giovedì 1 marzo 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 27




'Non riesco ancora a capire come sia possibile che io sia qui’ borbotta Enrico mentre il taxi, di un inconfondibile giallo, arresta la sua corsa folle attraverso le strade sgombre dell’ alba newyorkese davanti l’ elegante stabile dove abita suo padre. Ho la mano indolenzita per quanto forte mi sono aggrappata allo sportello.
 Un formicolio, che parte dallo stomaco e mi arriva in gola, mi impedisce di parlare. Inizio a sentirmi un tantino agitata anche io. Enrico sporge leggermente la testa e fissa l’ ingresso del palazzo. Accarezza con gli occhi i confini del tendone che si estende come un braccio per tutto il marciapiedi e mi chiedo che cosa gli sia tornato alla mente rivedendo questo posto. Chissà se in tutti gli anni e tutte le volte che è stato in città per lavoro è passato di qui anche solo per vedere se era cambiato qualcosa. La sua mano si posa sullo sportello, tentenna. Lo vedo combattuto tra la voglia di scendere e quella di ordinare al tassista di portarlo via di la, ovunque, basta che sia lontano. Sento il cuore stringersi in una morsa di colpe e rimorsi. E se mi fossi spinta troppo in la, in un terreno minato per il suo benessere? Quando due persone scelgono di stare insieme diventano guardiani l’ uno dell’ anima dell’ altro ed io, in questo momento, ho forse dimenticato le chiavi della sua per puro egoismo? 
Il tassista ci fissa attraverso lo specchietto retrovisore in fervente attesa di scaricarci li: a New York ogni singolo secondo che perdi è un dollaro in meno in tasca. 
‘Vogliamo andare?’ chiedo ad Enrico. Lui si volta verso di me e mi travolge con uno sguardo pieno di risentimento. Verso di me, per suo padre e sua madre. Posa stancamente la mano sulla levetta per aprire lo sportello e con il minimo dello sforzo scende dall’ auto. 
Il tassista ci segue fuori dall’ auto e scarica le nostre valigie nel gelo dell’ alba di New York. Una ragazza incappucciata fino all’ inverosimile, della quale si scorgono solo gli occhi, ci passa davanti trascinata da sei o sette cagnolini bianchi al guinzaglio rigorosamente coperti da cappottini a stampa quadrettata abbinati ai guinzagli. Le sorrido, l’ immagine è quanto meno buffa e quelle bestiole fanno una gran caciara interrompendo il silenzio funereo in cui siamo caduti da quando abbiamo deciso, beh ho deciso e ho convinto Enrico, di andare dai suoi per Natale. 
Il portiere, in divisa verde scuro, ci viene incontro e mi saluta cordialmente. 
‘Signorina Torre, che piacere rivederla. Quando non l’ ho più vista ho chiesto a Davide sue notizie e mi ha raccontato del brutto incidente che avete avuto. Sono molto dispiaciuto’ dice cordiale. E’ estremamente gentile avendomi vista una sola volta nella sua vita. Gli sorrido e accetto il suo aiuto per le valigie. Lancia un’ occhiata interrogativa ad Enrico. 
‘Il mio ragazzo, Enrico Carrisi’ rispondo al suo sguardo indicandogli Enrico. 
‘Molto lieto’ conviene il portiere. Il suo sguardo è ancora confuso: si starà sicuramente interrogando sul cognome di Enrico e sul suo grado di parentela con la famiglia Carrisi. 
Attraversiamo le pesanti porte di vetro bordate d’ acciaio ed entriamo nell’ atrio riscaldato del palazzo. Il portiere digita un numero su una tastiera e dall’ altoparlante arriva la voce da uomo che ho sentito al telefono poco fa. 
‘Signor Carrisi, la signorina Torre e il suo ragazzo sono qui’ 
‘Li faccia salire Thomas, grazie’ 
Il portiere fa un cenno d’ assenso e ci indica la strada per gli ascensori seguendoci trascinando il carrello dorato, come quello degli alberghi, con le nostre valigie sopra. 
La porta dell’ appartamento dei Carrisi è spalancata e sull’ uscio ci sono Ina e un uomo alto, dai capelli brizzolati e corti, che le tiene una mano sulla vita. 
