mercoledì 28 marzo 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 30


Non ho mai realmente creduto al destino, a quello che banalmente si chiama fato. Le casualità della mia vita me le sono creata da sola. Sempre. Ho creduto, fin da quando ero una ragazzina, che se volevo qualcosa dovevo alzare il sedere dalla sedia e fare tutto quello che necessitava per averla. Io non sono come mia sorella Claudia o, perlomeno, non ho voluto esserlo. Avevo un sogno e ne ho fatto un obbiettivo di vita. Avevo un sogno e ne ho fatto una meta: ogni passo, ogni giorno, ogni pensiero erano in quella direzione. 
Non ho mai lasciato che il tempo scandisse i miei pensieri; che delineasse i confini dei miei progetti. Quelle, per me, erano parole al vento. Tempo e destino sono stati, per ventisette anni, nelle mie mani. O, almeno, di questo ero convinta.
A quanto pare, dovevo arrivare proprio a ventisette anni per capire che il destino esiste. Che gli eventi della vita di ognuno di noi, anche quelli che sembrano insignificanti, inutili nell’ economia di una vita o semplicemente di una giornata andata male, fanno parte di un disegno più grande. Ogni singolo istante della nostra esistenza è un piccolo pezzettino di un enorme puzzle e, si sa, un puzzle è completo solo se non manca nemmeno un tassello. 
Il mio tassello fortunato è stato il figlio di Ferdinanda. Mi sono trovata nel posto giusto al momento giusto e per questo non ci vogliono ne bravura ne sacrifici. Per giorni come questo ci vuole culo. 
Il mio sguardo è fisso su un gruppo di tulipani legati tra di loro da un filo di raso verde scuro. Sono immobili in un vaso di vetro trasparente, l' acqua lo riempie a metà. I gambi, di un verde brillante, che si perde in milioni di gocce e colori, si allargano in una spirale. Le teste sono nei toni del viola e nel burgundi. I tulipani sono i fiori preferiti di Anita e ogni giorno un corriere ne porta un enorme mazzo, direttamente dall' Olanda, da sparpagliare per l' edificio. 
Fisso le pareti bianche che mi circondano e penso a quanti Signor Nessuno sono entrati in questa stanza e ne sono usciti grandi designer. Quanti fotografi hanno fatto del loro hobby un motivo di guadagno. Quanti scapestrati appena usciti da una qualche facoltà letteraria sono diventati redattori? E quanti giornalisti? 
Anita è come il burattinaio di un teatro: tira le fila, facendo muovere a suo piacimento chi le sta intorno, e ne decide il futuro. Nessuno brilla nel firmamento della moda se non è lei a decidero. Anita Lozzani ha, ed ha avuto, nelle sue mani il futuro e le sorti di chiunque voglia lavorare in questo mondo. E, in questo preciso istante, sta tirando le fila attaccate alle mie braccia. Io, Filippa Torre, sto assistendo alla scrittura del mio futuro per mano della madre di Enrico. Che dannato bastardo, però, che è questo destino. Anita Lozzani ha deciso che è arrivato il mio momento di entrare in scena, il sipario è alzato e tutte le luci di scena sono puntate su di me. 
Oltre il tavolo della sala riunioni, sul quale è posato il vaso con i tulipani, perfettamente al centro, le vetrate regalano uno squarcio di una Milano grigia e fredda. Una Milano familiare. Sembrerà uno stereotipo ma Milano è davvero così: grigia, fredda, austera, ed è proprio questo che la rende magica; unica al mondo. In nessuna altra città del mondo trovi l’ ordine e la compostezza di Milano che ti sorprende ad ogni passo. Perché, proprio mentre sei intento a correre da qualche parte, trovi davanti una chiesa neogotica dalle guglie altissime che ti impone di guardarla; di cibarti di lei e della sua bellezza. Nel suo abbraccio di asfalto, cemento e acciaio c'è la poesia di una casetta dai tetti bassi della fine del secolo scorso e l' armonia di un castello che ha visto i fasti di un tempo che è andato per sempre. A Milano ogni passo è una sorpresa; ogni sguardo ti regala una goccia della cultura di un passato lontano ed elegante che ha reso questa città il fulcro della moda mondiale: nessuno crea qualcosa di magico senza prima passare da Milano. 
I vetri alle finestre tremano leggermente: un folata di vento gli ha fatto battere i denti mentre piccole goccioline scendono disordinate come lacrime di un bimbo. 
‘Filippa, so che questa è una cosa grossa’ dice Ferdinanda accarezzandomi la mano. 
‘E’ esattamente ciò che ho sempre sognato’ le rispondo sovrappensiero come se, in realtà, stessi rispondendo a me stessa; come se i miei pensieri si stessero magicamente allineando congratulandosi con me per essere arrivata li, proprio li dove volevo. In quel posto che nella mia mente era sempre sembrato lontano, quasi irraggiungibile e che, invece, era più vicino d' un soffio. 
‘E’ una grossa responsabilità’ mi ammonisce Anita ‘ma sia io che Ferdinanda siamo concordi sul fatto che possa farcela. Sei giovane ma in gamba; sei determinata e hai voglia di imparare. Questa è una cosa fondamentantale in un campo in continua evoluzione come la moda: nessuno è mai davvero arrivato in questo mondo'
