.
E’ vero, se lui chiamasse la madre e chiedesse, forse sarebbe tutto più facile. Ma se non sono stata scelta non è meglio vivere nell’ ignoranza ancora per due lunghissimi giorni? Che codarda che sono.
Sorrido ad Enrico, in piedi davanti a me. Credo mi abbia detto ancora qualcosa ma non lo stavo minimamente ascoltando. Gli levo la mia borsa dalle mani e lo bacio teneramente sulle labbra.
Lascio scivolare la mano sotto la felpa che indossa e accarezzo delicatamente i muscoli disegnati della sua schiena.
‘Filippa, non è così che si risolvono i problemi’ protesta.
‘Il nostro unico problema è il tempo, l’ attesa, e questo mi sembra il miglior modo d’ ingannarlo’ gli sussurro mentre sfilo il nodino che tiene i pantaloni del pigiama.
Il divano del soggiorno all’ ingresso è estremamente comodo. Devo ricordarmene.

‘Sei già sveglia?’ chiede Enrico mentre si stropiccia gli occhi con i dorsi delle mani. Sembra un cucciolo d’ orso appena uscito dal letargo. I riccioli castani scombinati dal sonno hanno preso vita sulla sua testa e si sono sistemati qui e li a loro piacimento. La maglia di cotone bianca gli incornicia i pettorali in un elegante intreccio di pelle e tessuto eccitante. Gliela strapperei di dosso se solo riuscissi a muovermi. Sono totalmente in balia della paura. Me la sto fottutamente facendo addosso. Si dice così, mi pare.
‘Non è che abbia dormito granché’ ammetto.
‘Ti sei girata tutta la notte. Finalmente, nel bene o nel male, questo strazio è finito’ ammette Enrico.
‘Mi dispiace, sono stata pessima nelle ultime settimane’ dico senza ragionare troppo sui suoni che escono dalla mia bocca.
Mi alzo dal letto meccanicamente e mi infilo sotto la doccia. Non mi sono mai sentita tanto agitata in vita mia. Ogni fibra del mio corpo è in trepidante attesa. Ogni muscolo è in tensione aspettando solo il momento in cui potrà finalmente rilassarsi. Le lacrime che non ho versato sono pronte, li, ai bordi degli occhi, per consolarmi se sarà una sconfitta o per gioire con me, se sarà una vittoria.
Lascio che l’ acqua bollente mi scivoli sulla pelle nuda. Il bagno di Enrico è stato completamente invaso dai miei prodotti per la toilette. Le mie creme per il corpo Jo Malone. I miei shampoo ai semi di lino indiani. Il profumo di Narciso Rodriguez. La trousse con i trucchi: i mascara allunganti di Dior e la cipria illuminante di Chanel.
Se va male a Vogue potrei diventare una tester per i prodotti di bellezza. Potrei passare le mie giornate coperta di schiuma, in una vasca d’ acqua bollente, scegliendo quale sia la profumazione più rilassante. Rosa? Sandalo? Muschio? Fiore di loto? Mandorla?
Potrei provare un mascara nuovo al giorno e scriverne per qualche rivista. Qualche rivista che non sarà Vogue, però.
Una di quelle lacrime che conservavo per dopo si affaccia, sulla punta esterna dell’ occhio, e scende placida, mischiandosi alla acqua.
Ravvivo i capelli, leggermente arricciati sulle punte, davanti lo specchio e fisso il risultato. Indosso un vestito di Jason Wu, grigio e nero. Il taglio anni sessanta mi conferisce un’ aria professionale. La gonna, corta, sopra il ginocchio, ne sdrammatizza l’ austerità. Una sottile cintura di coccodrillo nero taglia la mia vita sottile in due. Infilo i piedi sulle mie nuove Louboutin di vernice grigia. Ci sono cose che non si possono affrontare senza un paio di scarpe dal tacco vertiginoso e un velo di rossetto rosso sulle labbra. Questa è una di quelle.
‘Ci vediamo in redazione più tardi’ mi dice Enrico sulla porta. Il petto nudo, che si chiude sul suo bacino scolpito, nell’ intreccio dell’ asciugamano, è appoggiato allo stipite. I capelli, bagnati, sono tirati all’ indietro. Gli occhi verdi sorridono, mi mandano un bacio lungo ma immaginario. Non posso rovinare il rossetto.
L’ aria frizzante di gennaio mi da il bentornato alla vita di tutti i giorni. Sembra passata una vita intera da quando tutto questo è successo. Da quando un semplice giornale di moda me l' ha stravolta.
Il lavoro, l’ amore, le passioni… Vogue ha scardinato i lacci con cui avevo legato, ben salde, le mie prospettive e le mie certezze ed ha fatto si che potessi vedere le cose con occhi diversi.
Piazza Cadorna è viva. Un fiumiciattolo di macchine si allunga e si snoda in Foro Buonaparte e in via Carducci.
La redazione è ad un colpo di tacchi da casa di Enrico. Cammino decisa su quelle scarpe delicate e costose verso il resto della mia vita.
Attraverso le pesanti porte di vetro. La scritta, enorme, in acciaio argentato è li, esattamente dove i miei ricordi l’ avevano lasciata. Il profumo di fiori freschi che viene dalla reception è forte e familiare. Quarantacinque, meno sei di malattia durante i quali ho conosciuto Enrico, lunghissimi giorni nella redazione per eccellenza. Il luogo in cui il culto della moda è diventato sacro; importante e conosciuto in ogni angolo del globo. Quel posto che ha come regina assoluta Anita Lozzani. La donna che ha dato i natali all’ uomo che amo e che oggi deciderà le mie sorti.
Fisso le porte bronzate degli ascensori indecisa se premere il bottone o no.
Le ante si aprono automaticamente, senza che io abbia avuto il tempo di decidere se fosse il caso di scappare, e scendono alcune persone. Salgo in ascensore e premo il tasto undici.
Sono le nove e in redazione c’è fermento. Il numero di febbraio sarà quasi pronto. I servizi fotografici saranno già stati assegnati a nomi altisonanti. Mario Testino. Steven Meisel. Terry Richardson. Gabriele Basilico. Enrico Carrisi. Giovanni Gastel. Quanti hanno immortalato momenti talmente unici da essere irripetibili? Quanti hanno scritto una pagina della storia della fotografia sotto lo sguardo attento ed esperto di Anita Lozzani? Quanti sono passati da questi corridoi?
Vado verso la mia scrivania immagazzinando quante più immagini possibili nella mia testa. Il grande open space con le scrivanie degli editor. Lo spazio dei giornalisti che si occupano dei redazionali. Malloppi di provini, fotografie, scartoffie. Sacche porta abiti disseminate in ogni dove. Tutti sembrano avere qualcosa da fare mentre io mi aggiro come uno zombie. Appoggio il cappotto su quella che è stata la mia sedia per i miei quarantacinque giorni a Vogue. Lascio la borsa di Balenciaga sul tavolo e mi siedo. In attesa.