‘Filippa, tesoro, non sai che gioia è per noi avervi qui’ squittisce Ina eccitata. Nonostante sia stata una grande donna d’ affari ha quel fare materno che Enrico, vivendo con la grande Anita Lozzani, credo non abbia mai provato. 
‘Enrico, bentornato’ dice suo padre. Lui accenna un sorriso forzato, di circostanza, nel quale non crede assolutamente. Nonostante si sforzi di rimanere calmo traspare da ogni muscolo teso della sua faccia che preferirebbe che un branco di tori imbizzarriti gli venissero incontro mentre è completamente vestito di rosso piuttosto che trovarsi li. 
‘La vita è imprevedibile’ asserisce. Li oltrepassa ed entra nell’ appartamento. Il fare spavaldo e arrogante mi ricorda Davide. 
Al centro dell’ ampio soggiorno, a differenza della prima ed unica volta che sono stata qui, troneggia un enorme abete, che ha sparso un delizioso profumo di montagna per tutto l’ appartamento, addobbato nei toni del blu e dell’ argento. Il portiere entra dietro di noi e sistema le valigie in un angolo vicino la porta per poi sparire nuovamente dietro le porte dell’ ascensore. 
‘E’ ora di colazione, avete fame?’ chiede Ina premurosa rompendo la barriera di silenzio che Enrico si è costruito intorno trascinandoci tutti dentro. 
‘Credo che riposeremo un paio d’ ore. Sei d’ accordo Filippa o hai qualche brillante idea da volerci esporre?’ chiede sarcastico Enrico. Prende le valigie e il suo borsone e si trascina verso le scale che portano al piano superiore dove si trova la sua stanza. La stessa stanza che è stata la mia per qualche ora.
Fisso mortificata prima Ina e poi il padre di Enrico. Loro mi tranquillizzano con lo sguardo: sapevamo tutti abbastanza bene che Enrico sarebbe stata un’ incognita. 
Dalla cima delle scale compare Davide, in un elegante pigiama di cotone pesante blu a righe celesti, che gli disegna perfettamente il corpo scolpito, seguito da un ragazzo che gli somiglia incredibilmente con lo stesso pigiama addosso. 
Quell’ immagine bizzarra allontana per un secondo la sensazione di disagio dopo la sparata di Enrico. 
‘Siete arrivati giusto in tempo per la colazione della Vigilia’ esclama il ragazzo dietro Davide. 
‘Ho comprato lo stesso pigiama a tutti un paio di Natali fa e i ragazzi lo indossano ogni anno per prendermi in giro. Sono contenta di non essere l’ unica donna anche quest’ anno!’ mi sussurra in tono cameratistico Ina.
‘Filippa, saliamo?’ chiede innervosito Enrico. La presenza di Davide, di certo, non aiuta.
‘Credo che rimarrò qui ancora un po’’ sorrido a suo padre. 
Enrico mi fissa qualche secondo in tono di sfida; sbuffa come un toro inferocito quando si rende conto che sono seria, oltrepassa i fratelli e sparisce al piano di sopra. 
‘Bentornata in questa casa’ mi dice Davide dolcemente mentre la sua mano scivola sulla mia schiena e mi regala un bacio sulla guancia. 
‘Speriamo che vada meglio dell’ altra volta’ sospiro. 
Ina, abbracciata al marito, ci prega di seguirli in camera da pranzo. Una tavola imbandita a festa è colma di ogni leccornia e altri due ragazzi sono già seduti con indosso lo stesso pigiama di Davide. 
‘Filippa questi sono i miei figli. Davide lo conosci già; loro sono William, Charles e Mario’ dice indicandomi i tre ragazzi. Si somigliano tutti moltissimo: i più grandi hanno gli stessi occhi verdi di Enrico e Davide mentre Mario, il più piccolo, ha un incredibile paio di occhi azzurro cielo e gli stessi capelli biondi della madre. 
Il padre di Enrico si avvicina a me e mi sorride complice. ‘Grazie per aver portato Enrico qui’ mi sussurra all’ orecchio. Mi indica la sedia accanto alla sua. Davide si avvicina aggraziato e con un colpo secco scansa il fratello più piccolo che si stava accomodando nel posto vicino al mio occupandolo. 