‘Sei sicura di volere che tutto questo finisca? Sei certa di poter lasciare questo mondo?’ chiedo a Ferdinanda. La guardo negli occhi cercando di capire cosa o chi l’ ha spinta a questa decisione. 
Il mio capo mi prende una mano e l’ appoggia sulla pancia. ‘Qui dentro c’è una persona. Un cuore che batte; due polmoni che respirano; due mani che si incrociano; una bocca che sorride. Qui dentro c’è l’ unica cosa che conta davvero. Per la prima volta, in tutta la mia vita, ho sentito di essere piena, donna. Nessuna borsetta e nessun vestito, per quanto le sensazioni qui a Vogue siano fortissime, mi ha mai dato la gioia che provo da quando sono incinta. Mi manca quasi il respiro al pensiero che dentro di me un' altra vita si sta formando. Amo la moda, amo profondamente questo giornale; Essere qui per me è un privilegio. E non avrei mai lasciato questo posto nelle mani del primo venuto. Filippa tu sei perfetta. Questa è la ricompensa per tutti i sacrifici che hai fatto, te lo meriti. Non pensare a me e non credere nemmeno per un secondo di starmi rubando il posto od altro. Un giorno, forse, tornerò a Vogue come ospite ma con il bambino in arrivo non possso fare la vita che ho fatto finora. I miei orari saranno scanditi dai suoi bisogni e non posso permettere che Vogue soffra delle mie distrazioni’. I suoi occhi si velano si lacrime. Il suo sorriso esplode. L' emozione che traspare dal suo stato di beatitudine è quasi contaggiosa. Piccole particelle di felicità vibrano nell' aria e le illuminano i capelli e gli occhi castani. 
‘Filippa, prenditi la giornata libera e pensaci. Prenditi il tempo di ragionare sulla nostra offerta. Non abbiamo bisogno che tu ci risponda subito. Devi capire che, nonostante questo sia il sogno che si realizza sappi che stai sacrificando interamente te stessa per questa rivista: qualunque siano state le tue priorità finora, dimenticale. Qualunque siano stati i tuoi orari e i tuoi impegni, preparati a vederli stravolti. Io ho bisogno di gente che risolva i problemi prima ancora che io ne venga a conoscenza, devo poter contare sull' assoluta dedizione di ognuna delle persone che lavora a Vogue per poter continuare a fare di questo giornale un' eccellenza!'
'Non abbiamo bisogno di risposte, Anita' la ferma Ferdinanda 'Filippa appartiene a questo posto. Lei è come me. Anzi, peggio: lei è come te'
Faccio un cenno d’ assenso con la testa e allontano la sedia dal tavolo ovale di legno nero. Gongolo silenziosamente delle parole di Ferdinanda. Le stamperei un bacio in bocca se non fosse un comportamento eccessivo. Mi metto sulle gambe senza togliere le mani dal tavolo: non sono certa che possano reggere quell’ emozione, quella gioia. 
‘Ah, un’ ultima cosa, Filippa. Mi farebbe piacere avere te e il tuo ragazzo a cena da me, dopo domani’ mi ferma Anita. 
Che ha detto? 
Aspettate un attimo. 
Scusa, regia, potresti rimandare indietro di qualche secondo? Ha detto ragazzo? Cena? Il mio ragazzo? Quello che lei stessa ha partorito con dolore o ce n'è uno di scorta del quale non sono stata informata? Uno stuntman? Una controfigura?
Ferdinanda, dietro Anita, sghignazza. Non posso vedermi in faccia ma sono certa di essere diventata bianca come un cadavere. La fisso con gli occhi sgranati. 
Anita sa? Come diavolo l’ ha… Davide? Possibile che sia talmente arrabbiato con me da essere arrivato a tanto?
‘Si, lo so. E, no, stavolta non è stato Davide a fare la spia' conferma Anita come se mi avesse appena letto nel pensiero 'Dio, smetteranno di litigare, prima o poi, i miei figli. Me l’ ha detto il portiere. L’ unica cosa che non capisco è tutto questo mistero ma sarò ben lieta di ascoltare la vostra storia dopodomani. Alle nove, puntuali per favore. Odio dover aspettare!’ 
Anita si alza dalla sedia e mi passa davanti concedendomi un sorriso cordiale. Esce dalla sala riunioni. Io sono li, ferma, congelata. 
‘Credevi che Anita Lozzani non lo sarebbe venuta a sapere?’ mi chiede Ferdinanda. 
‘Non lo credevo ma non posso negare che ci speravo. Non per sempre ma per i prossimi venti o trent' anni, almeno’ le rispondo ancora shockata dall' ultima mezz' ora della mia vita. 
'Anita è una donna intelligente e molto furba. Per quanto possa sembrare fredda e distante conosce i suoi figli più di quanto loro stessi non credano. E, se con Davide è tutto più complicato, Enrico per lei è un libro aperto con le parole scritte in grassetto. L' unica cosa che spero vivamente, per te e sopratutto per lui, è che questo lavoro non vi allontani. Io ho sacrificato anni ed anni della mia vita personale per seguire il mio grande amore: Vogue. Sono certa che tu riuscirai a fare le scelte migliori per te e per lui ma non sarà facile. Compromessi sarà la tua parola d' ordine d' ora in avanti'
Ferdinanda mi concede una stretta di spalle ed esce dalla sala riunioni ancheggiando. Il suo pancione che cresce le sta regalando, ogni giorno che passa, l' andatura di una papera. 