Anita è finalmente arrivata. Gli otto stagisti sono seduti di fronte a lei. Nella sala riunioni della redazione di Vogue si respira un’ aria strana. Nessuno parla. Tutti sono sul punto di scoppiare in lacrime. Tutti sorridono nervosamente per tentare di nascondere l’ ansia, l’ angoscia dell’ attesa. Tutti ci provano ma nessuno ci riesce.
Anita, seguita dalla sua assistente, da Ferdinanda e da Gerome, entra nella stanza e si siede al posto di comando. Indossa un abito in broccato blu notte della passata collezione di Valentino. Ha i capelli insolitamente legati in uno chignon basso.
Ferdinanda, accanto a lei, mi sorride. La pancia di cinque mesi si vede. Il suo bambino, ha scoperto che è un maschio, sta bene e cresce. Lei è raggiante, avvolta in un abito a portafoglio nero e verde.
‘Non voglio farvi attendere ancora’ comincia subito Anita. Il suo tempo è prezioso e dietro quella frase si nasconde la verità: è il suo, di tempo, che non deve essere sprecato. ‘Ognuno di voi ha dato qualcosa alla rivista. Ognuno di voi è stato importante. Ha creato qualcosa ed è servito a qualcosa. Per questi ed altri innumerevoli motivi, voglio che chi non sarà scelto non si abbandoni all’ auto commiserazione. Siete bravi; siete arrivati a Vogue. Fate si che questo sia il capitolo iniziale del resto della vostra vita lavorativa nella moda. Che sia a Vogue o da qualunque altra parte. In questa cartellina ci sono due contratti per un anno che saranno firmati oggi stesso. Gerome, vuoi consegnarli ai diretti interessati?’ dice gentilmente Anita. Il suo discorso è stato conciso, preciso. Non vuole drammi. Non vuole lacrime.
Gerome si alza stancamente; prende la cartellina rossa, sulla quale compare in bianco e in maiuscolo la scritta ‘VOGUE’ e tira fuori due malloppi di fogli.
Le grand epoque’ sghignazza Gerome. ‘Ricordò parfaitement quando è stato il momento pour moi
Si avvicina a Thomas e gli consegna la prima risma di fogli pinzettati. La scritta Vogue è stampata in nero anche li. Il poveretto sbianca e fissa incredulo quei fogli davanti a lui.
‘Prenditi tutto il tempo, Thomas. Leggi il contratto per bene, tutte le clausole e i cavilli. Quando sei deciso, firma pure il tuo biglietto per un anno in Paradiso’ dice Gerome accarezzandogli teneramente la spalla. Il ragazzo dagli occhi a mandorla, che indossa un buffa camicia a scacchi sotto un cardigan di cashmere blu elettrico, non riesce a parlare ma nei suoi occhi si scorge tutta la fatica per arrivare fin qui e la gioia di esserci riuscito.
‘Gerome, vogliamo continuare?’ lo becca Anita. Il suo tempo è denaro per il giornale; per la Condé Nast; per lei: nessuno deve abusarne!
‘Oh, bien sur Cherie’ le sorride lui.
Manca solo un posto.
Le speranze da due si sono drammaticamente ridotte ad una.
Sto per svenire.
Sento le forze che mi abbandonano.
‘L’ ultimo contratto è per una bonne fille, per una signorina’ sorride Gerome in direzione… oh no… tutti ma non lei. Non Lara stupidissima Ferrandi. Non Lara odiatissima Ferrandi. La donna con il più alto tasso di indescrivibili abiti leopardati della storia, che sembrano usciti da una puntata di Jersey Shore.  Lei con quella odiosa parlata piena di se. Lei con quella cadenza quasi lamentosa piena di vezzeggiativi.
Oh no. Gerome le ha appena posato la cartellina con il contratto per il secondo e, soprattutto, ultimo posto a Vogue, davanti.
Voglio morire.
Ti prego, Signore, so che non merito il tuo ascolto ma non lasciare che i miei poveri occhi assistano a quel viso mentre si contorce in smorfie compiaciute e supponenti; non permettere che le mie orecchie vengano brutalmente violentate da tutti questi urletti di gioia.
Tra le lacrime di quelli per i quali ‘Vogue finisce qui’ e la gioia di Thomas e Lara, io rimango fissa, seduta, mantenendo la stessa posizione. Non riesco a muovermi. Non riesco a respirare.
‘Bene, tutte le formalità sono state espletate. Thomas, Lara, benvenuti nella nostra famiglia. Spero che questo anno si riveli per voi prezioso, gratificante, appagante. Spero che possiate crescere con noi e che il giornale possa beneficiare di voi. Grazie a tutti’. Anita fa un cenno con la testa e tutti si alzano ed escono, come marionette di un teatrino eseguono alla lettera gli ordini del giostrante.
Io, automaticamente, seguo gli altri e mi avvicino alla porta di vetro smerlato trasparente. Chi ci vede da fuori capisce benissimo, dai volti appesi, chi è stato scelto e chi no.
Anita rimane seduta e fissa la processione allontanarsi. Sono l’ ultima di quella fila funerea. Mi guardo intorno mentre sento le lacrime pulsarmi dentro il cervello. Analizzo velocemente quello che mi sta intorno: non voglio dimenticare nemmeno un secondo. I capelli biondi di Anita, il suo essere perfettamente in sintonia con quelle pareti che lei stessa ha reso uniche; con quel posto di cui lei ha creato il mito. Guardo Ferdinanda, che si accarezza dolcemente il pancione, beata della sua nuova condizione. E’ stata una maestra eccezionale e le sue parole, durante i miei quarantacinque giorni a Vogue, rimarranno con me per sempre.
Sono già davanti la porta, con un piede fuori ed uno dentro quando mi sento chiamare.
‘Filippa, per favore, ti potresti trattenere un minuto in più?’ chiede gentile Anita. Sono di spalle, non riesco a voltarmi, sto per scoppiare a piangere.
Faccio un respiro profondo e mi volto piano, a testa bassa.
Ferdinanda continua a sorridere tranquilla. Tranquilla lei, che a Vogue ci lavora.
‘Certo’ dico con un filo di voce. Mi siedo sulla sedia più vicina a Ferdinanda e ascolto quello che hanno da dirmi. In religioso silenzio come fossi ad un funerale. Il mio. Del resto, da quand' è che i morti parlano? 