‘Potevi rimanere giù e fare colazione con la tua famiglia’ rimprovero Enrico quando entro nella nostra camera da letto.
‘Filippa ti ho detto che ci avrei provato e, credimi, mi sto letteralmente violentando pur di rimanere qui e farti contenta ma non posso cambiare quello che è stato negli ultimi vent’ anni e cancellarlo con un colpo di spugna. Sarebbe fingere e non mi va; non quando ci sei tu’ 
‘Se non ti apri non avrai mai la possibilità di conoscere queste persone. Mario è tuo fratello e quante volte l’ hai visto in vita tua? Due? Forse tre? Il tuo comportamento di prima è stato rude e scortese!’ 
‘Non puoi mettere una balena in un acquario, Filippa, e poi stupirti se l’ acquario si rompe!’
‘Che diavolo vorresti dire con questo?’ chiedo stranita della sua bizzarra affermazione. 
‘Filippa non voglio litigare con te’. Prende degli asciugamani puliti dal mobiletto ai piedi del letto e li appoggia su una sedia accanto la porta del bagno. Nonostante non abbia mai familiarizzato con quella stanza i suoi movimenti sono sicuri come se ci avesse abitato da sempre. 
‘Non devi litigare con me, devi parlarmi’ 
‘Vado a fare una doccia’ asserisce. Si sbottona la camicia, bottone dopo bottone, lasciando che l’ aria calda dell’ appartamento gli accarezzi gli addominali tesi. Il suo corpo è vibrante di rabbia e frustrazione: sta combattendo con se stesso e con il suo stupido orgoglio. 
Mi paro davanti la porta del bagno. ‘Vuoi andare via?’ chiedo.
Enrico è piegato in due e si sta sfilando i jeans di Varvatos che gli ho comprato da Bergdorf Goodman la settimana scorsa. Alza gli occhi piano su di me, dai piedi fino alla vita, passando per il seno fino al viso. Il suo sguardo inquisitore mi brucia sulla pelle coperta da uno strato di costosa stoffa di marca. 
‘Che stai dicendo?’ 
‘Sto dicendo che se vuoi andare via io ti seguo’. Non sono seria, lo sto solo provocando. ‘Vuoi tornare in Italia? Andiamo a barricarci in aeroporto fino a che non riusciamo a salire su un maledetto aereo per l’ Italia. Vuoi andare via da qui? Benissimo, andiamo!’ 
‘Sei completamente impazzita? Parli di questo Natale con mio padre praticamente da settimane. Mi hai implorato di provarci; mi hai quasi costretto a venire qua dando la colpa al destino e adesso ti tiri indietro?’ chiede divertito. 
‘Non mi sto tirando indietro io. Sei tu che non ci stai provando. Ho come l’ impressione che tu sia bloccato nelle tue stupide convinzioni: hai chiuso la tua porta e ci hai lasciati fuori. Tutti quanti, compresa me’ dico arrabbiata. 
‘Non posso fingere di essere felice. Non posso fingere, non ce la faccio’. Il suo tono di voce si fa mesto. ‘Sono qui e spingo il tempo. Conto i secondi che mi separano dal volo per l’ Italia, è così difficile da credere?’ 
‘Si, diamine. Io non posso crederci. E’ assurdo che tu non possa trovare nemmeno un fottuto motivo per parlare con tuo padre. Urlagli contro la tua frustrazione oppure chiedigli spiegazioni; chiedi, parla, incazzati… ma non rimanere impassibile, bloccato nel rancore o non ne verrai mai a capo’ 
Enrico si appoggia al muro e si lascia scivolare fino a toccare il pavimento. La sua testa si abbandona all’ abbraccio delle mani. Il suo corpo fatto di muscoli scolpiti e ossa larghe sembra fragile. Una grossa pietra di cristallo scheggiata: non serve altro che un dito per distruggerla in mille pezzi. 
Vorrei poterlo stringere e rassicurarlo sul fatto che andrà tutto bene perché sono fermamente convinta di questo: suo padre e Ina mi sono sembrati ben disposti nei suoi confronti ma ho come la sensazione che prenderebbe le mie parole come aria fritta. 
Mi siedo per terra accanto a lui e gli sollevo il viso tenendogli il mento scherzosamente tra il pollice e l’ indice. 
‘Se avessi fatto la signorinella come stai facendo tu quando si trattava di scegliere se dare o no una possibilità a noi due a quest’ ora noi non saremmo qui. Mi sono buttata da una montagna senza avere le caviglie legate ad un elastico: ho semplicemente scelto di darci una possibilità e, che tu ci creda o no, è stata forse la decisione migliore che ho preso in tutta la mia vita. Ero fottutamente terrorizzata; mi ero barricata dietro una coltre di se e ma, di probabilità e possibilità talmente catastrofiche che non riuscivo a vedere quanto bello ci potesse essere in quello che stava nascendo. Dai a tuo padre la stessa possibilità che io ho dato a noi. Tu sei più fortunato di me: non ti butti senza elastico, il tuo elastico sono io’ 
Enrico mi sorride e mi bacia. Il suo bacio ha il sapore salato delle lacrime che vorrebbe versare. La sua mano si fa strada tra i miei capelli mentre lui si sposta dolcemente su di me. Inauguriamo il pavimento della sua stanza immacolata lasciando il profumo di noi sul morbido tappeto. 