'Avevo il sospetto che lei sapesse. Immagino che le mie insistenti domande fintamente disinteressate sul tuo futuro le abbiano dato le conferme che cercava. Quella donna è scaltra come un' aquila e veloce come una volpe' dice Enrico mentre mi accarezza le spalle nude. Il suo respiro riprende lentamente un' armonia normale. Sono appoggiata al suo petto. Il mio orecchio è tappato dalla sua pelle calda e sento il battito del suo cuore rimbombarmi dentro. 
'Così mi spaventi' affermo.
'Non hai di che spaventarti. L' unica cosa che un pò mi infastidisce sono le chiacchiere. E' inevitabile che qualcuno un pò più invidiosetto di altri veda questa tua promozione come un favoritismo per via della nostra storia' mi fa notare Enrico. 
Non ci avevo pensato. Non ancora, almeno. Chissà cosa dirà Lara Ferrandi di tutto questo quando scoprirà che, non solo, ho avuto un contratto come redattore moda per cinque anni e che, cosa che mi rende gaudente come un bambino che addenta del cioccolato al latte con le nocciole, sarò il suo capo per il prossimo lunghissimo anno. 
Una risatina diabolica, come quella della matrigna cattiva di Cenerentola mi attraversa il viso. 
'Che ridi?' chiede divertito Enrico quando mi ritrovo a sghignazzare maleficamente dei miei pensieri come una folle. 
'Pensavo a quanto deve volermi bene chi scrive le pagine della mia vita' affermo. 
'Che vuoi dire?' chiede Enrico. 
'Ci dev' essere qualcuno, da qualche parte, che scrive il libro della vita di ognuno di noi. In questo momento si sta divertendo a regalarmi paragrafi memorabili. Vorrei poterlo ringraziare. Anzi, credo proprio che sia una lei. Nessuno, come una donna, può capire quanto io possa ritenermi fortunata' 
'Filippa tu ti meriti ogni singola cosa che ti sia successa' 
'Tu sei di parte' scherzo. Un ciuffetto scombinato di riccioli gli cade sull' occhio mentre si poggia su un fianco. I muscoli del torace si stringono e tirano la pelle liscia; sembra scolpito. Mi metto dritta su un gomito e appoggio la testa sul palmo della mano; con l' altra sposto il ciuffetto castano e lo riporto indietro. I suoi occhi verdi sono cerchiati dai raggi di un sorriso. 
'Dio, sembra passata una vita da quei tre giorni in cui non ti ho vista arrivare, come ogni mattina, in redazione. Non credevo potessi entrarmi nella pelle in questo modo' Enrico si gira di schiena e sospira. 
'Sai, ora che me lo ricordi, anche quello è stato un brutto scherzo del destino. Da quanto non mi veniva la febbre? Nemmeno me lo ricordo. Forse quando ero al ginnasio' 
'Un brutto scherzo? Filippa, non per vantarmi, ma io sono uno degli ultimi scapoli di platino rimasti' scherza Enrico fissandomi divertito. Le sue mani iniziano a giocherellare, muovendosi in maniera sempre più decisa, su un lembo del mio corpo a due passi dalla vita. 
'Addirittura di platino?' 
'Forse non è sufficiente a descrivere quanto io sia prezioso' mi sussurra mentre lentamente la sua mano scivola verso l' interno del mio ginocchio. 
I suoi baci diventano roventi; le sue intenzioni sono chiare. Mi attira su di se; i miei capelli castani ricadono in riccioli su di lui. Le mi labbra sono incollate alle sue, desiderose di averne sempre di più.  
Festeggiamo ancora una volta nel modo che più ci fa stare bene; che più ci diverte; che più ci unisce. Festeggiamo noi due, il mio lavoro e il destino che ha fatto, di queste pagine, le più belle della mia vita. Festeggiamo uno dentro l' altra e, mentre i nostri corpi riscoprono quei tratti così simili da combaciare perfettamente come le due metà di un intero, le nostre anime si fondono in una condividendo paure e desideri; passioni e voglie; gioie e orgasmi. 