Continua...

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45 giorni a Vogue by Robi Landia is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia License.
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7 commenti:

  1. Ma noooooo Robiiii......potrei impazzire aspettando il seguito!!!!

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  2. Robi, cara, potresti....ehm...
    postare il 30!?!?!?!??!!?

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  3. Ah ecco... c'è un MA :D
    Magari le propongono un lavoro più figo, non semplice stagista!!!!

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  4. Secondo me prenderà il posto di Ferdinanda!!!

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  5. Allora, questa storia mi ha preso moltissimo, passiamo alle non richieste opinioni personali.
    ok Davide mi sta sulle palle e sinceramente Enrico sembra troppo principe azzurro per non nascondere una ( per dirla alla romana) inculata storica! Troppo perfetto, troppo tormentato... uff, Davide d'altro canto è uno di quelli che non deve chiedere mai e si comporta allo stesso modo, tuttavia mi sembra più umano più vero boh... Io preferisco il fidanzato di Arianna, il ginecologo che regala diamanti... quello mi sembra una persona sana ( e purtroppo con uomini come Enrico ho avuto a che fare).e quoto LoveIs... prenderà il posto di Ferdinanda fino a quando Anita non scoprirà che potenzialmente potrebbe farsi entrambi i suoi figli!
    Complimenti davvero

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  6. accidenti all'università, mi ero persa il numero 29 ed ho appena letto il 30! mi sembrava mancasse qualcosa!! tipo "matrimonio di chi? ma quand'è successo?" XD

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