Tampono la pelle sulle spalle e sulle clavicole con la spugna mentre fisso la mia immagine. Avete mai notato come sembrano chiari i pensieri riflessi sullo specchio dopo una doccia bollente nonostante sia tutto coperto da una coltre di vapore??  La cicatrice che parte dalla clavicola destra ed arriva fino a metà della spalla diventa ogni giorno più chiara. Ne seguo il corso con il dito sentendo le cellule morte al passaggio. E’ strano come quella semplice linea rosa chiaro ci abbia portato qui. 
Enrico entra in bagno e si bagna le mani per inumidire leggermente i riccioli ribelli e rimetterli al loro posto. 
‘Vestiti, siamo in ritardo’ mi dice baciandomi sulla spalla. Lascio che i ricordi si dissolvano con il vapore e torno in stanza. Ho scelto un vestito senza maniche blu elettrico da indossare con degli stivali bassi di Sergio Rossi che mio padre non sa ancora di avermi regalato per Natale: lo scoprirà il mese prossimo quando arriverà l’ estratto conto. 
‘E’ tutto ok?’ chiede Enrico prima di aprire la porta della nostra stanza e affrontare la sua famiglia.
‘Abbiamo deciso di buttarci’. Sorride. Sembra rilassato. Non è che s’è fumato qualcosa mentre ero sotto la doccia? 
Un profumo di spezie si è impadronito dell’ appartamento; si avverte già dalle scale che portano al piano di sotto. Sul divano che da le spalle alla città chiusa fuori dalle vetrate sono seduti Ina e Alfredo, il padre di Enrico. Lui le cinge le spalle e il rosso del suo maglione incornicia i boccoli dorati di Ina. Enrico si ferma un attimo sulla scalinata e tira fuori dalla tasca dei pantaloni la digitale che porta sempre con se: scatta una foto, poi un’ altra e un’ altra ancora. Scendiamo e li raggiungiamo. 
‘Ragazzi, il pranzo è quasi pronto. Aspettiamo Davide e Charles, dovrebbero a casa a momenti’ ci comunica Ina. 
‘Vorrei rassicurarvi che la mia splendida moglie non ha nemmeno messo piede in cucina’ dice divertito Alfredo. 
‘Ehy…’ lo riprende affettuosamente la moglie, ‘ho tante qualità, davvero, ma la cucina non è proprio il mio forte. Abbiamo ordinato tutto da Dean&Deluca: mangeremo fino a scoppiare!’ annuncia orgogliosa. 
‘Filippa lavora a Vogue, la vedrete spiluccare qualcosa a malapena’ dice Enrico stringendomi la mano. 
La porta alle nostre spalle si apre e Davide entra nel soggiorno ridendo di gusto; ha le mani piene di pacchi. Faccio un cenno ad Enrico per alzarsi ed aiutarlo ma non capisce al volo e chiede ‘cosa, Filippa?’ a voce di testa provocando l’ ilarità di tutti. 
Il pranzo scivola tranquillo tra un bicchiere di troppo e l’ allegria di una famiglia che si vuole bene. Ogni personaggio seduto a quel tavolo si sente parte di un intero. Ina ha cercato in tutti i modi di integrare Enrico nelle discussioni sui Natale passati raccontagli aneddoti sui fratelli. 
‘Enrico ho un whisky invecchiato trent’ anni nello studio, un regalo di un cliente, ti andrebbe di farmi compagnia per un bicchiere?’ chiede Alfredo ad Enrico. 
‘Ti dispiace se ti lascio sola per un po’?’ mi domanda Enrico.
‘Assolutamente’ lo rassicuro. Mi bacia teneramente la testa e si allontana seguendo il padre. 
Li guardo uscire dalla camera da pranzo. Quando mi giro sento lo sguardo di Davide fisso su di me. Lo guardo di rimando. 
‘Vorrei parlarti di alcune cosa riguardo l’ assicurazione per l’ incidente’ annuncia Davide serafico. 
‘Davide è proprio necessario parlarne adesso?’ lo riprende immediatamente Ina. Sembra infastidita dal fatto che io mi allontani con il figlio acquisito.
‘Non c’è problema’ dico rivolta a Ina, ‘andiamo?’ 
Davide si alza e mi invita a seguirlo nello studio al primo piano. 
‘Un attimo’ ci interrompa Ina ‘Filippa mi segui in cucina per favore, ho una cosa da mostrarti’ dice rivolgendosi a me con un tono che non ammette repliche. Davide la guarda torvo, sembra infastidito. 
La seguo attraverso il corridoio lungo che porta dalla camera da pranzo alla cucina. Piccole vetrine basse percorrono il corridoio; sono colme di oggetti, fotografie, carte, pezzi di una vita in quella casa ormai lontana. 
‘Filippa voglio essere onesta con te’ esordisce Ina quando ci ritroviamo sole nell’ enorme cucina d’ acciaio laccato, ‘io credo fermamente che Davide provi qualcosa per te. Non so se sia qualcosa di reale o solo lo strascico di una faida tra fratelli lunga una vita ma sono certa che non gli sei indifferente’. La fisso per un lungo istante. Le sue mani lisciano il cardigan di lana color caramello facendo tintinnare gli anelli che porta all’ anulare. La lunga collana appesa al collo oscilla leggermente e il medaglione d’ oro giallo che vi è attaccato luccica riflettendo la luce che entra dalle finestre. 
‘Sciocchezze. Davide non prova nessun reale interesse nei miei confronti’ minimizzo imbarazzata. 
‘Conosco Davide da vent’ anni ormai. Potrei disegnare la sua anima ad occhi chiusi e, credimi, non ho mai assistito alla sua versione innamorata prima d’ ora. Il suo corpo vibra quando ci sei tu nella stanza; i suoi occhi ti seguono speranzosi di ricevere uno sguardo in cambio. Non voglio che si faccia male. Quel ragazzo ne ha viste tante e non voglio che una falsa speranza possa risvegliare in lui qualcosa di più di un’ amicizia nei confronti della ragazza di suo fratello. Tu ami Enrico, lo ami in maniera totalitaria. Conosco questo tipo di affetto: Enrico somiglia così tanto a suo padre quando ci siamo conosciuti. I suoi modi gentili, il suo essere presente e sempre a tuo fianco no matter what. Non mi sognerei mai di chiederti di pensare a Davide perché anche se Enrico non è mai stato realmente parte della mia famiglia rimane sempre e comunque figlio di mio marito e fratello dei miei figli, tutti e quattro. Allontanati da Davide prima che qualcuno si faccia male’. Le sue parole riecheggiano tra gli scaffali rigati di acciaio e vetro smerlato. Mi poggia una mano sul braccio e mi sorride. Seguo la sua figura allontanarsi per il corridoio. Le gambe magre fasciate da un paio di pesanti pantaloni aderenti marrone tronco si muovono sinuose verso la sua famiglia. E’ una mamma tigre e protegge i suoi cuccioli, tutti quanti, compreso Enrico. 
Il fascino di Davide, la consapevolezza che forse lui provi davvero qualcosa per me si insinuano nei miei pensieri. Sento le mie sinapsi completarsi più in fretta come se mi fossi fatta di qualche strano eccitante. Ripercorro mentalmente il tempo con Davide e assimilo ogni respiro in sua compagnia assaporandone il ricordo. Perché?
Continua... 