Ovviamente mia madre non ha fatto i salti di gioia quando le ho dato la notizia del lavoro. Credo che, in cuor suo, sperasse ancora che io venissi illuminata e mi recassi spontaneamente sulla via della redenzione. Molto probabilmente nutriva la segreta speranza che, se non fossi stata scelta, avrei deciso di iscrivermi a giurisprudenza. 
Il solo pensiero di ricominciare tutto da capo e, per giunta, in una facoltà che mi disgusta, mi fa girare la testa. Con tutto il rispetto per la categoria, per carità, ma provateci voi a vivere con i miei genitori. E con mia sorella/genio del foro. 
'Bene. Se è quello che volevi e sei felice, beh... Sii felice. Cambiati molti vestiti mentre noi, nel mondo reale, mandiamo avanti la baracca' è stato il commento di mia madre. 
Se fossi stata in me, e non chiusa in un mondo giallo oro in cui vivo da quando ho avuto il lavoro, le avrei risposo per le rime. 
Ma perché farmi rovinare questo momento? Per nessun motivo, appunto. 
Ho deciso di mettere in soffitta tutta questa ostilità per il mio lavoro da parte dei miei. Che pensino pure quello che vogliono: io, Filippa Torre, sono il nuovo redattore moda di Vogue Italia. Fanculo il resto. 
Per il mio primo giorno da donna in carriera ho scelto un vestito nero con i profili oro di Gucci. Mi è costato quanto metà dello stipendio che non ho ancora ricevuto ma ne è valsa la pena. Tra meno di quattro ore Anita Lozzani in persona annuncierà alla redazione il mio nuovo ruolo e la faccia che farà Lara Ferrandi, quando saprà che lavorerà per me per il prossimo anno, varrà ogni singolo euro speso. Dopo aver comprato anche le scarpe il mio conto è diventato più rosso degli occhi di un vampiro assetato di sangue ma questi sono dettagli trascurabili. Almeno per il momento. 
Arrivo in redazione direttamente da casa di Enrico. Pochi passi attraverso la trafficata piazza Cadorna alle otto e mezza di un mattino qualsiasi di gennaio. Un mattino qualsiasi per tutti tranne che per me. 
Il mio appartamento in città è praticamente vuoto da settimane, ormai. Arianna vive segregata in ospedale per sfuggire alla madre e, quando Lady Arleene finalmente riesce a beccarla, ha così tanti impegni che non ce la fa a tornare al centro di Milano. Il fatto che il matrimonio e il ricevimento si terranno in Svizzera, poi, complica ancora di più le cose. Solo questa settimana io ho dovuto costringere Enrico ad accompagnarmi a Lugano in macchina, per prove di vario genere, tre volte.
'Devi prenderti la patente, Filippa. Credo sia davvero necessario: non posso continuare a scappare da una parte all' altra della città ogni volta che chiami. Appena questa storia sarà finita ti iscriverai a scuola guida. Che tu lo voglia o no' ha detto il mio uomo. Il suo tono era minaccioso e non ho osato replicare ma il fatto che io riesca davvero a prendermi la patente mi sembra quantomeno utopico. Per non dire irrealizzabile. 
Attraverso le pesanti porte di vetro del palazzo della Condé Nast e mi avvio agli ascensori. Ferdinanda mi ha lasciato il pass, da utilizzare per entrare nell' edificio, in attesa che il mio sia pronto. 
'Oh, cara Filippa, cosa ci fai qui? I quarantacinque giorni a Vogue sono finiti per gli stagisti. E' ora che tu ti arrenda all' evidenza di non essere stata scelta. Anita sa cosa è meglio per la rivista ed evidentmente tu non lo sei' gracchia Lara Ferrandi quando mi vede avvicinarmi agli ascensori. 