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45 giorni a Vogue by Robi Landia is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia License.
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11 commenti:

  1. Rendiamo grazie a Ina.
    Ohhh...finalmente!

    Mi mancava la RobiFiction eh!

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    1. Secondo me, così facendo, ha solo messo la pulce nell' orecchio a Filippa....
      Vedremo!
      Robi

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    2. Eh però è addormentata se la pulce l'ha sentita solo ora! E basta sto davide!! Brutto e cattivo, non mi piace!

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  2. Eccoti di ritorno :))))

    Ah BEH ma buonasera che Davide prova qualcosa per Filippa eh :D

    Gran bel capitolo, son contenta che Enrico si sia un po' aperto!!

    Alessia

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  3. Ahah i vetri smerlati nn l i commento..!è davvero carino tesoro, solo dovresti usare piu virgole ! A leggerlo ad alta voce viene il fiatone !bacio grande !su

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  4. Filippa "fa la scema per non andare in guerra"... lo sapeva benissimo che Davide aveva interesse nei suoi confronti!Non si può fare una cosa del genere al povero Enrico, ora che si è aperto con la sua famiglia!!!

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  5. Finalmente sono riuscita a mettermi in pari con i capitoli, adesso aspetto trepidante la prossima puntata!!
    Bè su Filippa non mi esprimo ma vorrei dire due paroline su Enrico: in quale pianeta vive? In quale spazio-tempo?? Uno così sulla terra non esiste, vi sfido a provarmi il contrario ;0)
    Brava Robi.

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    1. Già... Peccato abbiano buttato lo stampo di quelli come lui :D
      Robi

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