'Lara, quanto hai ragione. E' così difficile arrendersi' le dico reggendole il gioco. 
Mi posa una mano ossuta sulla spalla e, con un movimento ritmico appena accennato, mi fa una carezza. Che cara che è a preoccuparsi per me. 
'Non umiliarti ulteriormente, torna a casa. Magari ce la farai l' anno prossimo' mi consiglia. 
'Magari. Ma devo salire un attimo, ho una faccenda da sbrigare' 
'Beh, immagino che un' ultima visita al paradiso si conceda anche ai perdenti' concorda con se stessa. Le porte dell' ascensore si aprono e Lara entra a grandi passi ignorando le persone che scendevano dal piccolo vano. 
Tutto sembra perfettamente normale. Il caos di un qualsiasi mercoledì mattina regna tra i buggigattoli dell' undicesimo piano. 
Fogli che volano e gambe magrissime che li rincorrono come farfalle in un parco. 
'Filippa, Anita e Ferdinanda sono già di la. Aspettano che tu sia pronta e daranno l' annuncio ufficiale. Ferdinanda ha un po' di fretta perché ha dei controlli quindi ti consiglio di correre' mi dice poco gentilmente l' assistente di Anita. 
Appendo il cappotto sull' appendiabiti dietro la porta di vetro dell' ufficio di Ferdinan... del mio ufficio, ancora stento a crederci, e mi avvicino ad Anita e Ferdinanda che arrivano dal corridoio nord verso l' open space. 
'Vi chiedo solo due minuti di attenzione' comincia Anita 'so che siamo tutti impegnati e non vi ruberò di certo io il tempo che dovreste impiegare per lavorare. Come è evidente a tutti, Ferdinanda è in stato interessante e per questo motivo ha deciso di lasciarci' 
Un brusio sempre più insistente si leva sulla sala. Stagisti, redattori, fotografi... tutti aspettano di conoscere le novità nell' assetto del giornale. 
'E' per tutti noi e sopratutto per la rivista, una grande perdita ma siamo sicuri che colei che le succederà sia perfettamente in grado di eguagliare' 
'Se non superare' suggerisce Ferdinanda. 
'Se non superare la bravura di Ferdinanda Colacicco' continua Anita 'ed è per questo che, senza ulteriori indugi, vorrei presentarvi il nuovo redattore moda Filippa Torre' 
Nel momento stesso in cui Anita pronuncia il mio nome vedo comparire Enrico, attraversa le porte dell' ascensore  e si appoggia ad una delle pareti. Mi sorride e mi fa un inchino quasi invisibile con la testa. Gli sorrido di rimando; il mio portafortuna modello umano. Indossa una camicia a scacchi blu e rossi attorcigliata sui polsi e si gode la scena sorridendo. 
Mi avvicino ad Anita e Ferdinanda che mi stringono la mano. 
Lara Ferrandi è rimasta senza parole. Ha lo sguardo perso di chi ha appena visto un fantasma. 
Se questo è un sogno, vi prego, lasciatemi dormire per sempre.

Continua...

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5 commenti:

  1. Non riesco a dire altro se non ooooh.

    Ohhhhhh.... Ohhhhh.

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  2. ma andiamo!!!!! :D lo sai che adesso vivo nel terrore che ogni episodio possa essere l'ultimo?? quando ho visto "..continua.." in fondo mi sono sentita meglio!! :D ti prego non lo fare finire Robi!!!! :*

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  3. Capitolo meraviglioso! Brava Robi! Mi ha messo di buon umore. Filippa se l'è proprio meritata.

    Solo una cosa: che Milano sia ordinata...beh...tu ci vivi? Se no, non vorrei deluderti...

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